La scultura lignea della prima metà del Trecento raffigurante San Giovanni Battista benedicente si trova nella cappella di proprietà della famiglia Paleologi, dedicata a santa Maria di Costantinopoli, all’interno di una nicchia sovrastante la trabeazione di un grande tabernacolo, contenente un affresco cinquecentesco, raffigurante la Madonna col Bambino vicino a San Pietro. La statua del Battista fu definita dal Chiarini un «pregevole monumento dell’arte bizantina che veneravasi nella chiesa fin dai primi secoli della fondazione». Si tratta, in realtà, di un’opera databile verso la metà del Trecento, ispirata nello schema compositivo e nell’«astratta assorta fissità» a modelli più antichi.
Caratteristiche costruttive
La scultura, simile ad un enorme bassorilievo, è stata intagliata da un unico tronco di noce al quale sono state assemblate, su entrambi i fianchi, due piccole porzioni della stessa specie lignea per aumentarne le dimensioni in larghezza. Le aggiunte (quella di sinistra andata perduta) sono state fissate al resto del corpo tramite l’utilizzo di grossi perni in legno e colla da falegnami. Le commettiture degli assemblaggi sono rinforzate da un’incamottatura realizzata con più strati di tela di canapa incollati tra loro, che ha consentito di non perdere anche il modellato del fianco destro e ha ridotto le ripercussioni dei movimenti del legno sulla pellicola pittorica. La testa e l’unico braccio superstite sono anch’essi pezzi aggiunti: la prima, sempre in legno di noce, è stata assemblata prima dell’intaglio dell’opera tramite incollaggio e perni interni; il braccio destro, rivolto verso l’alto ad indicare l’Onnipotente, realizzato non in noce ma in una specie lignea più leggera, era ancorato al corpo tramite l’uso di grossi chiodi in ferro battuti a mano, probabilmente originali.
Il retro dell’opera non è intagliato, ma scavato a colpi di sgorbia e munito di grossi ganci in ferro che dovevano servire per l’ancoraggio della scultura alla parete espositiva.
Il colore
Sull’intera superfice dell’opera è stesa una preparazione al colore in gesso di Bologna e colla animale.
Non ci è dato sapere il legante della policromia. La pelliccia era decorata con delle lumeggiature a foglia d’oro, ormai ridotte a sole tracce, che contribuivano ad accentuarne i volumi.
Conservata nel magazzino della basilica di San Giovanni Maggiore a Napoli, sicuramente ha sofferto durante le varie vicissitudini della chiesa. L’ambiente malsano e la sua collocazione, addossata ad una parete molto probabilmente umida, (come è possibile vedere in una foto della guida “Napoli Sacra”, Elio de Rosa editore) hanno contribuito a peggiorare il normale degrado dei materiali. Al momento del restauro, lo stato conservativo della scultura era compromesso soprattutto a causa di un fortissimo attacco da parte di due specie diverse di insetti xilofagi: Anobidi e Termiti, ben distinguibili tra loro grazie alla diversa forma delle gallerie scavate. L’intera superficie era interessata dai fori di sfarfallamento degli Anobidi, mentre il passaggio delle Termiti era limitato a lato destro della scultura. In corrispondenza del durame e parallelamente all’andatura delle fibre del legno erano presenti le gallerie, di dimensioni talmente grandi ed in tale quantità da demolire quasi totalmente il modellato, a noi pervenuto solo grazie allo spesso strato di tele interposto tra il supporto ligneo e la policromia. La mano sinistra ed il fianco aggiunto sullo stesso lato sono andati perduti, sicuramente a causa dell’opera degli insetti infestanti.
La policromia, pesantemente ridipinta e stravolta nella lettura dell’immagine in un precedente intervento conservativo, presentava molti sollevamenti e diverse lacune. Sul retro e sui fianchi erano presenti sgocciolature di calce risalenti alla rimbiancatura del magazzino.
L’intera superficie dell’opera era ricoperta da uno strato di particellato atmosferico di notevole entità.
L’opera ha subito almeno due interventi di restauro precedenti al nostro, durante i quali sono stati rimossi gli occhi, probabilmente in vetro, e la policromia è stata ridipinta modificandone la giusta lettura. L’iconografia della scultura è stata trasformata, forse per un semplice cambio di gusto, da San Giovanni Battista in Volto Santo, ridipingendo la pelliccia dorata di rosso ed il mantello, originariamente in lacca rossa, di blu.
Nonostante l’infestazione non fosse in atto l’opera è stata disinfestata a scopo preventivo con permetrina sciolta in essenza di petrolio.
I sollevamenti di policromia e preparazione sono stati fermati con colla di pelli (1/20), con l’ausilio del termocauterio e di pesi.
Il legno, ridotto come una spugna, è stato consolidato con resina acrilica (Acrilico30® Phase), sciolta in butilacetato, scelto per la minor tossicità e la ridotta volatilità rispetto ad altri solventi idonei, consentendo una maggior penetrabilità all’interno delle gallerie del legno. Il consolidante è stato applicato previa imbibizione di solo solvente per pulire le gallerie dal rosume e consentire una migliore veicolazione del prodotto. L’applicazione è avvenuta in due tempi diversi e con due concentrazioni diverse: la prima al 2,5% e la seconda al 5%.
Il braccio superstite è stato staccato per consentire il risanamento del supporto.
Il legno mangiato dalle termiti è stato integrato con legno della stessa specie dell’originale. Per ovviare ai problemi di differenti tensioni interne, derivate dall’inserimento di un legno nuovo a contatto con uno degradato, è stata realizzata una tassellatura, impiegando piccoli parallelepipedi (1,5 x 1,5 x 5 cm di lunghezza) incollati su piani sfalsati su tutt’e quattro le facce. La tassellatura è stata eseguita seguendo la venatura del legno e collocando i singoli pezzetti in senso tangenziale dall’alto verso il basso. Tale sistema ha permesso di rendere la struttura più elastica, così da gravare il meno possibile sul supporto originale. La parte terminale della veste, anch’essa completamente svuotata dalle termiti ma intatta esteriormente, è stata aperta dal retro, tagliando longitudinalmente il legno col flessibile. La lacuna scoperchiata è stata ripulita dal legno ormai disfatto e riempita col sistema sopra indicato. Una volta risanata è stata richiusa riponendo il pezzo staccato a mo’ di coperchio. Per gli incollaggi sono stati impiegati resina vinilica (Bindan rs®) e resina epossidica (Araldite SV 427 con indurente HV 427).
Tra l’incamottatura e i tasselli, dove non era presente un residuo di legno originale, è stata realizzata una soletta in gesso che fungesse da distaccante.
La base della scultura è stata, invece, integrata con un unico blocco di legno (in quanto più resistente a sorreggere il peso dell’opera), assemblato alla parte superiore tramite due perni in legno e incollato solo su di un lato. Tale pezzo è stato intagliato successivamente all’incollaggio.
Il braccio è stato ricollocato correttamente tramite due filettature in acciaio, fermate sul retro del supporto con due dadi. I chiodi originali sono stati inevitabilmente segati. Per riposizionarlo correttamente ci siamo serviti dei collegamenti lasciati dalle tracce di stuccatura e di colore, intatti sui bordi sia del braccio che della manica.
La ridipintura è stata rimossa tramite l’impiego di solvent gel, mentre l’incarnato, non ridipinto ma alterato cromaticamente da vernici ossidate, ritocchi e sporco, è stato pulito con una semplice emulsione grassa a PH leggermente basico.
Le lacune e le parti ricostruite sono state stuccate con gesso da doratori e colla animale, imitando l’andamento della superficie per non creare scompensi ottici una volta ultimato il ritocco pittorico.
Le integrazioni pittoriche sono state eseguite a selezione cromatica con colori ad acquerello e successive stesure di colori a vernice.
Il legno nuovo a vista è stato patinato con mordente e cera microcristallina leggermente pigmentata.
A restauro ultimato, l’opera è stata protetta con vernice chetonica.
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