Raffaello, Madonna del Cardellino, 1506, Le Gallerie degli Uffizi, Firenze

  • : Intervento di restauro
  • Stato attività: concluso

Dati

Informazioni sull’attività

Informazioni sull’opera

Informazioni storico-descrittive

Il dipinto, secondo quanto testimonia il Vasari, fu realizzato intorno al 1506 a Firenze per Lorenzo Nasi, ricco commerciante di panni di lana, in occasione del suo matrimonio con Sandra Canigiani. Quando, il 12 novembre 1547, palazzo Nasi in via de’ Bardi crollò a causa di uno smottamento, il dipinto venne travolto dalle macerie e distrutto in diciassette frammenti. La tavola venne ricomposta, integrando il supporto e la pittura. Negli studi compiuti durante questo progetto Antonio Natali ha ritenuto di poter attribuire a Ridolfo del Ghirlandaio l’antico restauro per la sua vicinanza con Raffaello durante il suo soggiorno fiorentino.
La Madonna del Cardellino rimase proprietà dei Nasi fino alla morte dell’ultimo erede, Francesco di Lorenzo, avvenuta nel 1639. Di lì a poco la proprietà passò alla famiglia Medici, dapprima presso il cardinale Giovan Carlo de’ Medici e poi in quella del cardinale decano Carlo de’ Medici. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1664, l’opera passò al granduca. Entra a far parte delle Gallerie degli Uffizi nel 1704 e viene esposta nella Tribuna, affianco ad altre opere ritenute allora dell’Urbinate. Con il riordinamento del 1926 dovuto al Poggi, il dipinto viene collocato nella sala XIII e successivamente (1971) spostato nella sala dedicata a Raffaello e ad Andrea del Sarto. Oggi è esposta in una sala interamente dedicata alle opere di Raffaello.
Dopo il primo “restauro” narrato dal Vasari, si ha notizia di un intervento del 1804 eseguito da Vittorio Sampieri, di cui non si hanno informazioni, e di un altro del 1821 curato da Domenico Del Podestà. Durante l’intervento furono eliminati alcuni ritocchi pittorici eseguiti sui rifacimenti del Cinquecento, che deve aver ritenuto stesure originali. Il restauratore, con ogni probabilità, è intervenuto sul dipinto anche con nuovi ritocchi. Oltre agli interventi citati, sull’opera sono state rinvenute tracce di numerosi altri rifacimenti.

Tecnica esecutiva

Il supporto (77 cm x 107 cm, peso 12,2 kg circa) originariamente era composto da due assi in pioppo. A seguito dell’incidente cinquecentesco, poiché la tavola destra si è fratturata in due parti, il dipinto si è separato in tre pezzi. In radiografia, la commettitura originale a spigoli vivi, a sinistra, presenta una striscia di tela per ammortizzare i movimenti del supporto. Sul retro sono presenti due traverse originali, sempre in pioppo, rastremate e contrapposte, inserite in tracce trapezoidali.
La preparazione della tavola è costituita da un unico strato di gesso e colla. Dall’analisi dei prelievi, è stata riscontrata sul gesso la presenza di un sottile strato di colla che serviva probabilmente a rendere la preparazione meno assorbente.
Per Raffaello, l’elaborazione della composizione attraverso il disegno era una fase molto importante. Il pittore lavorava con cura meticolosa, utilizzando spesso la tecnica dello spolvero e ripassando successivamente il disegno a mano libera, per rielaborarlo e completarlo. Inoltre, effettuava miglioramenti e cambiamenti in ogni fase del lavoro, anche durante la stesura del colore, dimostrando grande flessibilità. Il disegno preparatorio della Madonna del Cardellino, visibile nella riflettografia, conferma pienamente questo modo di procedere, rivelando i puntini dello spolvero, molto fitti, talvolta ripassati a pennello.
Osservando il riflettogramma a colori si possono osservare alcuni piccoli cambiamenti effettuati rispetto al disegno sottostante, mentre dalla radiografia è possibile rilevare altri pentimenti relativi alla fase di stesura del colore. Si conservano alcuni disegni preparatori all’Ashmolean Museum di Oxford.
Attraverso l’indagine XRF (fluorescenza X) è stata ipotizzata la presenza di una imprimitura a base di bianco di piombo con l’aggiunta, in molti casi, di poco giallo di piombo e stagno, confermata dall’analisi di alcuni prelievi e coerente con al risposta radiografica. La stesura, piuttosto sottile e trasparente, probabilmente con legante a olio, dovrebbe dare come risultato un colore avorio che lascia trasparire il disegno sottostante.
Le indagini svolte sul film pittorico sono di tipo non invasivo e hanno permesso di identificare i pigmenti impiegati per la realizzazione delle diverse campiture. Il legante è probabilmente un olio o tempera grassa.
L’uso dell’oro è limitato alle tre aureole e la tecnica impiegata è quella dell’oro in conchiglia.

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