Opificio delle Pietre Dure, Firenze
Direzione dei lavori
Marco Ciatti; Cecilia Frosinini
Direzione tecnica e restauro
Per la parte pittorica: Roberto Bellucci, Francesca Bettini, Patrizia Riitano, Oriana Sartiani
Collezione Peggy Guggenheim, Venezia
Direzione tecnica: L. Pensabene Buemi, P. Rylands (PGC Venezia), L.C. Stringari (Fondazione Solomon RG New York), S. Davidson, G. McMillan (Museo Solomon RG New York)
Direzione tecnica del restauro: L. Pensabene Buemi (PGC Venezia), L.C. Stringari (Fondazione Solomon RG New York)
Restauro
Francesca Bettini (OPD Firenze)
Luciano Pensabene Buemi (PGC Venezia)
Indagini scientifiche
Radiografia X: Alfredo Aldrovandi (O.P.D.), Ottavio Ciappi
Fluorescenza X, analisi chimiche (FT-IR, SEM/EDS): Carlo Galliano Lalli, Giancarlo Lanterna, Isetta Tosini (O.P.D.), Federica Innocenti
Tomografia ottica coerente, Microprofilometria a scansione: Marco Barucci, Raffaella Fontana, Enrico Pampaloni, Marco Raffaelli, Jana Striova (CNR/INO)
Indagine tomografica: Franco Casali (Centro Studi e Ricerche Enrico Fermi, Roma) Matteo Bettuzzi, Rosa Brancaccio, Maria Pia Morigi, Eva Peccenini (Università di Bologna -Dipartimento di Fisica e Astronomia; Rete CHNet-INFN-Istituto Nazionale di Fisica Nucleare; Centro Studi e Ricerche Enrico Fermi, Roma)
Optical Coherence Tomography: Magdalena Iwanicka (Institute for the Study, Restoration and Conservation of Cultural Heritage, Faculty of fine Arts, Nicolaus Copericus University, Toruń, Poland), Marcin Sylwestrzak, Piotr Targowski (Institute of Physics, Astronomy and Informatics Nicolaus Copericus University, Toruń, Poland)
Fluorescenza X a scansione: Chiara Ruberto, Anna Mazzinghi, Lisa Castelli, Caroline Czelusniak, Mirko Massi, Lara Palla (Rete CHNet-INFN-Istituto Nazionale di Fisica Nucleare)
Riflettografia IR MultiNIR: Roberto Bellucci (O.P.D.)
Alchimia è uno dei primi dipinti realizzati con la tecnica rivoluzionaria del dripping (colatura), che rappresenta il contributo più significativo di Jackson Pollock all’arte del XX secolo.
L’opera viene realizzata nell’estate del 1947 allo studio di Long Island. Pollock sperimenta con vari tipi di colori, da quelli tradizionali ad olio a quelli commerciali, questi ultimi versandoli per mezzo di bastoncini direttamente sulla tela. Crea un groviglio di linee ora più sottili e qualora più spesse, colate più ampie o piccoli schizzi, che dipendono dai movimenti e gestualità dell’artista. L’immagine ottenuta è caratterizzata da una stratificazione complessa di colori talvolta molto materiche, dove non c’è un centro né una direzione di osservazione in quanto pittura a tutto campo. Sicuramente nella produzione artistica di Pollock Alchimia è una delle opere più materiche.
Se si osserva quest’opera a distanza, le grandi dimensioni e l’equilibrio di forze fanno sì che il dipinto sia vissuto come ambiente. La superficie irregolare è come un muro su cui sono tracciati segni primitivi, realizzati spremendo direttamente dal tubetto il colore bianco. Spesso si sono tentate interpretazioni di questi segni, basandosi sul titolo, che però è stato dato da Ralph Manheim e da sua moglie, vicini di Pollock a East Hampton.
Storia conservativa
Alchimia fu realizzata nell’estate del 1947. L’anno successivo fu esposta alla galleria di Betty Parson a New York. Era nel gruppo di opere presentate alla prima personale dell’artista organizzata da Peggy Guggenheim a Parigi nel 1950, mentre non era presente alla Biennale di Venezia del 1948. L’arrivo di Alchimia in Italia risale tra il 1948-1950 e risiedeva a Palazzo Venier dei Leoni, allora abitazione di Peggy Guggenheim e sede attuale della fondazione. Fu data in prestito solamente rare volte per alcune esposizioni.
Fino al 1979, anno in cui Peggy morì, il dipinto era esposto appeso ad una delle pareti della abitazione senza alcuna protezione. Al momento della musealizzazione del palazzo risalgono delle testimonianze che lo ricordano in una stanza estremamente umida del seminterrato poiché sotto il livello del Canal Grande.
Tali condizioni hanno comportato il sedimentarsi di polvere, particolati vari di deposito e la comparsa di muffe in maniera abbondante su tutta la pittura, compromettendone la lettura e l’apprezzamento dell’estetica dell’opera, caratterizzata dall’alternarsi di campiture lucide con altre opache e da uno spazio tridimensionale intenzionalmente voluti da Pollock.
Olio, pittura d’alluminio, smalto alchidico con sabbia, sassolini, filati e bastoncini spezzati di legno su tela.
La tela su cui Pollock dipinge è un tessuto sottile ad armatura semplice e dalle analisi è emerso che si tratta di un tessuto destinato non ad uso artistico ma presumibilmente per uso domestico. Sopra di questo stende un primer a base di bianco di piombo ed olio, utilizzato sia la spatola che pennelli grandi. Sopra questo primo strato bianco inizia la stesura di vari colori (almeno 15) e di diversa natura. Si riscontrano colori ad olio in tubetto: questi sono stati applicati sia con tratti sottili che con impasti materici; altre volte Pollock ha spremuto direttamente il tubetto sopra la tela. A questi si accompagna l’uso di colori dalla consistenza più fluida, ovvero gli housepaint, colori industriali nati non per uso artistico, gli alchidici, per lo più di natura oleroresinosa. Questi colori sono impiegati non in modo convenzionale: vengono gocciolati direttamente dal barattolo, talvolta coadiuvato da bastoncini, coltelli e vecchi pennelli nella loro colatura sulla tela poggiata a terra. Alcuni impasti di colore includono alcuni materiali quali sassolini, sabbia, pezzi di bastoncini in legno, per creare particolari texture ed enfatizzare la tridimensionale morfologia dell’intero film pittorico.
Al momento della sua realizzazione il dipinto era tensionato non sull’attuale telaio ma su di un telaio da tessitura che Pollock prese in prestito dalla madre, come documentato da una cartolina a lei inviata nel settembre del ’47.
L’opera non presenta una vernice finale e fortunatamente non fu mai verniciata in passati interventi di restauro o manutenzione. Pollock non prevedeva una stesura finale di vernice che avrebbe uniformato l’aspetto di tutti i colori, annullando quei passaggi di riflettanza diversa tra le campiture glossy e quelle matte.
Alchimia e sicuramente un’opera complessa dal punto di vista conservativo; difatti presentava diverse problematiche che sono state studiate ed approfondite, per un loro contenimento e soluzione nel progetto di conservazione e restauro, dai due Istituti, Opificio delle Pietre Dure di Firenze e Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, in stretta collaborazione con la Fondazione e il Museo Solomon Guggenheim di New York.
Le condizioni espositive in cui fu sottoposto Alchimia avevano comportato, in primo luogo il depositarsi copiosamente di pulviscoli, particolati vari e la formazione di muffe su tutta la superficie pittorica. Come già precedentemente detto, questo strato di sporco pregiudicava la qualità estetica della pittura creata con la tecnica innovativa di Pollock.
Considerando poi la natura di alcuni colori impiegati, per la loro non completa polimerizzazione, le polveri si erano non semplicemente depositate ma amalgamate al colore ed alcune campiture, in particolar modo, quelle di color argenteo, si erano opacizzate, perdendo la loro iniziale brillantezza.
La pittura manifestava delle rotture di alcuni impasti, piccoli sollevamenti del colore ed alcune cadute ma di piccola entità. Ciò era dovuto alla concomitanza di vari fattori quali il comportamento della tela e quello degli strati pittorici in relazione agli scarti termoigrometrici ambientali e le conseguenti sollecitazioni meccaniche; l’assestamento degli strati pittorici nel tempo e il loro invecchiamento.
Alcuni di questi erano avvenuti durante il processo creativo, data la sperimentazione della tecnica e degli impasti di colore così materici.
Prima della movimentazione e trasporto di Alchimia dal Museo PGC di Venezia al laboratorio di restauro della Fortezza da Basso è stata fatta una ricognizione delle aree dove il colore era più fragile, soprattutto lungo i bordi perimetrali, intervenendo in maniera localizzata alla riadesione. In seguito è stata realizzata una corretta pannellatura del retro del dipinto a maggiore sostegno della tela sia durante il trasporto che per gli interventi di restauro che sarebbero seguiti. La tela di Alchimia difatti mostrava principalmente una perdita di tensionamento al telaio; le fibre in alcune aree erano particolarmente indebolite ed un attacco micotico non più attivo era stato riscontrato analizzando le fibre tessili costitutive del supporto.
Considerando poi il carico costante, caratterizzato da una stratificazione di colore complessa e disomogenea, che la tela deve supportare nel tempo, il rischio della formazione di deformazioni permanenti della tela è piuttosto elevato. E’ stata così realizzata una apposita pannellatura del retro del dipinto per garantire un maggiore sostegno e supporto data la perdita di tensionamento e la decisione di non tensionare nuovamente la tela al telaio, ritenuto una scelta non opportuna per una serie di motivi. Uno fra questi è stato considerare che un eventuale smontaggio dal telaio per poi ripristinare una giusta trazione, avrebbe comportato una modifica importante dell’assetto estetico dell’opera, poiché i bordi perimetrali sono caratterizzati anch’essi da impasti di colore e dunque costituiscono parte imprescindibile dell’immagine pittorica.
Una volta che il dipinto era arrivato al laboratorio di restauro di Firenze è stata ricontrollata l’adesione degli strati pittorici, soprattutto quelle aree che avevano già mostrato una fragilità prima del trasporto. L’intervento dunque di consolidamento è stato completato tenendo conto nella scelta dell’adesivo non solo della compatibilità chimica con i materiali costitutivi dell’opera ma dell’aspetto fisico in termini di riflettanza con le aree dall’aspetto opaco e quelle più brillanti.
Successivamente è stato impostato l’intervento di pulitura che ha avuto come finalità la rimozione dello sporco e dei particolati vari di deposito sulla pittura di Alchimia. Lo sporco era in certi casi particolarmente adeso al colore, soprattutto per quei housepaint con una formulazione del medium comprensivo anche di oli poco siccativi che hanno comportato un rallentamento nella sua polimerizzazione, col risultato di campiture più appiccicose.
Il primo iter per la pulitura ha previsto dei piccoli test su tutte le tonalità rilevate, eseguiti sia con acqua che idrocarburi leggeri. I colori che hanno manifestato una certa sensibilità acquosa sono stati quei colori dove è stata rilevata la presenza di Sali metallici, in particolare carbossilati. Alla luce delle preliminari prove è stato poi stilato un protocollo di intervento di pulitura che ha previsto come primo iter una microaspirazione delle polveri non coese ma semplicemente sedimentate sulla superficie pittorica per poi proseguire con un metodo chimico. Nonostante la sensibilità di questi colori, il metodo acquoso è stato adottato come metodo di pulitura più idoneo per il raggiungimento dell’obiettivo finale, vale a dire la dispersione dei particolati vari di deposito in una soluzione acquosa per poi rimuoverli, senza innescare processi di ionizzazione dei materiali costitutivi del film pittorico. Per fare ciò si è lavorato con specifiche soluzioni tampone a prestabiliti valori di pH e conducibilità.
Data la peculiare superficie tridimensionale di Alchimia, i buffers sono stati usati in forma libera a pennello, senza alcun addensante o supportante per non incorrere nel rischio di residui di questi, data la difficoltà nella loro rimozione con un accurato risciacquo.
Per le campiture sensibili al mezzo acquoso, è stato impiegato un solvente alifatico libero con piccoli tamponi, facendo attenzione a non esercitare alcuno sfregamento o altra insistenza meccanica che avrebbe comportato un’alterazione della superficie (es. microabrasioni).
L’intervento di stuccatura ha interessato solo poche e piccole lacune. In alcune mancanze sono stati aggiunti allo stucco degli additivi quali granuli di quarzo, per ricreare la medesima texture dell’area adiacente alla mancanza.
La reintegrazione pittorica ha previsto il reinserimento a mimesi delle lacune nel contesto pittorico. Per le campiture con aspetto opaco il ritocco è stato fatto impiegando mescolane di pigmento e resina PEOX Aquazol 500, al 18% p/vol. resina PEOX in acqua. Per le campiture con un aspetto lucido il ritocco è stato fatto con la mescolanza di pigmenti e resina urea aldeidica Laropal A81.
Il dipinto non è stato verniciato, poiché l’applicazione di una vernice avrebbe comportato una alterazione dell’aspetto estetico concepito dall’artista, che avrebbe completamente annullato l’alternanza delle aree glossy con quelle matte, riscoperte e valorizzate in seguito all’intervento di pulitura.
Alchimia di Jackson Pollock. Viaggio all’interno della materia, a cura di L. Pensabene Buemi, F. Bettini, R. Bellucci, Collana Problemi di conservazione e restauro 52, Firenze, Edifir, 2019.
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