
Capolavoro dell’oreficeria aretina, l’opera contiene la reliquia del santo patrono della città, martire nel IV secolo d.C. Un restauro lungo e complesso, reso necessario dalle precarie condizioni conservative, che è diventato un fondamentale momento conoscitivo
Consulenza per la pulitura e il consolidamento dei reperti tessili: Susanna Conti (Direttore tecnico), Elisa Bracaloni (Allieva SAF)
Consulenza storico artistica: Daniela Galoppi
Consulenza numismatica: Franca Maria Vanni
Sponsor unico del restauro: Argenterie Giovanni Raspini S.p.A. – Pieve al Toppo, Arezzo
L’opera si compone di due parti distinte e separabili: il busto propriamente detto e la mitria con due infule pendule. Il manufatto è interamente realizzato in argento sbalzato, cesellato, inciso e parzialmente dorato, con placchette smaltate e castoni con paste vitree e pietre semipreziose. La mitria ospita diciotto placchette d’argento in smalto opaco e traslucido, mentre il busto ne conserva altre otto e le infule una ciascuna. La reliquia contenuta all’interno della testa è protetta da un copricapo in velluto viola tagliato unito
L’opera presentava un generale dissesto strutturale, con cedimento di alcune saldature della base e fratture della lamina, dovute alle sollecitazioni meccaniche legate all’uso liturgico, che ha compreso per molto tempo anche processioni per le vie cittadine. Segni di urto si riscontravano in molti punti, con deformazioni del metallo. Molti castoni con pietre sono andati perduti. Gli smalti sul busto sono quasi completamente scomparsi, laddove maggiore è stato lo stress meccanico e la manipolazione; si sono conservati al contrario in modo discreto quelli sulle placchette della mitria. La superficie metallica era fortemente scurita ed offuscata da ossidazioni, depositi pulverulenti, materiale ceroso ed oleoso, che hanno contribuito all’innesco di fenomeni di alterazione della lega metallica. Il volto era la parte che presentava la situazione più singolare e grave, sia dal punto di vista conservativo che estetico: oltre a diffusi fenomeni ossidativi nelle parti più esposte alla consunzione della doratura (zigomi, naso, mento), era molto evidente la presenza di piccole pustole grigio-nerastre, che le indagini scientifiche hanno identificato come cloruri d’argento. Il degrado riguardava anche l’antico copricapo in velluto, deformato, scucito in più punti e ricoperto da depositi pulverulenti e schizzi di cera
L’opera è stata oggetto di una lunga sequenza di interventi meccanici, volti al consolidamento e alla riparazione della base con saldature a stagno, lamine imperniate e legature con filo metallico
Una estesa e approfondita campagna di indagini diagnostiche ha analizzato i materiali costitutivi dell’opera e i prodotti di degrado, grazie alla collaborazione tra il Laboratorio Scientifico dell’OPD e altri Istituti di ricerca e alla consulenza di numerosi specialisti
Il restauro ha previsto lo smontaggio della sola mitria, poiché la tecnica di assemblaggio dell’opera non consentiva la progressione dell’operazione. L’intervento di pulitura è perciò avvenuto a oggetto montato, senza la separazione dei materiali costitutivi, che molto facilita le varie fasi del restauro e che sempre viene condotto nel Laboratorio quando la tecnica di realizzazione e le condizioni dell’opera lo consentono. Laddove possibile, sono state recuperate le deformazioni della lamina metallica, consolidate con materiali compatibili e secondo il principio della reversibilità e ritrattabilità le zone di frattura. I vecchi consolidamenti a stagno, non più efficaci, sono stati rimossi e sostituiti con mezzi meccanici facilmente rimovibili. La creazione di un supporto interno sopperisce allo scarico del peso dell’opera, sgravando completamente la base, ormai molto compromessa nella sua stabilità. Il copricapo in velluto è stato oggetto di un intervento di pulitura, consolidamento e rimessa in forma.
Durante la pulitura del colletto della veste, è avvenuta la scoperta di un piccolo “tesoretto” di 13 monete in rame e argento e 3 medaglie votive in lega di rame dorata di varia epoca nell’esiguo spazio tra la lamina che forma il busto del Santo e il colletto della veste. È certo che il busto reliquiario fosse oggetto di particolare venerazione e si può supporre che non fosse infrequente la donazione di offerte, lasciate cadere all’interno del busto attraverso l’apertura tra colletto e collo.
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