Nella Provincia di Arezzo, alle pendici del monte Penna , sorge il Santuario della Verna, luogo in cui San Francesco ricevette le stimmate nel 1224.
Nel corso dei secoli il primo piccolo nucleo delle origine, alcune capanne di legno, si è espanso dando vita ad una struttura completamente in pietra, che, tuttora, si mimetizza perfettamente nella roccia del monte.
Su di uno sperone della montagna, nel punto in cui avvenne il miracolo, sorge un complesso di edifici attorno alla cappella, collegato al resto del Santuario da un passaggio coperto, detto appunto Corridoio delle Stimmate.
Tale Corridoio è decorato da un ciclo di pitture murali realizzate sulla parete opposta a quella finestrata, che accompagnano il visitatore lungo tutto il percorso. Il ciclo comprende ventuno scene narranti la vita del Santo, con l’ausilio di altrettante didascalie.
Il ciclo fu commissionato a Baccio Maria Bacci nel 1929 dal Comune di Firenze, che da secoli deteneva il patronato sul Santuario. In realtà non fu Bacci il primo ad occuparsi della decorazione del corridoio; fin dalla sua costruzione la struttura aveva ospitato sulla parete le storie della vita del Santo, ma le pessime condizioni climatiche dell’ambiente avevano sempre ostacolato la conservazione degli affreschi. Le cronache del Santuario riferiscono di vari interventi, avvenuti nella seconda metà del Seicento e alla metà dell’Ottocento, che si sono susseguiti proprio a causa delle perdite delle pitture causate dalle proibitive condizioni climatiche del luogo.
Il Bacci dipinse diciannove episodi della sequenza in due tempi distinti, prima e dopo la seconda guerra mondiale; in particolare, nel secondo intervento si concentrò sul “restauro” di quelle danneggiate dai bombardamenti e quindi sulla prosecuzione delle opere interrotte e. In questa seconda fase del suo operato, iniziata nel 1959, il pittore, pur cercando di restituire un senso di completezza e d’insieme all’intero ciclo che era stato danneggiato, non si astenne dal dare spazio al suo nuovo stile pittorico, rendendo percepibile una certa discrepanza tra le varie scene. La nuova mentalità per la conservazione delle opere del passato rese impossibile l’intero rifacimento del ciclo pittorico come avrebbe desiderato il Bacci.
Il Bacci si accostò alla tecnica dell’affresco negli anni ’20, grazie anche alla lettura di trattati storici come il testo del Cennini ed è proprio a quell’epoca che risalgono i suoi primi approcci alla pittura murale.
Malgrado l’attenta lettura dei vari testi, il Bacci, nel realizzare il ciclo della Verna, omise di adoperare tutte le dovute precauzioni per scongiurare gli effetti derivanti dall’umidità preparando magari un supporto più resistente; si limitò ad usare quegli accorgimenti atti a fronteggiare le la durabilità della tecnica di stesura della pellicola pittorica, optando per il buon fresco, come dimostra la suddivisione in giornate.
Per trasferire il progetto grafico sull’intonaco utilizzò principalmente la tecnica dello spolvero per le scene della prima fase, mentre per le scene successive prevale l’utilizzo del cartone e dell’incisione diretta. Tra i pigmenti spicca l’utilizzo sistematico del bianco di Zinco anziché il classico bianco di calce.
Il Santuario è situato ad oltre mille metri sul livello del mare, in un contesto strutturale, ambientale e climatico molto difficile; il muro di supporto in pietra è spalleggiato dal terreno boscoso e frequentemente battuto dalla pioggia; il Corridoio è costantemente percorso da correnti d’aria.
Le condizioni climatiche sopratutto l’elevato tasso di umidità e le escursioni termiche hanno innescato nel tempo vari fenomeni di degrado, che hanno vanificato i timidi sforzi del Bacci di contrastare la natura impervia del luogo; gli eventi sismici, inoltre, hanno intaccato la stabilità degli intonaci e gli interventi eseguiti per riparare ai danni provocati dalla guerra hanno contribuito ad amplificare alcuni fenomeni degenerativi.
Prima degli interventi di restauro eseguiti dall’Opificio la parete dipinta presentava punti di forte inscurimento contrapposti ad altri molto chiari. Tale effetto derivava, proprio dal secondo intervento dell’artista, che, nel reintegrare le parti danneggiate, aveva utilizzato un prima stesura di fissativo per stabilizzare le scene sopravvissute della prima serie e poi aveva risarcito gli intonaci e riparato tutte le zone mancanti o sbiadite con una materia pittorica corposa e contenente il bianco di Zinco. Così le zone scoperte dalle ridipinture “nutrite” con il fissativo erano state colonizzate dai funghi divenendo scure, mentre le parti ridipinte resistevano per effetto proprio del bianco di Zinco che svolge notoriamente una funzione anti-fermentativa. In altre zone erano presenti numerose lacune dell’intonaco e aree di colore sollevato o già caduto; inoltre la polvere depositata sulle irregolarità rendeva illeggibili alcuni particolari figurativi sottostanti. Nella parte inferiore si potevano notare delle zone connotate da una patina verde, probabilmente alghe, che facevano ipotizzare la presenza di considerevoli infiltrazioni d’acqua.
L’Opificio ha iniziato ad occuparsi delle opere della Verna nel 2002, come cantiere didattico della Scuola di Alta Formazione. Le operazioni si sono svolte in tre fasi temporali a distanza di anni: la prima di carattere preliminare, si è incentrata sull’indagine e sulla recensione dei fenomeni di degrado, la campagna analitica, la riparazione di situazioni più urgenti per la conservazione della materia; la rimozione del materiale superficiale. La seconda cominciata nel 2004, ha previsto l’intervento completo su quattro scene del ciclo, sulla scorta dei risultati ottenuti durante la prima fase di indagine. La terza è consistita in una revisione generale di tutte le scene con ulteriori analisi dei materiali costitutivi e di restauro.
Le difficoltà dell’intervento erano la scelta di un adesivo in grado di resistere a quelle condizioni di invecchiamento; la conservazione delle due fasi pittoriche dello stesso autore con l’eliminazione della patina nera fungina. Infine i problemi del consolidamento della pellicola pittorica richiedevano l’utilizzo di una materiale non deperibile come quelli organici e perciò in due scene tra quelle a cui abbiamo dedicato una cura completa è stato applicato il metodo del bario idrossido, per il resto però ciò risultava a detrimento della seconda fase pittorica e perciò decidevamo di lasciare aperta la questione, senza utilizzare l’alternativa di un polimero sintetico che secondo noi poteva peggiorare nel tempo le condizioni conservative.
L’ultimo intervento effettuato è stato il ritocco pittorico con acquerelli. L’integrazione di molte abrasioni presenti è avvenuta mediante velature, mentre sono state poche le lacune ricostruite mediante la selezione pittorica.
M. Lanfranchi, A. Felici, Il restauro di un ciclo novecentesco di pittura murale: le pitture di Baccio Maria Bacci al Santuario della Verna, in “OPD Restauro”, 17 – 2005, Firenze 2006, pp. 179-190
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