
Costruzione del sistema di sostegno:
Riccardo Ballerini, Officina meccanica del LENS, UniFI
Marino Piva, Giancarlo Cosi, Luca Capannesi, Dipartimento di Ingegneria Agraria e Forestale, UniFI (Realizzazione della strumentazione per montare il gancio)
Il Crocifisso in legno policromo della chiesa Di San Carlo proviene da Orsanmichele, luogo in cui si trovava sicuramente prima del 1361. È stato attribuito all’Orcagna nel 1970 dalla Lisner, nel suo volume Crocifissi lignei in Firenze e in Toscana, che lo colloca intorno al 1360 e lo considera opera matura del maestro. L’attribuzione è stata ripresa successivamente da Boskovits e da Padoa Rizzo. Dopo l’intervento di restauro, eseguito presso i laboratori dell’OPD negli anni ’90, la sua esecuzione è stata collocata più precisamente tra il 1352 e il 1360. L’opera si discosta in maniera evidente dai crocifissi trecenteschi visibili a Firenze e nel suo circondario, è un’immagine molto avanzata che può essere paragonata solo al ‘Cristo’ di Andrea Pisano a Pescia, col quale presenta alcune corrispondenze. L’opera dell’Orcagna ha una forte carica umana e tragica, che non sfocia nel patetismo ma che contiene il dolore del passaggio tra la vita e la morte.
Caratteristiche costruttive
Il ‘Cristo’ è stato intagliato da un unico grande tronco di tiglio, dal quale sono stati modellati il corpo, la testa e le gambe. Unici elementi aggiuntivi sono le braccia e parte del drappo del perizoma, anch’esso in legno. Le braccia terminano con tenoni, parzialmente incastrati nel corpo e collegati mediante chiodi e colla animale. Sul retro gli incastri sono coperti da due tavolette di pioppo, anch’esse inchiodate e incollate, che costituiscono la parte alta del dorso, alle quali sono fissati i due ancoraggi alla croce: quello originale e quello ottocentesco.
Il tronco è stato svuotato dal retro, partendo dalla nuca fino ad arrivare al perizoma, per ridurre gli spacchi radiali da ritiro ed alleggerirne il peso. Interessantissima è la tecnica con cui è stata richiusa la vuotatura sul retro, ovvero con due tavolette di pioppo affiancate e della tela a ricoprirle, diventando un mezzo per realizzare un’opera a tutto tondo invece di una semplice chiusura. Tale sistema anticipa il concetto di raffigurazione dei corpi nudi tipica del Quattrocento. Nonostante la premura adottata nella tecnica costruttiva, durante il restauro sono state riscontrate delle fessurazioni risalenti all’esecuzione dell’opera, in quanto chiuse da sverzature originali e stucco a base di colla e segatura. Dalle radiografie si evidenziano alcuni grossi chiodi destinati a contenere le fessurazioni, fra cui due inseriti nella testa e due sul costato.
La preparazione e la policromia
La preparazione è molto sottile ed eseguita con gesso e colla animale. La pittura è a tempera, di colore ocra-verdastro nell’incarnato e di colore bianco avorio con decorazioni dorate nel perizoma. Tali decorazioni sono costituite da due bande laterali sula linea dei femori, con disegni geometrici tipici degli Orcagna. La foglia d’oro è applicata a missione su bolo arancio. Il sangue è in rilievo, grazie ad una base in pastiglia, ed è costituito da una lacca rossa con velature nere, applicate su di una base vermiglione.
L’opera si trovava in un pessimo stato conservativo a causa della totale ridipintura a finto bronzo e di un’importante infestazione d’insetti xilofagi, riconoscibile grazie alla miriade di fori di sfarfallamento presenti su tutta la superficie del Cristo. Le mani presentavano fratture delle dita e le braccia delle sconnessioni legate alla precarietà del gancio di sostegno alla croce, a causa del cedimento delle tavolette mangiate dai tarli. Sul torace erano presenti lunghe fenditure, anche se non compromettenti a livello strutturale. Sul davanti non vi erano particolari sollevamenti di preparazione e policromia mentre sul retro, in corrispondenza della tela utilizzata per la chiusura della vuotatura, il colore, ove ancora presente, era interessato da sollevamenti e cretti. Anche la croce era interamente ridipinta ed il cartiglio interessato da sollevamenti e cadute di colore.
Sia la croce che il Cristo erano interessati da un omogeneo deposito di particolato atmosferico.
Il Crocifisso era stato completamente ridipinto, probabilmente nel corso dell’Ottocento, con uno strato color bronzo patinato e lucido. Sul tergo del Cristo avevano sostituito il sistema di ancoraggio alla croce (senza rimuovere l’originale), fissandolo con quattro viti alle tavolette in pioppo e andandosi ad incastrare in un gancio di una staffa fissata alla croce.
L’opera, nonostante non presentasse un’infestazione in atto, è stata disinfestata con l’applicazione di permetrina sciolta in essenza di petrolio come prevenzione per infestazioni future.
La fermatura dei sollevamenti degli strati pittorici è stata eseguita con iniezioni locali di colla animale.
La rimozione della ridipintura è stata effettuata per gradi, applicando ammoniaca supportata da emulsione stearica. Una volta asportata la ridipintura, la pulitura è stata ultimata meccanicamente a bisturi e con una soluzione enzimatica ed un tensioattivo anionico, per raggiungere il giusto rapporto cromatico tra l’incarnato e il perizoma.
La lunga fenditura del tronco è stata richiusa con piccoli cunei in legno di tiglio, incollati su di un solo lato dello spacco per consentire al legno di muoversi, limitando la possibilità dell’apertura di nuove fenditure.
Gli assemblaggi delle braccia sono stati risistemati chiudendo le grosse lacune strutturali con piccolissimi cunei in legno di tiglio, seguendo il metodo sopraindicato.
Le integrazioni di modellato sono state ridotte al minimo, limitandosi ad integrare le dita delle mani mancanti in quanto eccessivamente deturpanti.
I fori di sfarfallamento, le lacune e le fessurazioni più sottili sono stati chiusi con gesso e colla animale.
Le stuccature sono state integrate pittoricamente a selezione cromatica con colori ad acquerello fino al raggiungimento del tono della policromia originale.
Di particolare complessità è stato trovare un sistema di ancoraggio del Cristo alla croce, che non gravasse sulle braccia e sulle parti danneggiate del dorso. Dopo varie ipotesi è stato scelto di ancorarlo nella parte interna del torace, poco al di sopra del proprio baricentro, mediante una piastra introdotta all’interno della vuotatura, fissata con sette viti alla parte di legno sana e spessa. La piastra è stata inserita dall’apertura superiore del canale con strumenti realizzati apposta, senza manomettere in alcun modo le tavolette di pioppo e la tela originali. Sulla croce è stato aggiunto un suppedaneo ripreso da quello raffigurato nell’affresco di Agnolo Gaddi nella chiesa di Santa Croce, come lieve appoggio e per contrastare la tendenza del Cristo a ribaltarsi in avanti.
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