Andrea Orcagna, Crocifisso, 1352-1360, Chiesa di San Carlo dei Lombardi, Firenze

  • : Intervento di restauro
  • Stato attività: concluso

Dati

Informazioni sull’attività

Informazioni sull’opera

Informazioni storico-descrittive

Il Crocifisso in legno policromo della chiesa Di San Carlo proviene da Orsanmichele, luogo in cui si trovava sicuramente prima del 1361. È stato attribuito all’Orcagna nel 1970 dalla Lisner, nel suo volume Crocifissi lignei in Firenze e in Toscana, che lo colloca intorno al 1360 e lo considera opera matura del maestro. L’attribuzione è stata ripresa successivamente da Boskovits e da Padoa Rizzo. Dopo l’intervento di restauro, eseguito presso i laboratori dell’OPD negli anni ’90, la sua esecuzione è stata collocata più precisamente tra il 1352 e il 1360. L’opera si discosta in maniera evidente dai crocifissi trecenteschi visibili a Firenze e nel suo circondario, è un’immagine molto avanzata che può essere paragonata solo al ‘Cristo’ di Andrea Pisano a Pescia, col quale presenta alcune corrispondenze. L’opera dell’Orcagna ha una forte carica umana e tragica, che non sfocia nel patetismo ma che contiene il dolore del passaggio tra la vita e la morte.

Tecnica esecutiva

Caratteristiche costruttive
Il ‘Cristo’ è stato intagliato da un unico grande tronco di tiglio, dal quale sono stati modellati il corpo, la testa e le gambe. Unici elementi aggiuntivi sono le braccia e parte del drappo del perizoma, anch’esso in legno. Le braccia terminano con tenoni, parzialmente incastrati nel corpo e collegati mediante chiodi e colla animale. Sul retro gli incastri sono coperti da due tavolette di pioppo, anch’esse inchiodate e incollate, che costituiscono la parte alta del dorso, alle quali sono fissati i due ancoraggi alla croce: quello originale e quello ottocentesco.
Il tronco è stato svuotato dal retro, partendo dalla nuca fino ad arrivare al perizoma, per ridurre gli spacchi radiali da ritiro ed alleggerirne il peso. Interessantissima è la tecnica con cui è stata richiusa la vuotatura sul retro, ovvero con due tavolette di pioppo affiancate e della tela a ricoprirle, diventando un mezzo per realizzare un’opera a tutto tondo invece di una semplice chiusura. Tale sistema anticipa il concetto di raffigurazione dei corpi nudi tipica del Quattrocento. Nonostante la premura adottata nella tecnica costruttiva, durante il restauro sono state riscontrate delle fessurazioni risalenti all’esecuzione dell’opera, in quanto chiuse da sverzature originali e stucco a base di colla e segatura. Dalle radiografie si evidenziano alcuni grossi chiodi destinati a contenere le fessurazioni, fra cui due inseriti nella testa e due sul costato.

La preparazione e la policromia
La preparazione è molto sottile ed eseguita con gesso e colla animale. La pittura è a tempera, di colore ocra-verdastro nell’incarnato e di colore bianco avorio con decorazioni dorate nel perizoma. Tali decorazioni sono costituite da due bande laterali sula linea dei femori, con disegni geometrici tipici degli Orcagna. La foglia d’oro è applicata a missione su bolo arancio. Il sangue è in rilievo, grazie ad una base in pastiglia, ed è costituito da una lacca rossa con velature nere, applicate su di una base vermiglione.

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