La ceramica argentata è una particolare classe etrusca di vasi in argilla diffusa in età ellenistica, tra la fine del IV e l’inizio del II sec. a.C., cosiddetta dal tipico rivestimento con una sottile pellicola bianco-grigiastra di origine stannifera applicata sui vasi per simulare una superficie argentata. È chiamata anche volsiniese dai luoghi di diffusione e probabile produzione identificati con Orvieto (Volsinii Veteres) e Bolsena (Volsinii Novi), cui si aggiunge la zona del Viterbese (Falerii veteres).
Un gruppo di vasi appartenenti a questa classe e proveniente dalle acquisizioni ottocentesche del MAF è stato restaurato presso i laboratori dell’Opificio delle Pietre Dure: un’anfora con anse a volute che reca un fregio a rilievo con scena di Amazzonomachia rinvenuta nel 1902 a Bolsena, in località Gazzetta; un cratere a volute proveniente dalla Tomba 1 della stessa necropoli di Gazzetta; vasi e frammenti di vasi riconducibili ad otto diversi pezzi tutti rinvenuti nel 1896 a Bolsena, nella Tomba 2 della necropoli di Poggio Sala.
I reperti sono stati oggetto di un precedente restauro, da collocare nel 1896 per il gruppo di sei vasi, e nel 1905 o poco dopo per l’anfora con anse a volute.
Il progressivo degrado dei materiali utilizzati nel vecchio restauro ha reso necessaria la programmazione dell’intervento conservativo. In particolare, l’indebolimento della tenuta delle integrazioni e delle stuccature antiche, realizzate con materiali diversi (gesso, inerti, leganti organici), così come dei collanti, ha infatti compromesso la stabilità dei manufatti. Di non minor conto nella valutazione è stato il viraggio cromatico subito dagli strati superficiali delle integrazioni, in origine probabilmente armoniche con la superficie dei vasi, ma che ossidandosi, avevano assunto una tonalità bruno scura: di conseguenza la scelta di asportare completamente le precedenti integrazioni per riproporle con materiali idonei per compatibilità, aspetto e durabilità.
Dovendo necessariamente smontare i vasi per effettuare il nuovo intervento conservativo è stato affrontato il problema dell’aspetto che assumeranno dopo il restauro, inevitabilmente diverso da quello precedente, considerando anche gli aspetti storici. I reperti, appartenendo da più di un secolo alle collezioni del Museo fiorentino, sono stati oggetto di diversi studi e sono stati editi in varie pubblicazioni scientifiche. Sono quindi conosciuti nell’aspetto e nella forma che erano stati loro conferiti dal primo restauro.
L’intervento in corso ha tenuto conto di queste peculiarità, mirando a conciliare i principi del restauro moderno con l’esigenza di mantenere anche la memoria del lavoro precedente. La concertazione fra tecnici, direttore del museo e archeologi ha stabilito le linee guida che sono state seguite nel nuovo restauro. Si è deciso di ricostruire tutte le integrazioni materiche formalmente riconducibili alle parti originali. Allo stesso tempo si sono ripresentate alcune soluzioni, adottate nel vecchio restauro, mirate a completare le forme vascolari pur mantenendo ben distinguibili le parti ricostruite.
Nel corso del restauro si sono riscontrate alcune improprietà negli assemblaggi precedenti, come poteva avvenire nel restauro ottocentesco: alcuni frammenti non pertinenti erano stati integrati per ottenere vasi più completi possibile.
L’intervento conservativo ha consentito di approfondire le conoscenze nell’ambito di due distinte linee di ricerca di particolare interesse per i nostri laboratori: lo studio sui restauri storici e l’indagine sulle tecniche di manifattura.
Nei casi di interventi su beni archeologici musealizzati, capita frequentemente che questi siano stati oggetto di precedenti restauri che per di più, come in questo caso, costituiscano almeno in parte la causa del degrado per cui un nuovo intervento si rende necessario. Simili occasioni offrono l’opportunità di approfondire le scelte operative, i materiali e le tecniche impiegati nei precedenti restauri, fornendo informazioni utili non solo ad orientare il nuovo intervento con scelte ponderate e calibrate che siano rispettose della storia delle opere, ma anche ad ampliare le nostre conoscenze nell’ambito della storia del restauro.
La seconda linea di ricerca ha interessato l’indagine sulle tecniche di manifattura della cosiddetta “ceramica argentata” etrusca, classe poco conosciuta per la ristretta zona di produzione e diffusione e per il limitato range cronologico che ebbe in antico, su cui sono stati già pubblicati studi interessanti che sono in corso di approfondimento con ulteriori analisi a cura del Laboratorio scientifico dell’Opificio e con una sperimentazione volta a riprodurre le fasi e le tecniche di realizzazione.
R. Bonaiuti, C. Fornari, M.E. Masci, Un gruppo di vasi etruschi in ceramica argentata volsiniese dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze, in “OPD Restauro 34” (2022), c.s.
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