Raffaello, Ritratto di papa Leone X con i due cugini cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi, 1518, Le Gallerie degli Uffizi, Firenze

  • : Intervento di restauro
  • Stato attività: concluso

Dati

Informazioni sull’attività

Informazioni sull’opera

Informazioni storico-descrittive

Vicende conservative
Le vicende legate all’opera iniziano con il suo invio a Firenze nel settembre del 1518 in occasione delle nozze di Lorenzo de’ Medici, duca di Urbino, con Maddalena de la Tour d’Auvergne. Lo zio pontefice è rappresentato insieme a due cardinali, entrambi appartenenti alla famiglia Medici: i cugini Giulio de’ Medici (a sinistra) e Luigi de’ Rossi (a destra).
La prima citazione del capolavoro nelle collezioni medicee risale alla descrizione del Vasari riportata nella prima edizione delle Vite del 1550: «Fece in Roma un quadro di buona grandezza, nel quale ritrasse papa Leone, il cardinale Giulio de’ Medici e il cardinale de’ Rossi, nel quale si veggono non finite ma di rilievo tonde figure: […] La quale opera fu cagione che il Papa di premio grande lo remunerò; e questo quadro si trova ancora in Fiorenza nella guardaroba del Duca».
In quel tempo la tavola si trovava «nella sala dell’Appartamento nuovo della Guardaroba dove alloggiano ‘e’ forestieri’» come da inventario di Palazzo Vecchio del 27 ottobre 1553. Nella Guardaroba granducale di Palazzo Vecchio è confermato nelle revisioni inventariali tra il 1553 e il 1560 e ancora negli anni 1574-1575.
Dal 1589 fino a quasi tutto il Seicento risulta esposto nella Tribuna degli Uffizi, sopra la porta di ingresso. Viene poi trasferito a Palazzo Pitti quasi allo scadere del XVII secolo, nel 1697. All’inizio del Settecento risulta collocato nella Camera dell’Alcova dell’appartamento al primo piano del Gran Principe Ferdinando, riordinato da Cosimo III dopo la morte del figlio, dove sembra rimanere durante la Reggenza del primo periodo lorenese. Solo dopo il riordinamento degli appartamenti realizzato all’arrivo di Pietro Leopoldo, il ritratto di papa Leone X risulta collocato nell’Appartamento di Pietro da Cortona, nella sala di Marte, dove in seguito sarà spostata anche la Madonna della Seggiola.
Nel 1799 i francesi requisiscono il dipinto da Palazzo Pitti per portarlo a Parigi. Negli anni compresi tra il 1799 fino al 1816 viene sottoposto ad un intervento di pulitura diseguale e drastica. Viene poi restituito nel 1815 e ricollocato in galleria l’anno successivo nella sala di Marte.
Nel corso dell’Ottocento non si hanno notizie di altri interventi ma non si può escludere del tutto che il dipinto sia stato sottoposto a qualche manutenzione.
Dal 1940 al ‘45 l’opera subisce diversi spostamenti tra la villa di Poggio a Caiano, Camaldoli e il Museo degli Argenti. Dagli anni Ottanta del secolo scorso è stata esposta nella sala 26 degli Uffizi, detta di Raffello e di Andrea del Sarto.
L’ultimo intervento a cui viene sottoposto è stato realizzato da Alfio del Serra tra il 1995 e il 1996 in occasione della mostra dedicata all’opera all’interno degli Uffizi.
Dal 2012 viene spostato dalla sala 26 alla Sala 66 degli Uffizi al primo piano.

Tecnica esecutiva

Il dipinto è realizzato ad olio su un supporto ligneo e misura 155x119x3 cm.
Il tavolato è stato ottenuto impiegando cinque assi di legno di pioppo di scarsa qualità, con numerose nodosità e deviazioni della fibra. Una di esse (la quarta da sinistra guardando la pittura) presenta addirittura l’orientamento degli anelli di accrescimento del legno posto in senso contrario rispetto alle altre.
L’indagine radiografica ha evidenziato come le cinque assi di pioppo siano state accostate ed incollate a spigolo vivo, senza l’ausilio di elementi interni di collegamento. Una volta assemblato, il tavolato è stato dotato di due traverse a sezione trapezoidale “a coda di rondine”, inserite in apposite tracce ricavate nello spessore del legno; non è chiaro se una delle due sia stata sostituita in un precedente intervento di restauro o se siano entrambe autentiche.
Per l’approfondimento della tecnica pittorica è stata condotta l’analisi XRF puntuale e a scansione. Sono inoltre stati eseguiti: la fotogrammetria robotica, il rilievo 3D dell’intera superficie per lo studio e la documentazione dello stato morfologico dell’opera; l’indagine OCT (tomografia ottica coerente) per l’analisi stratigrafica/morfologica ad alta risoluzione per il monitoraggio della pulitura e il rilievo 3D mediante microprofilometria a scansione.
Il dipinto è stato realizzato su una sottilissima preparazione bianca, stesa sul supporto ligneo, in due mani, a base di gesso e colla animale, con più strati impermeabilizzanti di sola colla in superficie.
La stratigrafia procede con una sottile imprimitura di colore grigio chiaro, a base di bianco di piombo caricato di pochissimo nero di carbone e scagliette di vetro, stesa su tutta la superficie dell’opera.
Per quanto riguarda il disegno preparatorio, come la riflettografia mostra, Raffaello utilizza due metodi diversi di costruzione del disegno, ricavato da schizzi certo eseguiti separatamente dei tre prelati. Da questi appunti grafici egli ricava due cartoni da utilizzare “a spolvero” per la trasposizione sul dipinto. Per la figura del papa la riflettografia mostra un procedere più complesso e meno meccanico, senza l’utilizzo della puntinatura. Sono infatti molto riconoscibili e evidenti tratti piuttosto spessi, a mano libera, tracciati con un carboncino, che definiscono con una sintesi e, al tempo stesso, con straordinaria capacità fisiognomica e acutezza psicologica, i caratteri salienti e distintivi del volto di Leone X. La composizione del gruppo, dunque, avvenne per fasi differenziate, ma congrue e sincrone come progettazione e cronologia, senza alcun avvicendamento o ripensamento nella sua elaborazione.
La pellicola pittorica, probabilmente ad olio, realizzata con una precisa ma ristretta gamma di colori, è stesa sull’imprimitura grigio chiaro con spessori sottili ma comunque diversificati a seconda della rappresentazione degli elementi della composizione, in un rapporto cromatico armonico e con effetti di grande brillantezza.

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