Giacinto Botteghi, Martirio di Sant’Antonino Re d’Appamia, 1660, Chiostro dei Morti, Basilica di Santo Spirito, Firenze

  • : Intervento di restauro
  • Stato attività: in corso

Dati

Informazioni sull’attività

Informazioni sull’opera

Informazioni storico-descrittive

La realizzazione del Chiostro di San Nicola da Tolentino, detto anche Chiostro “dei Morti” per le numerose lapidi presenti sulle pareti perimetrali, fu per opera dell’architetto Giulio Parigi.

La decorazione pittorica del chiostro fu realizzata in un arco temporale che va verosimilmente dal 1639 al 1701. Il ciclo è articolato in trentacinque lunette e raffigura episodi della vita di Sant’Agostino e di religiosi legati all’ordine da lui fondato.
La lunetta oggetto di questo studio è stata dipinta da Giacinto Botteghi nel 1660 e raffigura Martirio di Sant’Antonino Re d’Appamia (la lunetta è datata e firmata). Rarissime sono le notizie su questo quasi sconosciuto pittore fiorentino del XVII secolo. Sappiamo che era immatricolato all’Accademia delle Arti del Disegno come anche gli altri pittori che realizzarono questo ciclo. Questi probabilmente furono incaricati di eseguire questi dipinti proprio perché era necessario soltanto rispettare didascalicamente il tema iconografico e non una particolare fama.
Nonostante le agiografie dei Santi chiamati Antonino vengano comunemente confuse, la vicenda raffigurata nella lunetta di Santo Spirito dovrebbe essere riferibile a un episodio della vita di Sant’Antonino di Pamiers. Sant’Antonino fu un religioso francese che morì martire per la fede. Nato di sangue reale nella località di Pamiers e educato nella fede ariana, si convertì a quella cattolica, opponendosi al padre e lasciando una casa agiata per recarsi a Roma ove divenne prete. Dopo aver convertito molte persone alla fede cattolica tornò a Pamiers, ma durante la sua assenza un certo Métope aveva assunto il controllo della regione. Il tiranno condannò il Santo a morte, probabilmente per paura che questo rivendicasse la corona.
La lunetta dipinta raffigura il momento del martirio nel quale Sant’Antonino, in ginocchio dinanzi al tiranno seduto in trono, sta per essere decapitato da un soldato.

Tecnica esecutiva

La pittura di Giacinto Botteghi è stata eseguita con una tecnica mista.
Per quanto riguarda gli strati preparatori è presente uno strato di arriccio e uno di intonaco pittorico. La finitura superficiale dell’intonaco è lasciata abbastanza ruvida, in modo da fornire un migliore supporto alle spesse pennellate date a corpo.
L’intonaco pittorico è caratterizzato da giornate di lavoro di dimensioni e forme variabili.
Il disegno preparatorio è stato riportato sulla superficie pittorica mediante l’uso dell’incisione indiretta da cartone, molto ben visibile anche nelle zone abrase, ripresa poi con un disegno eseguito con un pigmento rosso/bruno.
La tavolozza pittorica è costituita dai pigmenti più comuni per la pittura murale, come terre, ocre gialle e rosse, terra verde, nero carbone, un altro nero ricco di zolfo, un pigmento a base di ossido di ferro (ematite, o caput mortuum) e smaltino per i blu. Dalle analisi diagnostiche sono emersi inoltre elementi chimici riferibili a pigmenti moderni che fanno pensare che l’opera sia stata diffusamente rimaneggiata.
Dalle analisi è emerso inoltre che l’opera è dipinta molto probabilmente a calce, che costituisce il legante dell’impasto pittorico, unita ai pigmenti e a solfato di calcio. L’uso del gesso come carica, insieme ai pigmenti e alla calce, permette di lavorare con impasti corposi e coprenti e potrebbe essere stato qui utilizzato con lo scopo di far asciugare velocemente il colore per vedere subito i toni più chiari. Questo escamotage denoterebbe una certa imperizia tecnica a dipingere su muro (e forse una maggiore esperienza nella ‘pittura da cavalletto’, per la quale il gesso è un materiale certamente più consueto).
La presenza di solfato di calcio, come pigmento o come carica, è una particolarità tecnica assoluta, inusuale e anomala dal punto di vista sia cronologico che geografico e non trova riscontro nella trattatistica né seicentesca, né posteriore.

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