
La storia del San Girolamo di Domenico Ghirlandaio è strettamente legata a quella del Sant’Agostino di Sandro Botticelli. Infatti, entrambe le pitture furono eseguite sul tramezzo della Basilica di Ognissanti, che in origine separava il coro della chiesa con la parte dell’aula destinata all’assemblea, che fu demolito in epoca di controriforma, intorno al 1564. La connessione fra le pitture appare evidente per i rimandi fra i soggetti raffigurati e trova riscontro puntuale ne Le Vite del Vasari e ne Il riposo di Raffaello Borghini.
La data 1480 è riportata in numeri romani sul leggio del santo, fornendo un’esatta datazione della sua esecuzione.
La pittura è stata eseguita principalmente con la tecnica dell’affresco. Grazie a un’indagine visiva eseguita con luce radente, è stato possibile risalire al numero e alla successione delle giornate. Infatti, dall’analisi della loro sovrapposizione, si evince come la pittura sia stata eseguita, come di consueto, dall’alto verso il basso, suddividendo il lavoro in 12 giornate. Di particolare interesse risulta l’inserimento delle porzioni di intonaco relative al pilastro, al capitello e al relativo arco. Queste, infatti, sembrano essere state eseguite in un secondo momento, asportando la parte perimetrale sinistra dell’opera precedentemente compiuta. Per quanto riguarda il capitello, infatti, tracce di una versione precedente sono visibili in corrispondenza della giunzione delle due giornate. Tale fenomeno è stato rilevato anche sul dipinto murale di Botticelli, laddove è stato eseguito un pilastro con capitello molto simile a quella del Ghirlandaio, rimuovendo gli elementi architettonici dipinti in precedenza.[i] È logico quindi supporre che ci fosse stato in un secondo momento la necessità di uniformare le due pitture, forse per mano del Ghirlandaio stesso.
Come di consueto, per la definizione degli elementi architettonici sono state impiegate incisioni dirette e battiture di corda: queste ultime sono state impresse nell’intonaco per delineare il pilastro, le cui scanalature, invece, sono state eseguite usando come riferimento dei piccoli tratti incisi a intervalli regolari nella malta fresca.
Grazie allo scanner riflettografico multispettrale è stato possibile verificare la presenza dello spolvero come sistema per il riporto del disegno della figura del santo, del capitello e in generale degli oggetti presenti nello studio, mentre gli arredi di forma geometrica sono stati definiti con incisioni dirette.
Attraverso una mirata campagna di indagini diagnostiche non invasive (XRF per punti e a scansione) è stato possibile mappare la presenza di elementi riconducibili ai pigmenti utilizzati. E’ stato verificato l’impiego di una tavolozza ampiamente compatibile con la tecnica dell’affresco con largo uso di terre, ocre e bianco di calce. Di particolare interesse è l’impiego del prezioso lapislazzulo impiegato anch’esso ad affresco per le campiture blu e che fu rilevato anche sulla pittura del Botticelli.
È emersa anche la presenza dell’elemento piombo (riconducibile alla biacca) individuata per alcune rifiniture della manica del San Girolamo oltre che per il lato del capitello raffigurato di scorcio, di cui rimangono solo pochi frammenti.
Segni della precedente versione del capitello del sant’Agostino sono chiaramente visibili nella giornata adiacente, che fu solo parzialmente asportata per accogliere il nuovo intonaco.
Al pari della pittura del Botticelli, il dipinto subì le vicissitudini conservative dell’ambiente dove era custodito: infatti, a seguito dei dettami stabiliti dal concilio di Trento, che prevedevano la demolizione dei tramezzi che nelle chiese separavano il coro dai fedeli, venne rimosso dal suo muro originario, fra il 1564 il 1566, tramite un intervento di stacco a massello. Questo intervento apriva la lunga fase dei lavori di ammodernamento della Chiesa, voluto dall’ordine dei Minori Osservanti che, subentrando come proprietari dell’edificio agli Umiliati per volontà del granduca Cosimo nel 1561, ne avviarono una radicale ristrutturazione. Risale a questa fase l’erezione delle 10 cappelle, che custodiscono altrettanti altari, costruite sui lati della navata a guisa di edicole con un arco a tutto sesto, poggiante su due colonne di ordine composito. Lo stacco a massello e la movimentazione dell’opera sono ricordati dal Vasari nelle sue Vite. La pittura venne infatti ricollocata sulla parete sinistra della navata e troverà spazio fra due edicole, frontalmente a quella del Botticelli posta sulla parete destra. Circa due secoli più tardi, il trasporto sarà ricordato, se pur con qualche refuso, anche nelle Notizie istoriche delle Chiese fiorentine divise ne’ suoi quartieri di Giuseppe Richa. In concomitanza all’intervento di stacco a massello furono probabilmente realizzate delle integrazioni pittoriche alle opere, per meglio accordarle con il contesto circostante, grazie all’inserimento di elementi architettonici e decorativi. Probabilmente in quella stessa fase, due scritte in latino furono inoltre aggiunte sull’architrave di entrambi i santi, atte a elogiare il complesso intervento di trasporto. Tracce di questa scritta sono ancora visibile nell’architrave dipinta della pittura del Botticelli , mentre quella che fu eseguita sul san Girolamo fu rimossa nel corso di un intervento di restauro precedente all’alluvione. La radicale trasformazione della Chiesa fu completata tra il 1769 e i primi anni della decade successiva, quando fu intrapresa la modifica della copertura del soffitto dell’aula con l’inserimento di una struttura a canniccio abilmente decorata con un vertiginoso sfondato architettonico da Giuseppe Romei e Giuseppe Benucci. La campagna decorativa venne naturalmente estesa all’intera superficie della navata: è plausibile che tale modifica avesse comportato la necessità di raccordare il dipinto del Ghirlandaio e quello di Botticelli con le nuove quadrature della parete, in accostamento o sovrapposizione ai rifacimenti cinquecenteschi. Dall’analisi delle immagini di archivio si configurano due distinti restauri eseguiti sul San Girolamo prima dell’alluvione: il primo intervento portò alla rimozione della scritta in latino che elogiava il trasporto a massello e l’esecuzione di riprese pittoriche localizzate soprattutto nella zona inferiore. Nell’ambito del secondo intervento, eseguito da Leonetto Tintori, furono invece asportati completamente i rifacimenti di raccordo sovrammessi alle lacune perimetrali. A seguito dell’alluvione fu lo stesso Tintori a intervenire per scongiurare il danneggiamento dell’opera, prima attraverso il tentativo di asciugare la parete dal lato opposto a quello della pittura e successivamente con un intervento di stacco dal supporto murario.
L’opera non mostrava di fenomeni di degrado rilievo: le problematiche conservative, infatti, erano state compensate con riprese pittoriche molto diffuse e velature che conferivano alla pittura una certa uniformità. Tuttavia, a una lettura più attenta della superficie pittorica si evidenziavano disomogeneità cromatiche dovute probabilmente a residui di sporco, di colla impiegata per lo stacco e di un antico fissativo molto lucido che non è stato possibile caratterizzare con le indagini diagnostiche. Su tutta la superficie erano inoltre presenti aloni giallastri diffusi, visibili maggiormente nell’architrave superiore, ma disseminati su tutta l’opera, solo parzialmente rimossi nel corso di un pregresso intervento di pulitura. I ritocchi pittorici erano distribuiti soprattutto nella parte inferiore dell’opera, quella maggiormente compromessa anche prima dell’alluvione del 1966, ma erano largamente presenti su tutta la pittura, soprattutto sul tendaggio alle spalle del santo che presentava numerose abrasioni e cadute di colore. Questi ritocchi sembravano essere stati eseguiti in più fasi, forse anche recentemente, sia con colori ad acquerello che con colori sintetici, presumibilmente di natura acrilica.
L’adesione al supporto non mostrava criticità: grazie all’analisi eseguita attraversi una lacuna è stato possibile verificare la presenza di un backing applicato dal Tintori facendo aderire uno o due strati di tela al verso dell’opera, verosimilmente con una resina sintetica caricata, forse la stessa resina impiegata per l’adesione della pittura al supporto in vetroresina.
Come prima fase dell’intervento, inizialmente orientato verso finalità manutentive, è stata prevista una leggera pulitura, allo scopo di rimuovere i depositi parzialmente coerenti, con acqua demineralizzata supportata da Nevek®. Tuttavia, la comparsa di spiccate disomogeneità e aloni ha comportato la necessità di un intervento più risolutivo.
La pulitura è stata quindi condotta tramite applicazione di impacchi di soluzione satura di carbonato di ammonio, supportata da pasta cellulosica e sepiolite, applicati a pennello o a spatola (a seconda della tenacia dei residui di sporco da rimuovere) con tempi di contatto variabili. Alcuni localizzati residui di fissativo particolarmente tenaci sono stati trattati con impacchi di carbonato di ammonio ridotto in poltiglia steso su carta giapponese a pennello o a spatola.
Si è proceduto quindi rimuovendo i consistenti ingiallimenti tramite compresse assorbenti a base di acqua deionizzata, supportata da pasta cellulosica e sepiolite, applicate su tre strati di carta giapponese per scongiurare la possibilità di strappi del colore. Laddove questi ingiallimenti mostravano una certa resistenza, gli impacchi erano formulati con i medesimi supportanti ma con l’aggiunta di una soluzione satura di carbonato di ammonio.
Le compresse erano lasciate a contatto con la pittura fino ad asciugatura.
I ritocchi aventi legante di sintesi sono stati rimossi con una miscela di Alcol benzilico ed etilico supportati in Nevek® con tempi di contatto di circa 5-10 minuti.
Le stuccature eseguite nel corso degli interventi pregressi sono state mantenute se considerate di fattura idonea, altrimenti, una volta rimosse, le lacune sono state ripristinate con malte a base di calce e sabbia fine.
Le numerose abrasioni sono state ritoccate in sottotono intonato, le lacune con il sistema della selezione cromatica. L’intervento è stato eseguito sia con acquerelli e pigmenti stemperati in caseinato di ammonio al 2%, in relazione alle caratteristiche cromatiche della pellicola pittorica originale.
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