
Un oggetto di oreficeria singolare e affascinante, ancora oggi al centro delle celebrazioni della santa patrona di Montefiascone
Dell’autore del Busto reliquiario di santa Margherita (1447-1455/1463) non sappiamo nulla, per quanto gli studiosi da qualche tempo abbiano circoscritto il campo alle manifatture viterbesi. La sua realizzazione si deve al fatto che nel 1369, dopo il ritrovamento dei resti di santa Margherita d’Antiochia a Montefiascone, papa Urbano V le fece dedicare la cattedrale cittadina e, attorno alla metà del secolo successivo, Bartolomeo Vitelleschi commissionò un reliquiario che fosse all’altezza della santa patrona. Si può ipotizzare quindi che l’opera sia stata completata entro il 1455 o il 1463, anno di morte del Vitelleschi, che si prodigò di far inserire nell’iscrizione votiva anche il nome di un suo famigliare, il cardinale Giovanni Patriarca di Antiochia, figura di spicco del primo Quattrocento. Il busto reliquiario raffigura una santa fanciulla (Margherita morì all’età di quindici anni), con i capelli sciolti, una corona sul capo. Un drago, simbolo del suo martirio, avvolge tra le spirali il corpo della santa, all’altezza delle braccia. La preziosa oreficeria contiene la reliquia della testa della martire ed è al centro dei festeggiamenti che per alcuni giorni celebrano la santa patrona di Montefiascone (la ricorrenza del martirio cade il 20 luglio).
Il drago è realizzato da cinque elementi (corpo, ali e zampe) in lamine di rame, sbalzate, cesellate, dorate ad amalgama di mercurio e assemblate tramite saldatura. Queste parti sono assicurate al busto e alla base da zeppe in legno e ferro. L’ampia base ovale è realizzata in lamina di rame tirata a martello. Nella parte anteriore vi si trovano: l’iscrizione con l’indicazione della committenza, lo stemma vescovile della famiglia Vitelleschi e quello papale di Niccolò V. Il medaglione centrale riferisce di un restauro del 1652. La preziosa e particolareggiata incisione disegna la veste, decorata da sei tra gemme e vetri incastonati. La settima decorazione, posta al centro, è un piccolo gioiello in oro, parzialmente smaltato.
Il reliquiario riveste tuttora una grande importanza nella devozione religiosa della comunità di Montefiascone e i maggiori problemi conservativi che l’opera presenta sono proprio connessi all’uso liturgico. Il reliquiario è oggetto di una processione, che ovviamente sottopone l’opera a piccoli traumi e vibrazioni, che rischiano di allentare i sistemi di connessione meccanici. Tra i maggiori problemi, sono state riscontrate vistose saldature in lega stagno piombo, esito di riparazioni avvenute in passato per porre rimedio a rotture. La più rilevante saldatura è quella eseguita sulla calotta della testa, forse per riparare un danno o per rendere inaccessibile la reliquia. Erano anche presenti fenomeni corrosivi del metallo, provocati da interventi di pulitura eseguiti senza procedere allo smontaggio dell’opera, il che ha comportato una mancata o una solo parziale rimozione delle sostanze utilizzate per l’intervento, divenute esse stesse motivo di degrado.
La presenza della reliquia all’interno dell’opera ha fortemente condizionato lo svolgimento del restauro, reso ancora più complesso dalla eterogeneità dei materiali applicati sulla base. La fondamentale operazione di smontaggio è perciò stata eseguita fin dove possibile, agendo sugli elementi di ancoraggio meccanici, al fine di consentire lo svolgimento delle operazioni di pulitura differenziata sui diversi materiali in modo sicuro ed efficace. A tal fine sono state utilizzate metodologie tradizionali, quando l’intero smontaggio dell’elemento lo consentiva, come per il drago, procedendo all’immersione in una soluzione di sostanze chelanti e acqua deionizzata. Per gli elementi che, al contrario, non potevano essere sottoposti a completo smontaggio, sono state applicate altre tecniche di pulitura. L’intervento sulle parti metalliche appartenenti alla placchetta incisa è stato condotto con gomme abrasive (dry cleaning), anziché con la tradizionale pulitura con bicarbonato di sodio e mezzo acquoso, per evitare di interferire con la stesura di una sostanza organica, applicata sul fondo inciso. Per la base e la scultura della santa, al fine di rimuovere i prodotti di corrosione, si è provveduto ad applicare un gel rigido di agenti chelanti. A causa dell’uso dell’opera durante la liturgia, si erano aperte alcune fratture ed erano intercorse deformazioni delle lamine. Sono stati eseguiti gli opportuni consolidamenti, come nella mostra in cristallo della reliquia e nella corona in argento dorato della santa, sulla quale è stata integrata una lacuna e sono stati sostituiti gli ancoraggi ormai inadeguati, che la fissavano sulla testa. Nel corso del rimontaggio, gli elementi sono stati assemblati ritrovando la corretta posizione, alterati nel corso del tempo.
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