
Il bellissimo Angelo Annunciante quattrocentesco, dalla chiesa di San Gennaro a Capannori in Lucchesia, è attribuito alla Scuola del Verrocchio ed è oggetto di un vivace dibattito che si svolge attorno al nome del suo autore, già individuato da Carlo Pedretti, qualche anno fa, in Leonardo da Vinci. A prescindere dall’esecutore comunque, l’opera è molto interessante: si tratta di una scultura in terracotta policroma eseguita in due pezzi di cottura. A seguito di un incidente avvenuto nel diciottesimo secolo, l’Angelo si ruppe in ben ventotto pezzi, riassemblato con l’uso di gesso, e ridipinto.
L’intervento di restauro, volto al recupero del modellato, appiattito dal moltissimo gesso debordante, e della preziosa policromia, è stato organizzato procedendo secondo un progetto corale, alla cui redazione hanno partecipato più figure professionali: restauratori, architetti, storici dell’arte e tecnici dell’immagine; il restauro effettivo sull’opera si è sviluppato, così, di pari passo con le indagini diagnostiche, eseguite prima e durante tutto l’arco temporale dell’intervento, le indagini fotografiche, le ricostruzioni 3D, la ricerca iconografica e stilistica, la sperimentazione pratica della tecnica di esecuzione originale della scultura.
Messa a punto la metodologia, l’intervento di restauro si è svolto secondo le fasi consecutive di consolidamento profondo della policromia; rimozione meccanica dei materiali di riempimento e smontaggio dell’opera nei suoi frammenti; pulitura della pellicola pittorica; incollaggio dei frammenti, stuccatura e ricostruzione delle lacune riconducibili; realizzazione del sistema di montaggio; ritocco pittorico e protezione finale.
Oltre alla minuziosa pulitura, che ha reso finalmente visibile la ricca policromia (per la quale furono impiegati pigmenti preziosi come la lacca di Garanza, il resinato di rame, l’azzurrite e la foglia d’oro), una fase molto complessa è stata quella dell’incollaggio dei 28 frammenti di cui si componeva il busto, una volta liberati dal gesso settecentesco.
Completato l’incollaggio, è stato possibile apprezzare l’estensione delle lacune sul modellato, presenti in gran parte sul retro della figura, per la cui ricostruzione abbiamo impiegato una pasta epossidica bicomponente già felicemente impiegata presso questi laboratori alcuni anni fa, in occasione del restauro della Madonna con Bambino di Nanni di Bartolo, la PE 641 di Trias Chem s.r.l.
Per il ritocco pittorico, infine, sono stati impiegati colori ad acquerello, reversibili e stabili da un punto di vista chimico-fisico nel tempo, mediante la combinazione di metodologie differenti, puntinato per le lacune materiche, abbinato al tratteggio sulle lacune cromatiche. Il risultato finale dell’integrazione pittorica è quello di un riordino essenziale; in questo modo l’osservatore è catturato dall’accesa policromia e invitato a fermarsi per osservare la preziosità dei colori e delle rifiniture, che un intervento maggiormente ricostruttivo avrebbe rischiato di sminuire piuttosto che valorizzare.
Il tema del montaggio del busto sulle gambe è stato affrontato partendo dall’esperienza del restauro della “Visitazione” di Pistoia di Luca della Robbia, in cui è stato virtualmente modellato un “cuscinetto” tra le parti che costituiscono l’opera, direttamente dai file 3D ottenuti da scansione. La parziale rigidità della stampa 3D garantisce una posizione univoca in cui collocare il busto ed evita slittamenti e movimenti indesiderati. Il cuscinetto appoggia su tutta la superficie dei bordi in terracotta e scarica in modo uniforme il peso del busto sulle gambe, evitando future lesioni dell’impasto ceramico e garantendo la stabilità anche in caso di vibrazioni.
Accanto al restauro dell’opera originale, grazie anche alla fruttuosa collaborazione con la vicina Accademia di Belle Arti, abbiamo realizzato una replica in terracotta, dipinta a tempera secondo la tecnica originale.
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