
Il pezzo è stato restaurato nei Laboratori della Fortezza da Basso in occasione della mostra senese dedicata ad Ambrogio Lorenzetti tenutasi da ottobre 2017 ad aprile 2018. Per il trasporto era stato preventivamente velinato con carta giapponese e ciclododecano.
È probabile che appartenesse ad una scena della serie di pitture dedicate alla vita di Cristo e dell’Ordine francescano che decorava il Capitolo del convento senese, forse già rovinata e ridotta a frammento dopo il descialbo. Nel catalogo della mostra viene riconosciuto come facente parte de “La consegna della regola al primo e secondo Ordine francescano”.
Il pittore lavora utilizzando la tecnica dell’affresco, come prova la presenza di contorni di giornata, gli incarnati sono realizzati mediante l’uso di una materia ricca di bianco di calce; dopo questa prima impostazione prosegue però con una serie di campiture a secco: le vesti delle Clarisse e il fondo in particolare. Attualmente, a causa della perdita delle campiture a secco, appare ben visibile il segno a pennello con un colore giallo per tracciare i contorni delle figure.
Le verticale dell’elemento architettonico nello sfondo sono state tracciate mediante corda battuta.
La decorazione fu prima scialbata in data imprecisata durante il secolo XVII, quando la sala fu divisa in due ambienti, e riscoperta fortuitamente nel 1854. In quegli anni, essendo già in corso il progetto di trasformazione del complesso conventuale in seminario diocesano e poiché la grande sala voltata del Capitolo sarebbe stata divisa verticalmente in due piani, si decise lo stacco di ciò che era appena stato riportato in luce, tagliando le pitture per trasporle in altra sede e conservarle senza danno. Il trasporto fu eseguito con la tecnica “a massello”, cioè asportando la pittura insieme allo spessore del muro, secondo il consiglio di Ulisse Forni (Siena 1814- Firenze 1867), restauratore senese delle Regie Gallerie di Firenze che scriveva proprio di questi stacchi nel suo Manuale del pittore restauratore, pubblicato nel 1866 . Il nostro frammento fu staccato per volontà di Giacomo Merli, “maestro di casa” del convento, dopo il trasferimento delle scene più grandi, e destinato alla sua stanza privata fino al 1878, quando fu venduto alla National Gallery . Il Forni scrive che nel 1855 furono scelti due muratori, secondo la pratica comune di affidare a maestri di muratura un intervento strutturalmente complicato come quello di sezionare, imbracare e movimentare una porzione o un’intera parete. Tre grandi scene, due dipinte da Ambrogio e una da Pietro Lorenzetti, trovarono così posto in due diverse cappelle della annessa chiesa di San Francesco, mentre altri pezzi più piccoli, appartenenti sia alle scene che alle cornici dipinte rimaste in loco, furono staccati separatamente e posti su nuovi supporti secondo le tecniche del tempo che ad oggi però non possiamo conoscere tranne che per il frammento delle Clarisse, che ancora mostra presumibilmente le modalità originali del secolo XIX. Nella National Gallery di Londra si trovano notizie circa un restauro dell’opera avvenuto nel 1950, ma il frammento è giunto a noi ancora con il supporto ottocentesco che dimostra come non fosse il risultato di uno stacco a massello, quanto piuttosto di uno stacco secondo la tecnica conosciuta al tempo come propria di Gaetano Bianchi , cioè con il solo intonaco pittorico poi sistemato su uno strato di incannicciato (canne palustri) ancorato a una cornice in legno.
Quelli più immediatamente evidenti erano la presenza di fratture e sconnessioni nel supporto risalenti probabilmente dell’antico intervento di stacco, insieme a una sostanza grigia e lucida disseminata su tutta la superficie. Erano presenti anche molte lacune, abrasioni e graffi della pellicola pittorica, dovuti probabilmente alle operazioni di rimozione degli scialbi sovrammessi. Le parti a secco in particolare, le vesti delle Clarisse, avevano più sofferto questa fase essendo quasi totalmente scomparse.
Il supporto ottocentesco appariva invece in una buona condizione conservativa perché sorreggeva efficacemente il frammento; solo alcuni frammenti della massa del gesso esorbitante dall’incannucciata erano pericolanti e quindi in pericolo di caduta.
Per conoscere la composizione dei materiali originali e di quelli di restauro sono state eseguite una serie di analisi ottiche e chimico-fisiche, grazie al nostro laboratorio scientifico insieme ad altri istituti di ricerca, precedute da alcune indagini eseguite presso il laboratorio scientifico della National Gallery di Londra e dell’Università di Copenaghen.
Da questa fase di studio abbiamo avuto varie risposte: la struttura interna della cassetta con gli agganci delle canne; la natura gessosa dell’impasto retrostante; la presenza di bianco d’uovo e di colla animale come fissativo del restauro ottocentesco responsabile della lucentezza superficiale; la natura dei pigmenti antichi e di restauro.
Il frammento è stato liberato innanzitutto dalla velinatura eseguita con carta e ciclododecano necessaria al trasferimento in sicurezza nei nostri laboratori e quindi ha avuto inizio l’intervento di pulitura, dato che non era necessaria alcuna fermatura di frammenti a rischio di perdita se non sul retro per piccole porzioni di gesso fuoriuscito dalle canne palustri.
La rimozione della colla è avvenuta mediante imbibizione di acqua calda distribuita sopra 2 o 3 strati di carta giapponese (Bib Tengujo®/11 gr.); talvolta ripetuta fino alla totale eliminazione dello strato grigio e lucido. La rimozione meccanica è stata effettuata con spugne in pva imbevute di acqua calda (Blitz fix®).
Alla fine di questa fase il frammento appariva come realmente si trovava dopo le operazioni di descialbo sommario e di recupero a cui era stato sottoposto nel’800, cioè era cosparso di resti di scialbo di calce e di gesso. Per risolvere l’eliminazione di queste tracce sono state fatte alcune prove con mezzi meccanici (bisturi), chimici (solventi; reagenti e chelanti) e fisici (laser), scegliendo alla fine proprio il mezzo del laser che si dimostrava come il più preciso ed efficace.
Le apparecchiature utilizzate sono state quelle dei laser (ditta ElEn) al Neodimio-Yag (EOS QS®; EOS Combo 1000®) ed Erbio-Yag (Light Brush2®), operanti quindi con una lunghezza d’onda rispettivamente nel vicino e medio infrarosso.
La pulitura ha rimesso in luce in particolare una testa dalla bionda capigliatura nella zona inferiore sinistra che esula quindi dal contesto del gruppo delle Religiose e che pertanto potrebbe far ripensare l’iconografia del frammento intero.
La fase successiva è stata quella dell’ancoraggio dei frammenti distaccati dal supporto, mediante iniezioni, praticate attraverso piccoli fori, di malte fluide premiscelate (Ledan® Gyp/In e Ledan® Ristat base A); in altri casi caratterizzati da poco distacco inserendo nella frattura poche fibre di cotone impregnate da un adesivo acrilico in dispersione acquosa (Primal® CM330).
La stuccatura perimetrale in gesso è stata liberata dalla tinta “neutra” eseguita in diverse fasi e con diversi leganti, consumata meccanicamente e rimossa laddove, lungo i bordi, si soprammetteva alla pittura; in questa fase sono state riscoperte alcune aree perimetrali stuccate con un impasto di calce e sabbia già prima dello stacco e che nascondevano brani di sinopia. Tutta la zona tra la pittura e la cornice è stata stuccata con un impasto di calce, sabbia e polveri di marmo colorate.
La stuccatura con calce e sabbia di alcune piccole lacune presenti nella pittura e il ritocco pittorico mediante acquerelli hanno ridato leggibilità alle zone segnate da evidenti discontinuità dell’immagine.
Cecilia Frosinini, Caroline Campbell, Maria Rosa Lanfranchi, Il restauro di due frammenti di pittura murale di Ambrogio e Pietro Lorenzetti della National Gallery di Londra, in OPD Restauro 30, 2018, pp. 101-114.
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