
Auschwitz
Progettazione dello smontaggio
Fondi della Presidenza del Consiglio dei Ministri per i lavori di progettazione dello smontaggio e del trasferimento a Firenze
Luigi Ficacci, ISCR, Direttore
Gisella Capponi, ISCR, RUP
Giorgio Sobrà, ISCR, Direzione dei Lavori
Carlo Birrozzi, Paola Iazurlo, Paolo Scarpitti, Progetto ISCR
Grazia De Cesare, Paola Iazurlo, Consulenza ISCR
Oriana Sartiani, Andrea Santacesarea, Consulenza OPD
Documentazione in sito, smontaggio, movimentazione
Ditta esecutrice
C.B.C. Conservazione Beni Culturali Soc. Coop, Roma
Carla Bertorello, Matteo Rossi Doria, Marco Santancini, con la collaborazione di Vincenzo Ardagna, Simone Cipolletti, Giuliano Sinisi, Geremia Russo.
Documentazione fotografica: Domenico Ventura, Roma.
Rilievo scanner laser: C.P.T. Studio S.r.l.,Roma,
Trasporto: Rosa dei Venti, Roma
Firenze
Opificio delle Pietre Dure
Progetto di restauro-tesi SAF-OPD
Marco Ciatti, Soprintendente, Relatore, OPD
Oriana Sartiani, Direttore Tecnico, relatore coordinatore, OPD
Elisa Millacci, Tesista PFP2 SAF-OPD, a.a. 2016-2017
Relatori: Luigi Orata, Paola Iazurlo, Carlo Galliano Lalli.
Hanno inoltre collaborato alla definizione del progetto di tesi: Giuseppe Zicarelli (Documentazione Fotografica), Isetta Tosini, Federica Innocenti (ndagini Scientifiche, OPD), Monica Galeotti, Sandra Cassi (Rilievi Ambientali, OPD), Raffaella Fontana, Marco Raffaelli e Jana Stirova, Gruppo Beni Culturali del CNR-INO (Indagini Ottiche), Alessia Andreotti, gruppo Scibec del Dipartimento di Chimica e Chimica industriale dell’Università di Pisa (Indagini Chimiche), Piero Baglioni, Nicole Bonelli e Giovanna Poggi, Consorzio CSGI del Dipartimento di Chimica di Firenze (Consulenza e Fornitura Materiali), Primo Brachi e di Mario Mazzetti, Brachi Testing Services (indagini Scientifiche), Andrea Santacesaria (Consulente Tecnico, OPD), Filippo Lagna (Consulente Tecnico, OPD), Giancarlo Penza (Consulente Tecnico, OPD), Ilaria Saccani (Collaboratrice).
Restauro dell’opera
Restauro e rimontaggio delle tele a Firenze (EX 3) su progetto OPD
Fondi della Fondazione CR Firenze per i lavori di Restauro
Responsabile del Cantiere per Fondazione CR Firenze: Armando Guardasoni, Responsabile Servizi, Affari Generali e Legali, Luca Bigazzi, Coordinamento logistico, Raffaele Csalini, Consulenza Legale
Supervisione del progetto
Barbara Tosti, Responsabile Settore Arte, Attività e Beni Culturali – Fondazione CR Firenze
Coordinamento Scientifico
Marco Ciatti, Soprintendente OPD
Oriana Sartiani, Direttore dei Lavori
Andrea Santacesaria, Consulente tecnico OPD
Ditta Esecutrice del Restauro
Cooperativa Archeologia
Maria Laura Franci – Restauratrice-Capo Commessa
Elisa Millacci – Restauratrice-consulente
Luigi Orata – Restauratore-Consulente
Giovanni Gualdani – Restauratore
Debora Minotti – Restauratrice
Luisa Landi – Restauratrice
Sonia Saba – Restauratrice
Arianna Ingrassia – Restauratrice
Linda Bartolozzi – Restauratrice
Federica Franci – Restauratrice
Giulia Basetti – Collaboratore Restauratore
Yumi Machida – Collaboratore Restauratore
Antonia Panico – Collaboratore Restauratore
Adele Meucci – fotogrammetria digitale
Alfred Menaj – opere di falegnameria
Sofian Benghenissa – opere di falegnameria
Rimontaggio della struttura metallica: Ditta Bartoloni Marco: Francesco Marchi, Noschi Mikel
Progettazione della Diffusione sonora e riadattamento dei contenuti musicali
Tempo Reale, centro di ricerca, produzione e didattica musicale: Francesco Giomi, Damiano Meacci
Nel 1970 l’ANED invia al Museo Nazionale di Auschwitz una richiesta per creare un padiglione italiano dove documentare la drammatica storia della deportazione del popolo italiano. La proposta viene accettata e all’Italia viene assegnato il Blocco 21. Si crea un Comitato operativo di cui fanno parte Gianfranco Maris, Dario Segre, Bruno Vasari, Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Emilio Foà, Teo Ducci e Primo Levi ai quali si aggiungono Ada Buffulini e Italo Gerroni. Il Comitato chiede la collaborazione del regista Nelo Risi; a Luigi Nono (1924-1990) di poter riprodurre nello spazio del Memoriale la composizione Ricorda di quello che ti han fatto in Auschwitz, e affida la parte iconografica e pittorica a Mario “Pupino” Samonà. Il progetto architettonico è commissionato allo Studio BBPR LodovicoAlberico Beljoioso, mentre l’opera viene strutturalmente realizzata dalla ditta Giordano Quattri nel 1979.
Il Memoriale è quindi frutto di una progettazione corale ed è una delle prime installazioni multimediali al mondo. La scelta degli autori è stata quella di utilizzare l’arte come strumento di rappresentazione della storia della deportazione politica e razziale. Nella sua forma a spirale il Memoriale vuole infatti rappresentare la violenza del nazismo che travolge gli italiani nei campi di concentramento e di sterminio. “Nel nostro progetto ci siamo sforzati di ricreare, allusivamente, un’atmosfera di incubo, l’incubo del deportato straziato fra la quasi certezza della morte e la tenue speranza della sopravvivenza, mediante un percorso che passa all’interno di una serie infinita di spire di una grande fascia elicoidale illustrata, che accompagna il visitatore dall’inizio alla fine. È l’idea di uno spazio unitario, ossessivo, realizzato con un ritmo di zone di luce e di ombra che si alternano equidistanti fra loro, consentendo anche la visione attraverso le finestre, degli altri “blocchi” del campo, visione altrettanto ossessiva”. (Ludovico Belgiojoso, Aprile 1980)
Il Memoriale in onore degli Italiani caduti nei campi di sterminio nazisti fu collocato al piano terreno del Blocco 21 tra il luglio e il novembre 1979 e inaugurato dall’ANED, che ne è promotrice e proprietaria, il 13 aprile del 1980.
L’installazione è composta da differenti e numerosi elementi quali le tele (ventitrè di diverse dimensioni e forma), i tubolari metallici della struttura di sostegno, una pedana di camminamento che ricorda i binari ferroviari e l’impianto luci e audio: l’insieme mira a ricreare uno spazio che deve avvolgere e guidare lo spettatore durante il percorso all’interno delle spirali.
Il percorso di visita, che si sviluppa su 80 metri di lunghezza complessiva, vede un primo ambiente che accoglie le prime quattro spirali del tunnel; un corridoio al centro del Blocco con una tela piana al soffitto e pannelli illustrativi alle pareti; il tunnel prosegue in un altro ambiente con cinque spirali; un piccolo ambiente di passaggio che reca una piccola tela al soffitto che conduce al lungo ambiente che conclude il percorso con dodici spirali. “La spirale è stata pensata come un grande affresco, concepito in parte come una composizione di segni pittorici che lo commentano sottolineandoli e accentuandoli, i valori intenzionalmente emotivi dello spazio architettonico, in parte alludono, attraverso delle immagini evocative della storia italiana dall’inizio del fascismo fino alla deportazione nazista, al succedersi dei momenti drammatici di lotte, di sofferenze, di disperazione e di speranze, con la conclusione di un’apertura verso un mondo migliore che si spalanca al momento della liberazione. Poche le indicazioni scritte; la comunicazione è affidata prevalentemente allo spazio, alle suggestioni della composizione pittorica e alle immagini”. (Ludovico Belgiojoso, Aprile 1980).
Lodovico Barbiano di Belgiojoso e Primo Levi, tra gli autori, sono stati deportati nei campi di sterminio rispettivamente di Auschwitz e Mauthausen.
Nell’ingresso del Blocco 21 (ed ora all’EX3), erano collocati alcuni pannelli illustrativi con fotografie di altri monumenti alla Memoria, presenti in Italia, realizzati dallo studio BBPR.
La struttura portante che forma la spirale sulla quale è tensionata la tela dipinta, è costituita da due tubolari metallici (Ø 4,5 cm) piegati in modo da comporre entrambi un segmento di spirale, posti a una distanza l’uno dall’altro di circa 170 cm.
La lunghezza complessiva di ogni tubolare è di ca.12 metri. La spirale ha una altezza massima da terra di ca. 295 cm e una larghezza massima di ca.465 cm, ed è ancorata a parete e al pavimento.
Le tele. L’intera installazione è costituita da ventitré tele dipinte. Diciotto di queste misurano circa 12,50 x 2,20 m, e sono montate sui tubolari in maniera tale che le due estremità di ciascuna si trovino al di sotto della passerella, in modo che la spirale risulti otticamente continua. Tre tele hanno dimensioni di circa 8 x 2,20 cm e sono poste a passaggio tra un ambiente e l’altro; altre due tele di forma rettangolare (10×2 m e 2,6 x 2 m), tensionate su un telaio lineare costituito anch’esso da tubolari metallici, sono posizionate sul soffitto dei due corridoi che collegano tra loro gli ambienti in cui si sviluppa il Memoriale.
La tela del supporto è costituita da un tessuto in cotone non mercerizzato, priva di appretto. Si caratterizza da un’armatura tela, con un rapporto trama-ordito pari 1:1; la riduzione è molto elevata, risultando una tessitura molto fitta e compatta.
È ipotizzabile che le tele siano state tagliate in porzioni di lunghezza variabile dai 10 ai 12,5 m all’interno degli ambienti della Ditta Quattri che ne curò la realizzazione, e poi preparate mediante un fondo acrilico a base di Bianco di Titanio, steso ad areografo in strato sottile, solo sul lato che avrebbe ricevuto la pittura.
Lungo entrambi i lati lunghi delle tele sono stati realizzati dei bordi, ripiegando e incollando il tessuto sul retro della tela stessa per circa 7 cm con un adesivo a base di polivinilacetato.
I bordi, per tutta la loro lunghezza, sono stati successivamente fustellati per l’inserzione di occhielli in alluminio, a una distanza di circa 20 cm tra loro, che hanno infine accolto i ganci metallici a “S”, ai quali sarebbe stata successivamente agganciata la corda elastica utilizzata per tensionare le tele sulla struttura metallica
Durante il montaggio del Memoriale, protrattosi da agosto a novembre del 1979, si sono manifestate gravi difficoltà per l’impossibilità di adattare la forma rettangolare dei teli alla sagoma dei settori di spirale
Tutte le ventuno tele, in origine di forma rettangolare, hanno quindi subito delle modifiche strutturali al fine di portele tensionare alla spirale con sezione ellittica della struttura metallica, conferendo loro una forma a “S”.
Le tele, divise per lo più in tre settori, sono state ricomposte con giunzioni di testa tenute da fasce di tela, applicate sul retro con adesivo sintetico; solo in un caso la giunzione è realizzata sovrapponendo i lembi di tela dipinta. La forma, così modificata, si adattava al verso dei singoli settori della spirale: la partenza con accentuata curvatura; la volta, ad arco molto ribassato; il ritorno a terra con accentuata curvatura, in posizione sfalsata. Le tre porzioni tessili, che dopo la modifica della forma costituiscono la tela, appartengono comunque alla stessa tipologia di tessuto in cotone.
Pellicola pittorica. Pupino Samonà, dipinge le tele procedendo per fasi e utilizzando tecniche artistiche differenziate.
Sulla preparazione a base di Bianco di Titanio in legante acrilico ha realizzato la sequenza narrativa con la quale sono rievocati in chiave figurativa gli avvenimenti politici italiani intercorsi fra la fine della prima guerra mondiale e quella della seconda.
Sia nei disegni preparatori, eccezionalmente realizzati dall’artista per questa installazione, che nelle parti figurative, realizzate in maniera scarna ed essenziale, dell’opera finale, sono state usate tecniche pittoriche che più frequentemente troviamo sui supporti cartacei, tra cui il pastello, l’acquerello, il pennarello, la matita. I materiali impiegati per la parte figurativa sono del resto in linea con l’intento di Samonà: «Gli inserti figurativi col tempo andranno scomparendo, ho utilizzato un tipo di colore differente che sbiadisce a contatto con la luce: i ritratti scompariranno; rimarrà un fantasma subliminale…una traccia di colore a raccontare di quella tragedia dell’umanità fino all’esplosione della libertà...». Nonostante quanto dichiarato dall’artista, le tracce di colore non sembrano aver perso troppa nitidezza e si presentano ancora ben definite. È probabile che Samonà abbia utilizzato dei pigmenti fuggitivi o un legante poco coerente solo in alcuni tratti, ora non ben individuabili.
Le tele sono state dipinte con tecniche miste ma soprattutto con colori acrilici con i quali Pupino Samonà ha realizzato, ad aerografo e in strati variabili, i grandi archi intrecciati tra loro. I colori utilizzati sono pochi ma hanno un forte significato simbolico: “il giallo, il rosso, il bianco e il nero che rappresentano simbolicamente l’etnia ebraica, il socialismo, i cattolici e l’oscurantismo nazifascista” (Pupino Samonà). Vi è una predominanza iniziale solo del rosso sul nero, ma quasi subito il nero si espande e prevale anche sul giallo, fino a che, nell’ultima spirale del percorso, il nero lascia il posto ai colori positivi, rosso-giallo-bianco, simboli della vittoria degli ideali socialisti e della dissoluzione delle tenebre della persecuzione nazista.
Tutti i colori della tela denominata S17, oggetto di tesi SAF-OPD, sono stati esaminati con le tecniche d’indagine XRF, Raman, FORS, mentre i prelievi sono stati analizzati al Microscopio Ottico, al Microscopio Elettronico a Scansione e con la PY-GC-MS.
I colori degli inserti figurativi nella porzione centrale della tela.
Sono stati utilizzati almeno due tipologie diverse di nero per definire i contorni e le linee generali della composizione. La maggior parte dei contorni sono stati eseguiti con un nero matt, caratterizzato da un tratto molto simile a quello dei pastelli e dalle matite a carboncino. Le analisi non hanno dato conferme relative al legante, mentre, per quanto riguarda il colorante, le analisi Raman hanno identificato il Carbon Black.
L’altro nero di colore più intenso, lucido e più corposo, simile ai tratti eseguiti con i pastelli ad olio. è stato utilizzato per eseguire alcuni dettagli della parte figurativa. Le analisi hanno rilevato la probabile presenza del Carbon Black, e di acidi grassi a catena dispari e colestani, caratteristici di un grasso di tipo animale.
I tratti di colore rosso tendente al bruno hanno un aspetto lucido se osservati in controluce. Le analisi conducono all’ipotesi che il materiale sia a base di Ematite utilizzato con pastelli a olio o cere.
L’aspetto del colore rosso più chiaro è matt anche in controluce. Si tratta di pastelli o carboncini con un legante gommoso.
Sono presenti due tipi di verde, uno più scuro e l’altro più chiaro, di aspetto lucido se osservati in controluce: simili ai pastelli a olio e alle cere. Per quanto riguarda il colorante, probabilmente si tratta di una miscela di ftalocianina blu con del giallo.
Per i tratti di colore azzurro si tratta di un blu ftalo. Non si hanno informazioni relative al legante, ma i tratti azzurri dell’opera, di aspetto lucido, hanno molte similitudini con i tratti eseguiti a cera.
Anche la parte figurativa delle tele delle estremità (aggiunte dopo la modifica del supporto) è stata realizzata con almeno due tipologie diverse di nero che coincidono con quelle utilizzate nella porzione centrale. In entrambi i casi, il Carbon Black è il colorante di base dei materiali artistici utilizzati.
Non è stato possibile identificare il legante e il colorante del colore rosso chiaro, ma sembra simile a quello ottenuto dalle cere o dai pastelli ad olio. In questo caso la lucidità della superficie è alterata dalla presenza di un fissativo leggermente lucido.
I colori utilizzati per realizzare le campiture realizzate con la tecnica ad aerografo (l’intreccio di archi) hanno come legante un copolimero di EA/MMA, caratteristico della pittura acrilica in dispersione acquosa (Spettrofotometria FT-IR e PY-GC-MS)
Per quanto riguarda la tavolozza, si tratta prevalentemente di coloranti sintetici: le misure XRF e le analisi al SEM relative alle campiture eseguite con l’aerografo hanno evidenziato l’assenza di elementi cromofori. L’individuazione dei coloranti è stata svolta con la Spettrofotometria Raman, che ha determinato la presenza del colorante sintetico Rutilo per il bianco, Yellow 1 per il giallo e il Carbon Black per il nero. Per quanto riguarda il rosso, è stato evidenziato l’utilizzo di due coloranti diversi a seconda delle fasi di realizzazione del Memoriale. Infatti, la tela centrale presenta un rosso a base del colorante denominato Red 3, mentre il colorante utilizzato per le tele delle due estremità aggiunte successivamente è il Red 112. La differenza tra questi due coloranti è leggermente visibile, in quanto il Red 112 è lievemente più brillante.
Su tutta la superficie pittorica, probabilmente prima che le tele venissero modificate nella forma attuale, durante l’estate del 1979, è stato applicato ad aerografo, in maniera discontinua, un fissativo che non ha conferito alla superficie semi opaco; che ha inoltre garantito stabilità alle stesure pittoriche a secco impiegate da Samonà nelle porzioni centrali.
Sembra, invece, che sulle estremità della tela (aggiunte a seguito della modifica), sia stato steso un fissativo con duplice funzione di protettivo-fissativo, di natura acrilico-vinilica, dopo il ritensionamento sulla struttura metallica. Ciò spiegherebbe la marcata risposta in fluorescenza UV presente solo sulla superficie a vista, e perché le campiture non a vista non emettano una fluorescenza NIR durante le analisi Raman.
Una differente presenza di protettivo alle estremità aggiunte potrebbe essere dovuta alla necessità di proteggere queste zone maggiormente esposte al passaggio dei visitatori e quindi alla possibilità di danneggiamenti accidentali, oppure, per una protezione più efficace del colore poiché in maggior misura soggette a ricevere, per caduta, un cospicuo deposito atmosferico.
La pedana. Nel Blocco 21, così come negli spazi dell’EX3, i visitatori camminano, lungo il percorso all’interno delle spirali, su di una pedana, alta circa 30 cm da terra, costituita da moduli composti da assi di legno di conifera (2x1m) accostate le une alle altre. I moduli sono ancorati al pavimento per mezzo di una intelaiatura di ferro posta a circa 25 cm di altezza dal pavimento.
Una balaustra lignea alta 36 cm, disposta lungo tutto il perimetro della pedana, delimita lo spazio tra il tavolato e le tele.
Impianto luci e audio. I singoli elementi che compongono l’illuminazione sono avvitati lateralmente alla pedana. Al di sotto di essa, si trovano gli altoparlanti e l’impianto audio. Quello originale smise di funzionare pochi anni dopo l’inaugurazione del Memoriale. Gli altoparlanti di forma sferica erano sospesi dal pavimento e legati precariamente al profilato metallico con il filo elettrico. Non erano dislocati nei due ambienti di passaggio.
L’opera, accusata di non rispondere alle nuove “linee guida” che il Museo di Auschwitz si era dato dopo la caduta del Muro di Berlino, fu chiusa al pubblico nel 2009 dalla direzione che nel 2014 arrivò a minacciarne lo smontaggio e la distruzione. A seguito della decisione delle Autorità polacche di eliminare dal campo di Auschwitz il Memoriale italiano, il Governo italiano incaricò il Ministero per i Beni e le Attività Culturali del trasferimento dell’opera in Italia. Furono al contempo avviate le ricerche per trovare una nuova e degna sede espositiva a questa importante opera d’arte e per predisporre un nuovo Memoriale secondo le indicazioni ricevute. L’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro era stato incaricato nel 2011 delle prime verifiche relative alla fattibilità tecnica dello smontaggio dell’opera e del suo trasferimento in altro luogo. Quando nel 2015 divenne noto che la nuova sede sarebbe stata Firenze all’ISCR fu affiancato l’Opificio delle Pietre Dure. Su progetto dell’ISCR e con il coinvolgimento della Ditta CBC – Conservazione Beni Culturali le operazioni di documentazione, smontaggio e trasporto furono eseguite. Particolarmente elicato e complesso fu lo smontaggio dell’opera per le sue grandi dimensioni e per le condizioni ambientali avverse, ed i circa 550 metri quadrati di tela dipinta furono suddivisi in ben 23 rulli predisposti secondo le migliori condizioni per la buona conservazione dell’opera, così come furono smontati gli altri elementi costitutivi. Tutte le operazioni furono accuratamente documentate dall’I.S.C.R. anche con una ripresa in 3D, di fondamentale importanza in vista del successivo rimontaggio. Una ditta specializzata assicurò il viaggio sino a Firenze dove tutti gli elementi del Memoriale furono accolti il 1° febbraio 2016 ed immagazzinati nei locali dell’EX-3 e costantemente monitorati dall’O.P.D. per assicurare il rispetto delle ottimali condizioni di conservazione. In vista del futuro rimontaggio del Memoriale l’O.P.D. decise di approfondire lo studio delle sue condizioni che ben presto si dimostrarono assolutamente bisognose di un restauro. Le tre finalità dell’O.P.D.: operatività, ricerca e formazione sono state tutte coinvolte in questo importante progetto. Il laboratorio di restauro dei dipinti su supporto mobile assegnò anche una tesi di laurea della Scuola di Alta Formazione per definire un progetto di intervento, con la collaborazione dei restauratori e degli esperti scientifici. I risultati dello studio furono poi condivisi con la proprietà, l’A.N.E.D. , il Comune di Firenze e la Regione Toscana ed iniziarono così le trattative per riuscire a renderlo concretamente fattibile. Il necessario sostegno economico fu assicurato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, mentre i grandi spazi indispensabili furono messi a disposizione da Firenze Fiera. L’O.P.D. mantenne la Direzione dei lavori e la consulenza tecnica del restauro di cui è stata incaricata la ditta Cooperativa Archeologia che si è dotata per l’occasione delle necessarie competenze. L’intervento ha riguardato il risanamento strutturale delle tele dipinte, la loro pulitura dallo sporco e dalle macchie accumulatesi durante gli anni della prima esposizione e la predisposizione per il tensionamento sulla struttura di sostegno che, nel frattempo veniva anch’essa ripristinata. Di grande importanza è stato il continuo e stretto rapporto tra gli architetti incaricati dell’allestimento e i restauratori per poter così predisporre in modo opportuno il difficile rimontaggio del Memoriale. Si è trattato dunque di uno dei più grandi e complessi progetti di conservazione e restauro mai compiuti su di un’opera d’arte contemporanea che è stato reso possibile dal grande spirito di collaborazione di tutti gli Enti e soggetti coinvolti tutti profondamente motivati dalla necessità etica e civile di assicurare la fruizione di questo memoriale italiano di Auschwitz alle future generazioni affinché tutti i significati che esso rappresenta non andassero nel tempo dimenticati. La ricostruzione strutturale e ambientale interna è stata fedele per ricostruire e riproporre non solo l’opera intesa come un insieme di tele dipinte ma soprattutto tutte le sensazioni che il percorso interno suscitava.
Il Memoriale non era fruibile ai visitatori almeno dal 2009, se non in rare visite a richiesta. Nell’anno precedente un cantiere didattico di allievi dell’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, guidato dai docenti, aveva curato una manutenzione delle strutture e una ricognizione sulle condizioni conservative degli apparati decorativi, da allora il Memoriale non è più stato sottoposto ad alcun genere di manutenzione.
Durante lo smontaggio del Memoriale nel Blocco 21, a cura della C.B.C di Roma, tutti gli elementi che lo costituiscono sono stati siglati e catalogati, sono stati fatti rilievi al laser ed è stata redatta una scheda descrittiva e conservativa per ciascun elemento dell’installazione.
Il supporto tessile dell’opera presenta varie tipologie di problematiche conservative, dovute in prevalenza alle scelte realizzative dell’installazione; alla prolungata incuria in sede espositiva e alla separazione di una porzione del supporto realizzato ai fini della movimentazione da Auschwitz a Firenze.
Il tensionamento della tela su di una struttura di sostegno di forma ellittica, ha provocato la formazione di pieghe e deformazioni permanenti del supporto, con andamento sia orizzontale che obliquo, particolarmente pronunciate nelle parti che erano posizionate in corrispondenza dei punti di massima curvatura della struttura portante, dove la tela era maggiormente sollecitata in quanto assecondava il verso della spirale. Tali pieghe hanno caratterizzato fin da subito l’aspetto del Memoriale, e sono ben visibili nelle fotografie scattate durante il giorno dell’inaugurazione.
La formazione delle deformazioni, è da imputare anche al sistema di tensionamento che prevedeva il passaggio di una corda elastica, applicata in modo discontinuo e con una forza non controllata, all’interno di ganci metallici a loro volta inseriti negli occhielli di alluminio presenti lungo entrambi i lati lunghi della tela (vedi tecnica esecuzione supporto tessile).
Con il passare degli anni e la mancanza di manutenzione, le corde elastiche si sono degradate, perdendo le loro proprietà fisiche e provocando una ulteriore disomogeneità della distribuzione della tensione sulla tela. Di conseguenza si sono formati dei notevoli rilassamenti del supporto, che, a causa anche del notevole peso della tela stessa, hanno provocato l’inasprimento delle deformazioni.
L’applicazione non controllata della forza di trazione ha causato inoltre la deformazione della tela intorno agli anelli metallici, fino a provocarne in alcuni casi la lacerazione. Su alcune tele sono inoltre presenti piccoli tagli da ricondursi a cause accidentali (da urto).
L’adesivo usato per l’incollaggio delle porzioni di tela, di aspetto ingiallito, è di natura vinilica ed è stato applicato grossolanamente, tanto che fuoriesce ai bordi del rinforzo tessile posto sul retro della tela e, su alcune tele, anche lungo la linea di giunzione sul fronte dipinto.
Altra problematica conservativa che si è dovuta affrontare si è creata con la separazione di una porzione dei teli: l’imprevista forma ad S delle tele ha richiesto, in fase di trasferimento delle tele da Auschwitz a Firenze, una soluzione che consentisse la loro collocazione su rullo, la più idonea allo stoccaggio per lunghi periodi. Sono state anche valutare le possibili conseguenze per la pellicola pittorica, le deformazioni infatti inducevano ad assecondare una forma conica durante l’arrotolamento, con formazione di pericolose piegature, non risolvibili con l’inserimento di materiale ammortizzabile. Dopo aver vagliato diverse soluzioni, rivelatesi impraticabili per fattori logistici insuperabili, la ditta CBC in accordo con la DL ha deciso di separare uno dei teli, scegliendo quello che in base ad una verifica preliminare risultasse più deformato e soggetto a viziature. La scelta di quale delle due porzioni separare ha seguito un criterio preciso, basato sullo stato di conservazione e la duttilità del tessuto, indirizzato a favorire un arrotolamento ottimale al fine di tutelare l’opera. Il sistema più idoneo per la separazione si è rivelato il taglio sulla linea di congiunzione che ricollegava le due porzioni di tela unite nella seconda fase di realizzazione dell’opera, mediante forbice, del solo rinforzo.
Nel complesso la tela sembra presentare ancora una buona resistenza meccanica e un discreto grado di flessibilità ma, data la perdurante assenza di manutenzione, nelle zone del retro dell’opera maggiormente esposte si è depositato un copioso accumulo di sporco che è penetrato in profondità alle fibre della tela. La leggerissima acidità del supporto rilevata, probabilmente da ricondurre ai processi di sbiancamento, è tale da non rendere comunque necessario un intervento di deacidificazione del filato.
Strati pittorici
Per quanto riguarda gli strati pittorici, la prolungata incuria ha provocato l’accumulo di polveri e depositi coerenti su tutta la superficie dell’opera, in particolare nelle zone della spirale poste sotto la passerella e nelle zone maggiormente esposte al deposito di particolato causato dalla forza di gravità, ossia i terminali della tela, con un evidente ingrigimento di queste aree. Una cospicua quantità di particellato atmosferico si trova intriso nelle micro irregolarità degli strati pittorici, dovute all’andamento della texture della tela, che caratterizza la superficie e che è chiaramente percepibile a causa degli strati pittorici in molte aree molto sottili.
Sulle porzioni di tela situate al di sotto della pedana di legno, probabilmente a causa del lavaggio della passerella o per il passaggio dei visitatori con calzature bagnate dalla neve in stagione invernale, l’acqua è percolata provocando la formazione di numerose gore, macchie di sporco e accumuli di depositi coerenti molto marcati e presenti in profondità sia sul fronte dipinto che sul retro.
Le aree con le rappresentazioni figurative, realizzate prevalentemente con pastelli, carboncino e matite, non presentano delle evidenti mancanze di colore. In generale, le parti realizzate ad aerografo sembrano presentare una discreta elasticità e una limitata decoesione, anche se la peculiare tecnica artistica, basata sulla nebulizzazione di una moltitudine di micro gocce di colore unite tra loro che vanno a formare un film pittorico più o meno continuo, ha influito sulla non perfetta adesione di alcune particelle di colore al supporto tessile.
Le aree di colore in corrispondenza delle zone in cui la tela è a contatto con il tubolare di ferro della struttura portante, presentano dei graffi e delle abrasioni superficiali che hanno provocato la perdita limitata dello strato pittorico.
Per quanto riguarda il degrado dei colori acrilici, sono state riscontrate delle zone con caratteristiche di saturazione superficiale diverse rispetto ad altre forse riconducibili ad un degrado dovuto alla migrazione dei tensioattivi in superficie.
Infine, il protettivo-fissativo presente sulle estremità si è alterato cromaticamente, assumendo una colorazione giallo pallido.
L’obiettivo dell’intervento di pulitura è stato quello di rimuovere in maniera controllata lo sporco depositatosi sulle aree sopra descritte sia per un fattore conservativo, eliminando una causa di sicuro degrado, che per ridurre il negativo impatto estetico, al fine di ottenere un equilibrio di insieme con le altre parti delle tele.
La presenza di differenti tecniche esecutive e di uno strato di deposito atmosferico altrettanto diversificato hanno reso qui necessario l’uso di sistemi acquosi applicati con supportanti e metodologie diverse a seconda delle aree di interesse. Anche la presenza superficiale dei tensioattivi essudati, ha implicato una particolare attenzione per evitare il rischio di rimuovere anche una piccola parte dei di questi materiali che costituiscono il film pittorico acrilico costituito da polimeri acrilici in dispersione acquosa
L’individuazione e l’utilizzo di sistemi acquosi ha implicato quindi la necessità di svolgere degli accertamenti preliminari e usare degli accorgimenti prima e durante l’intervento, ovvero: la verifica della compatibilità dei materiali costituenti; le misurazioni del pH e della conducibilità della superficie pittorica, per individuare i parametri della soluzione acquosa da utilizzare; l’uso di supportanti idonei a ridurre la diffusione verticale nella porosità degli strati.
A conferma delle diverse situazioni superficiali presenti sull’opera, in alcune aree si è riscontrata una spiccata idrofilia e in altre un’evidente idrofobia.
Le misurazioni di conducibilità e del pH superficiale sono state fatte in molti punti dell’opera, sia in corrispondenza di campiture cromatiche ad aerografo che su tratti eseguiti con tecniche a secco, ma anche su aree dove erano stati realizzati test di pulitura a secco. In generale si hanno dei valori di pH superficiale leggermente acidi ma comunque prossimi alla neutralità: le misure variano da un pH minimo di 6,4 ad un pH massimo di 7.
Sulla base di una serie di verifiche e in osservanza dei valori di pH superficiali rilevati, è stato deciso di utilizzare due diversi valori: prevalentemente il pH 6, e pH 5,5 solo laddove i valori di leggera acidità della superficie pittorica sono più marcati. Sono stati individuati anche due diversi valori di conducibilità, ovvero a 700 μs/cm e 1000 μs/cm a seconda di quanto tempo la soluzione verrà lasciata a contatto con la superficie dell’opera.
È stata formulata una soluzione tampone preparando la soluzione tamponante basica a base di Idrossido di Sodio a concentrazione 1 M, in quanto il catione sodio è uno ione cosmotropico e quindi dovrebbe minimizzare la solubilizzazione dei tensioattivi.
– Per la soluzione tamponata a pH 5,5, è stato usato l’acido acetico glaciale, in quanto la sua capacità tampone si trova nell’intervallo di pH 3,8-5,8
– Per la soluzione tamponata a pH 6, è stato scelto l’acido fosforico 85%, dato che la sua capacità tampone è nell’intervallo pH 5,8-8
Le situazioni riscontrate, profondamente diversificate tra zona e zona della tela, hanno condizionato le modalità e la scelta dei materiali da utilizzare per la pulitura.
La presenza del fissativo-protettivo, particolarmente evidente in fluorescenza UV alle due estremità della tela, ha permesso di utilizzare in queste zone delle Sponge inumidite con la soluzione tamponata per l’eliminazione del cospicuo deposito di particellato atmosferico semi coeso e coeso.
A seguito di test per verificare l’efficacia di questi materiali su zone dell’opera con diverse caratteristiche sia tecniche sia di stato di conservazione, documentandoli fotograficamente al microscopio prima e dopo il trattamento, è stata individuata la procedura che segue:
-utilizzo delle PU Sponges sulla superficie pittorica con il protettivo e con abbondante deposito superficiale: la loro duttilità ad adattarsi alle superfici ha permette di rimuovere lo sporco insinuato nella texture del colore. Le dimensioni e la consistenza delle spugne hanno permesso di mantenere sempre il controllo dei movimenti e del contatto con la superficie pittorica. È stata esercitata una pressione e, simultaneamente, una lieve torsione della spugna in modo da facilitare l’asportazione del deposito coerente. Non sono state osservate abrasioni superficiali o alterazioni della riflettanza della superficie. L’esame della superficie della spugna ha confermato l’assenza di particelle di colore asportate.
L’utilizzo delle Art sponges per le aree con le gore di umidità, che presentano la maggiore quantità di deposito coerente alla superficie, secondo la seguente procedura:
una prima pulitura con le Art sponge per eliminare i primi strati di sporco, facendo seguire un secondo passaggio con le PU Sponge che rimuovono il deposito coerente insinuato nella texture.
Dato che in queste aree l’acqua, e forse anche i detergenti usati per la pulizia della passerella, hanno veicolato lo sporco all’interno delle fibre della tela, non è stato possibile eliminare completamente l’alterazione.
La restante parte della superficie pittorica è stata interessata in maniera nettamente minore dal deposito di particellato atmosferico, poiché, grazie alla sua posizione, interna, alla sommità della curva della spirale, non era soggetta a ricevere per gravità il deposito di polvere.
A causa di una minore e variabile quantità di uno strato di fissativo superficiale, in queste aree non è stato possibile applicare la stessa azione meccanica se non rischiando di asportare di piccole particelle di colore.
Il sistema di pulitura della superficie dell’opera con minore protettivo ha previsto la combinazione di due metodi: una tamponatura leggera con le sole PU Sponges inumidite con la soluzione tampone nelle sole aree in cui la tecnica artistica lo ha permesso e dove era presente maggiormente lo sporco superficiale, mentre, nelle restanti aree è stato applicato un Gel a base di polivinilalcol Peggy 6 sottile e successiva tamponatura con Peggy 5 Gum, necessaria per rifinire in maniera localizzata la superficie dopo l’azione del gel sottile, soprattutto laddove si trovava una più alta concentrazione di deposito superficiale (gel chimici della linea Nanostore Gel a base di polivinilalcol, realizzati dal CSGI di Firenze, in grado di diminuire il potere penetrante dell’acqua e migliorarne il potere bagnante, con un’elevata capacità ritentiva).
Per quanto concerne la protezione degli strati pittorici dopo il restauro, è stato deciso di non applicare un ulteriore strato protettivo in quanto ancora funzionale quello originario. Il controllo periodico dello stato di conservazione delle tele all’interno del programma di conservazione preventiva che sarà attuato, ci permetteranno di valutare, in futuro, la necessità o meno di una eventuale nuova protezione superficiale.
Il ripristino dell’unità strutturale della tela a seguito della separazione in due porzioni, è stato ottenuto operando sopra la fascia tessile in cotone già esistente, con l’applicazione di una seconda striscia di tela poliestere sfrangiata lungo i bordi e tagliata in direzione dell’ordito, in modo tale che la trama sia posizionata perpendicolarmente al taglio presente sull’opera. L’incollaggio è avvenuto con l’applicazione dell’adesivo EVA neutral pH Adhesive posto solo sulla tela in poliestere.
Tutte le operazioni sono state precedute dalla sperimentazione e individuazione di materiali e di metodi più idonei e dalla loro applicazione su di un modello in scala dell’opera.
Così come per la ricerca del metodo opportuno di tensionamento della tela con un sistema che imponga una forza controllata e regolabile nel tempo, in quanto il sistema adottato in origine aveva causato evidenti deformazioni e, in alcuni casi, lacerazioni.
La soluzione scelta ha previsto il raddoppiamento dei punti di aggancio, con l’applicazione di asole tessili lungo il bordo interno delle tele, per diminuire la forza applicata localmente; e la realizzazione di un sistema elastico, a molla con costante elastica e caratteristiche dimensionali definite in funzione del caso studio, grazie al quale è possibile controllare e regolare la forza di trazione imposta. La regolazione della deformazione della molla è resa possibile grazie all’inserimento di un tenditore da nautica.
Per la protezione del retro della tela e del sistema di tensionamento, sono state posizionate porzioni di TNT fissate, puntualmente, con un sistema di magneti alla struttura metallica
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