Storie di Sant’Agnese e di Giuseppe l’Ebreo, inizio XV sec., Oratorio della Confraternita di Sant’Agnese, Chiesa di Santa Maria del Carmine, Firenze

  • : Intervento di restauro
  • Stato attività: concluso

Dati

Informazioni sull’attività

Informazioni sull’opera

Informazioni storico-descrittive

Il ricetto della Confraternita di Sant’Agnese, che si trova sul fianco sinistro della chiesa del Carmine a Firenze, conserva frammenti di una decorazione a monocromo sui toni del rosso e, nella parte bassa, in terra verde.
La sala rettangolare è decorata nella parete lunga, corrispondente alla parete esterna della chiesa, su tre registri: nella zona alta, molto frammentarie, sono riconoscibili grazie alle iscrizioni episodi della vita di Giuseppe l’Ebreo; nella parte centrale sono rappresentate le storie di Sant’Agnese; mentre in basso l’originaria raffigurazione di una balza, ricoperta da tendaggi, è stata in parte sostituita da una pittura a terra verde con una scena, probabilmente una cerimonia o un momento di vita della confraternita.
I dipinti sono stati attribuiti, dalla studiosa Annamaria Bernacchioni, alla mano del pittore Lippo d’Andrea la cui attività è testimoniata in quegli anni in Santa Maria del Carmine a Firenze.

Il culto della figura di Sant’Agnese è legato alla Chiesa del Carmine già prima della costruzione della chiesa, infatti nel 1268 in occasione della fondazione della chiesa, fra le reliquie di fondazione venne donato dal vescovo anche un piede della martire.
La Compagnia di Sant’Agnese preesistente alla fondazione della chiesa, nel 1269 si unì alla confraternita di Santa Maria delle Laudi, fondata nel 1248, con il nome di Compagnia di Santa Maria delle Laudi e di Sant’Agnese. La confraternita aveva uno status più autonomo delle altre che gravitavano intorno alla chiesa e al convento del Carmine utilizzandone gli ambienti, in quanto possedeva locali sui propri.

Tecnica esecutiva

Le pitture sono realizzate a monocromo, giocata sui toni caldi: dal rosso al giallo. L’uso di quest’ultimo è riservato in alcuni riquadri soltanto alle campiture del suolo, mentre in altre scene contribuisce alla definizione dei volumi delle figure. Tutti i fondi sono campiti in morellone. Il nero impiegato per ottenere il morellone è nero d’ossa, anziché il più comune nero vite. La pittura non è stata eseguita a buon fresco, bensì sull’intonaco steso a ‘pontate’, corrispondenti a ciascun registro, in spessori disomogenei e senza arriccio. Il colore è applicato su vari strati di latte di calce, e per quanto riguarda il disegno a mano libera e le ombre acquerellate, sembrano essere stati inglobati dalla carbonatazione degli strati di calce, che probabilmente erano ancora umidi. Mentre il rinforzo del modellato delle figure è applicato con l’ausilio di leganti organici molto sensibili all’umidità. La stesura a secco in alcuni punti si sovrappone a lacune esistenti, ciò fa supporre che sia trascorso un lasso di tempo fra le due fasi esecutive. Per lo stesso motivo, anche i ‘titula’ sotto le storie di Giuseppe sembrano eseguiti in un secondo momento. Parte della decorazione sembra comunque non essere stata mai completata come alcune delle cornici.
L’ultimo intervento decorativo è quello relativo alla scena a terra verde, condotta completamente a secco, interrompendo la decorazione precedente. Sul fondo in terra verde sono creati col nero i tratti portanti, mentre con il bianco sono evidenziate le parti in aggetto; il rosso è stato impegato infine per sottolineare alcuni particolari come le fiamme delle torce.

Vicende conservative

In origine l’ambiente probabilmente era una loggia che si affacciava sulla piazza, in seguito trasformata in ambiente chiuso. I dipinti in un’epoca imprecisata furono occultati, a causa della costruzione di volte a crociera che danneggiarono irrimediabilmente i pannelli con le storie di Giuseppe l’Ebreo. Negli anni ’30 del secolo scorso riemersero alcuni brani di pittura, forse per caduta spontanea degli strati di scialbo, ma furono documentati soltanto durante una campagna fotografica nel 1970, le cui stampe sono conservate presso l’archivio fotografico di codesto istituto. Soltanto negli anni ’70 fu effettuato un vero e proprio intervento di scopritura, purtroppo non documentato o corredato da una scheda con la descrizione dell’intervento e l’indicazione dell’operatore.

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