
La Stauroteca a forma di croce greca, con i quattro bracci della medesima lunghezza e trilobati, proviene dal conservatorio di Santa Chiara ed è tradizionalmente attribuita ad una manifattura toscana del primo quarto del XIII secolo. Altri studi l’hanno avvicinata a una produzione mosana, anche se la qualità degli smalti champlevé presenti sull’oggetto di Castiglion Fiorentino non sembrano essere di qualità analoga a quelli prodotti nelle botteghe della regione della Mosa
La Stauroteca si compone di una sottile struttura in legno, rivestita da lamine di rame dorato, ancorate tra loro da perni passanti l’anima lignea e ribaditi al di sotto delle gemme incastonate. Questa tecnica rende, sostanzialmente, irreversibile il montaggio, a meno di non procedere alla rimozione delle pietre dai castoni, operazione potenzialmente molto dannosa per l’integrità di questi elementi. Se questa fosse l’intenzione originaria degli artefici o se tale sistema di montaggio sia da attribuire a un intervento successivo, non è dato sapere. Le gemme presenti sull’opera sono per lo più riferibili alla tipologia detta “doppiette”, ovvero due elementi in vetro incollati tra loro per mezzo di un adesivo pigmentato, che conferisce all’insieme il colore visibile. Altre gemme sono in realtà paste vitree, mentre sono presenti anche alcune pietre dure.
Sul recto sono presenti quattro placchette in rame smaltato secondo la tecnica detta champlevé (in cui la polvere di smalto è posta entro depressioni ricavate nello spessore del supporto metallico, prima di procedere alla cottura in forno) raffiguranti le figure zoo-antropomorfe degli evangelisti: in alto l’aquila (simbolo di Giovanni), a destra il leone (Marco), in basso il toro (Luca) e a sinistra l’angelo (Matteo). All’incrocio dei bracci è presente un’altra placchetta smaltata raffigurante l’Agnus Dei.
Sul verso, in corrispondenza delle placchette, sono quattro teche che contengono le reliquie dei santi: (dall’alto) Pietro e Paolo, Chiara, Giovanni e Maria Maddalena. Queste reliquie potrebbero essere state apposte in un momento successivo, o comunque potrebbero aver subito un riallestimento di tipo ottocentesco, come dimostra la presenza del cartiglio e del fondo raggiato, tipici di quest’epoca.
La teca centrale con la reliquia della Santa Croce è sicuramente più antica ed è coperta da una placchetta con smalto rosso e motivi a rosetta sul fondo, coerenti con lo stile degli altri smalti. Al centro della lamina smaltata, una finestrella a forma di croce greca consente di vedere la reliquia
La struttura della croce, per quanto parzialmente deformata e non del tutto in assetto verticale, non presentava gravi problemi di tipo meccanico. Il principale fenomeno di degrado era costituito dalla presenza di un consistente strato di cera rossa e, in alcuni punti, di cera verde, oltre che da un deposito pulverulento di sporco generico, diffusi su tutte le superfici. Questi materiali sono presumibilmente da attribuire a precedenti interventi di manutenzione dell’opera, ma con il passare del tempo, a seguito della naturale alterazione, sono divenuti essi stessi fattore di deterioramento, stimolando la formazione di prodotti di corrosione del rame. Le efflorescenze saline erano particolarmente evidenti sulle placchette smaltate, interamente ricoperte da prodotti di alterazione, certamente favoriti dalla permanenza in ambienti con alti valori di umidità relativa
La struttura lignea interna e il puntale potrebbero essere stati sostituiti nel tempo oppure parzialmente modificati, data la visibile differenza di spessore che c’è fra il legno e la distanza tra le lamine metalliche. Il sistema di imperniatura con elementi in ottone sembrerebbe riconducibile all’intervento sulle teche con le reliquie, in quanto i perni che sostengono le placchette smaltate (brutalmente inseriti al centro delle placchette) si ancorano nella parte interna dei vani coperti dalla stoffa. Sempre allo stesso intervento rimanda la cornice in ottone che racchiude la teca centrale con la reliquia della Santa Croce, così come le cornici minori decorate a perlinatura che chiudono le altre teche circostanti. Una laminetta liscia, sempre in ottone, è stata collocata in corrispondenza di una lacuna presente su un lato del nastro perimetrale.
Tutti gli elementi in ottone presenti sulla croce sono stati in seguito patinati con una cera rossa, simile al cd. ‘rossetto’ da orafi, posta probabilmente per simulare l’effetto cromatico del rame dorato. Alcune delle pietre e paste vitree nei castoni potrebbero essere state sostituite nel corso dei secoli
Radiografie, campionamenti e indagini con XRF, analisi al SEM con sonda EDS.
L’impossibilità di procedere in sicurezza allo smontaggio degli elementi metallici dalla struttura lignea ha fortemente condizionato lo svolgimento delle operazioni di restauro, aumentandone la difficoltà e la lentezza. Lo smontaggio delle oreficerie in fase di restauro è sempre effettuato, nella misura in cui sia fattibile in condizioni di sicurezza ed efficacia, per poter separare temporaneamente i materiali costitutivi, consentendo l’applicazione di metodi e sostanze specifiche a seconda della natura e dello stato di conservazione dei singoli elementi.
Le operazioni di pulitura sono perciò state condotte a oggetto montato, per mezzo di solventi e soluzioni complessanti gelificate, che sono così rimaste in sospensione sulle superfici, consentendo l’asportazione progressiva dei prodotti di degrado senza il rischio che i materiali impiegati nell’intervento si infiltrassero all’interno dell’opera, divenendo essi stessi futuri elementi di degrado
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