
L’opera era collocata ad ornamento della nicchia sull’altare della cappella funeraria di Francisco di Los Cobos de El Salvador di Úbeda in Andalusia fino al 1936 quando fu gravemente danneggiata dalla furia iconoclasta durante la guerra civile spagnola.
Il San Giovannino è di proprietà della Fundacion Casa Ducal de Medinaceli, istituzione culturale con sede a Siviglia che raccoglie importanti testimonianze storiche e artistiche della Spagna meridionale. Pregevole esempio di scultura marmorea di epoca rinascimentale, l’opera è stata in passato riferita genericamente ad ambito italiano o, in maniera più circostanziata, a Michelangelo, un’attribuzione condivisa da studi più recenti di Francesco Caglioti anche sulla base dei legami riscontrati tra la cittadina spagnola e il mecenatismo di Vittoria Colonna, protettrice dell’artista.
La scultura era in origine alloggiata in una nicchia del grande altare maggiore della chiesa; nicchia dalla quale venne rimossa per essere vandalicamente mutilata il 26 luglio 1936, nel corso della guerra civile spagnola. Ridotta a uno stato frammentario – se ne conserva circa il quaranta per cento del totale – è divisa in diciassette elementi di varie dimensioni e non contigui.
Della scultura si ha una documentazione fotografica molto ridotta e riferita agli anni Trenta; solo di recente sono state ritrovate due immagini che mostrano il fronte e il retro insieme a quelle laterali fornite generosamente da Francesco Caglioti e che hanno consentito l’intervento di restituzione della scultura. L’Opificio, infatti, è stato impegnato in una ricostruzione che, impiegando metodologie tecnologicamente avanzate di rilievo Laser, fotografico e restituzione tridimensionale, ha consentito la ricomposizione dell’opera.
L’opera era ridotta in uno stato frammentario, divisa in diciassette elementi di varie dimensioni e non contigui.
Sul volgere della fine del 1994 sono arrivati all’Opificio delle Pietre Dure diciassette frammenti marmorei appartenenti a quella che fino al 26 luglio 1936 era la statua del San Giovannino di Úbeda, pubblicata nel 1930 da Manuel Gómez Moreno come opera giovanile di Michelangelo, attribuzione, come si è detto, recentemente sostenuta da Francesco Caglioti sulla base di confronti stilistici e di indagini documentarie di contesto.
Nel corso degli anni, vari sono stati i tentativi di ricomposizione della scultura. Nel 2000 Annamaria Giusti mise a punto un piano con Giorgio Accardo, direttore del Laboratorio di Fisica e controlli ambientali dell’Istituto Centrale per il Restauro di Roma, con le tecniche digitali 3D ma che, mancando del supporto imprescindibile di una completa ricognizione fotografica, produsse un modello in scala 1:4, molto lontano a dire il vero dalla realtà.
È stato possibile dare inizio all’intervento di ricostituzione solo nel 2011 dopo l’acquisizione del materiale fotografico fornito da Caglioti all’OPD e da lui rinvenuto nella fototeca del Kunsthistorisches Institut di Firenze. Con queste fotografie e grazie al rapporto già stabilito l’anno precedente con la ditta UNOCAD di Altavilla Vicentina, il lavoro ha cominciato a decollare.
Sul manufatto sono state eseguite indagini petrografiche e dei materiali superficiali (CNR di Firenze, OPD)
Dopo il rilievo dei frammenti, da cui ne sono stati opportunamente estrapolati tre evidentemente erratici, e la realizzazione del rilievo 3D, si è passati alla fase della prototipazione in nylon e vetro. Premesso che era necessario, sulla base delle scelte metodologiche concordate dal consiglio scientifico (Marco Ciatti, Giorgio Bonsanti, Francesco Caglioti, Cecilia Frosinini, Maria Cristina Improta) che le parti contemporanee aggiunte fossero assolutamente riconoscibili e ritrattabili, lo stesso materiale delle prototipazioni doveva essere inerte, sia da un punto fisico che chimico, rispetto a quello originale. Il punto di maggiore difficoltà nel montaggio era rappresentato dal bacino (30 kg ca.) che ha comportato la realizzazione di una complessa struttura di metallo con una piastra di acciaio.
Le prototipazioni sono state montate con l’uso di magneti in modo da garantire in qualsiasi momento uno smontaggio in tempo reale. Le stesse sono state rilavorate con la polyphilla, un gesso sintetico, su cui successivamente sono state eseguite delle patinature, per ammorbidire e abbassare il contrasto tra integrazioni e parti originali. La testa del Santo, il più rappresentato nella storia dell’arte occidentale, è quella che maggiormente allude, nelle carbonizzazioni del frammento con gli occhi fortunatamente intatti, agli orrori di quella giornata d’estate del 1936. Le vistose tracce di fuoco sono state abbassate dopo la pulitura con il laser, invece non si è potuto fare niente per il modellato, molto penalizzato, dei capelli.
La scelta di non riproporre il dito indice della mano destra, verosimilmente puntato verso il cartiglio del piccolo Profeta a stimolare così l’attenzione del riguardante, è stata dettata dal fatto che il dito che appare nella documentazione fotografica non era quello originale, ma reinventato: sarebbe stato quindi criticabile riproporre un indice di pura fantasia.
Una volta portato a termine il restauro e prima del ritorno della scultura in Spagna, è stato possibile ammirare dal 4 dicembre 2013 al 27 aprile 2014 il San Giovannino al Museo di Palazzo Grimani di Venezia.
Il San Giovannino di Úbeda restituito, Kermes n. 89, Gennaio-Marzo 2013
Improta M.C. (a cura di), Il San Giovannino di Úbeda restituito, Edifir, Firenze 2014
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