
Fin dalla prima edizione delle Vite, del 1550, Vasari inserisce nella biografia di Raffaello la citazione della Madonna dell’Impannata, della sua committenza e delle sue prime vicende collezionistiche: “e similmente un quadro di Nostra Donna egli [Bindo Altoviti] mandò a Fiorenza; il qual quadro è oggi nel palazzo del duca Cosimo nella Cappella delle stanze nuove e da me fatte e dipinte, e serve per la tavola dell’altare; ed in esso è dipinta una Santa Anna vecchissima a sedere, la quale porge alla Nostra Donna il suo Figliolo di tanta bellezza nell’ignudo e nelle fatteze del volto, che nel suo ridere rallegra chiunque lo guarda: senza che Raffaello mostrò nel dipignere la Nostra Donna tutto quello che di bellezza si può fare nell’aria di una vergine, dove sia accompagnata negli occhi modestia, nella fronte onore, nel naso grazia, e nella bocca virtù; senza che l’abito suo è tale, che mostra una semplicità ed onestà infinita. E nel vero io non penso, che per tanta cosa si possa veder meglio. Evvi un San Giovanni a seder, ignudo; ed un’altra Santa, ch’è bellissima anch’ella”. Quello che poi diventerà, per così dire, il titolo dell’opera, l’Impannata, deriva dalla presenza di una finestra chiusa da un telo chiaro teso su un telaio di legno, descritta anch’essa dal Vasari “così per campo vi è un casamento dove egli ha finto una impannata che fa lume alla stanza, dove le figure son dentro”.
In seguito alla confisca da parte di Cosimo I nel 1568 dei beni degli Altoviti, il dipinto, dal palazzo di Firenze, dove era stato mandato dal committente stesso, fu collocato nella cappella del quartiere di Leone X in palazzo Vecchio; poi esposto nella Tribuna degli Uffizi nel 1589; e quindi nella Galleria Palatina a Palazzo Pitti nel 1697. La valutazione elogiativa del Vasari, ripresa dal Borghini nel 1584, condizionò tutta la critica fino al Settecento. Infatti nel 1585 Raffaello Borghini nel Riposo descrive questo dipinto con simili parole “ed a Bindo Altoviti fece il ritratto suo, quando era giovane, che è tenuto bellissimo: e parimente gli fece un quadro di nostra Donna, il quale egli mandò a Firenze, e si trova oggi nel palagio del Gran Duca Francesco, nella cappella delle stanze nuove, dove è dipinta Sant’Anna vecchissima a sedere, la quale porge alla nostra Donna il suo figliuolo, di tanta bellezza nello ignudo e nel viso, che nel ridere rallegra chiunque il rimira, e la Vergine non può essere più modesta, né più bella: evvi un San Giovannino ignudo a sedere, ed un’altra santa bellissima, e per campo un casamento, dove egli ha finto una finestra impannata, che fa lume alla stanza, in cui son dentro le figure”. Nel 1799 l’opera fu scelta dall’amministrazione napoleonica tra il nucleo di capolavori da inviare a Parigi dove fu esposta, prima al Louvre e poi al Palais du Luxembourg dal 1802 al 1815.
Sono noti due disegni preparatori dell’opera, uno raffigurante la Madonna con Bambino e sant’Anna (Windsor Castle, Royal Collections Library; n.12742) e un altro studio in cui viene raffigurato il Bambino e san Giovannino (Berlino, Kupferstchkabinett; n. KdZ 2231), in cui le figure non si discostano molto dalla posizione che avranno nella redazione finale. L’opera è stata datata tra il 1511 e il 1515. Il dipinto viene legato al periodo della produzione romana di Raffaello e la critica ha discusso molto sul fatto che sia un’opera autografa o frutto di collaborazione all’interno della bottega del maestro.
La presenza di sant’Anna nella scena, rappresentata in atto di ricevere il Bambino Gesù o di porgerlo alla Vergine, comunque in un atto di intermediazione, potrebbe avere radici antiche e riprendere l’iconografia tradizionale detta “della sant’Anna Metterza”, cioè della sant’Anna “messa a fare da terza”; o, dal dialetto toscano due-trecentesco, “che mi è terza”, ossia che è per il devoto in terza posizione in una gerarchia della generazione divina. L’identificazione con santa Elisabetta, non supportata dalla descrizione di Vasari, è stata probabilmente avanzata da chi la vedeva plausibile per la presenza del san Giovanni Battista bambino, cui farebbe da contraltare, in una sorta di ripetizione della scena evangelica della Visitazione, questa volta tramutata in un evento più familiare, una sorta di scambio di visita tra madri di prole santa. In mancanza di un’attestazione storica per sant’Elisabetta, però, non di vede la ragione di dover contraddire la descrizione vasariana e quindi sembra ragionevole preferire la versione che vede nella santa anziana una sant’Anna.
L’identificazione della giovane santa, ignota anche a Vasari, non sembra trovare alcun riscontro fra i possibili personaggi evangelici: anche la sua posizione, esterna alla scena vera e propria dell’incontro, di accompagnamento alla figura dell’anziana, spinge verso una interpretazione legata ad un aspetto devozionale e mistico, legato piuttosto alla committenza. La presenza di un possibile disegno legato all’impostazione preliminare dell’Impannata, per quanto riguarda il gruppo della Madonna con il Bambino e san Giovannino, ma rappresentante la scena del Matrimonio mistico di santa Caterina, ha condotto ad ipotizzare che anche la giovane presente alle spalle di sant’Anna fosse, appunto, la martire di Alessandria. Tuttavia, oltre a non presentare alcun attributo inequivocabilmente riconducibile alla martire Caterina, mancano anche elementi propri della scena del Matrimonio mistico. La santa non porge il dito per il gesto dell’inanellamento, come usuale, ma la sua mano sinistra indica il Bambino, così come lo indica, in maniera quasi speculare, il san Giovannino, entrambi gesti di agnizione e professione di fede.
Di contro l’unico elemento distintivo della giovane è il copricapo, costituito da una sorta di intreccio a calotta, poi raccolto sotto il mento. Il confronto con altre opere di Raffaello stesso, in cui alcune donne indossano soggoli e calotte a fermare il velo (per esempio nella Trasfigurazione o negli affreschi dell’Incendio di Borgo) è particolarmente indicativo della differenza della foggia e dei materiali raffigurati dall’artista. Non si tratta quindi di un elemento dell’abbigliamento dell’epoca o di una foggia stilizzata ispirata all’antico. Volendo leggerlo come possibile elemento distintivo della santa, quindi, siamo portati ad ipotizzare che sia una indicazione della possibilità di identificarla con santa Brigida di Svezia, la mistica svedese che trascorse lunghi anni a Roma, alla fine del XIV secolo, per poi morirvi nel 1373. Le sue visioni, come è noto, influenzarono moltissimo la religiosità del periodo e, grazie al linguaggio visivo con cui erano espresse, improntarono fortemente la stessa iconografia del periodo. A santa Brigida si deve anche la creazione di un ordine religioso che sarà detto del Santo Salvatore, ordine che in Roma trovò sede nell’edificio in cui visse la fondatrice, nelle vicinanze di Campo de’ Fiori, trasformato in convento e chiesa a lei dedicata. Fin dalla loro fondazione le Suore Brigidine si riconoscevano per il tipico copricapo, due bande che formavano sul capo una croce, i cui bracci sono uniti da una fascia circolare, poi legata sotto il mento. E il copricapo di santa Brigida fu, per secoli, una delle reliquie più venerate della cristianità.
Si può ulteriormente rinforzare l’ipotesi di identificazione fra la giovane santa della Madonna dell’Impannata e santa Brigida sia per la vicinanza tra Palazzo Altoviti, a Roma, e la chiesa dedicata alla santa; e per il fatto che nel 1513 la chiesa venne rinnovata e dotata, in una data, quindi, se non identica almeno estremamente prossima a quella della realizzazione dell’Impannata.
Il dipinto è realizzato con tecnica ad olio su un supporto in legno di pioppo (160 x 126 cm con uno spessore medio di 33 mm), costituito da tre tavole larghe 50, 42 e 34 cm. Le dimensioni sono maggiori di una tavola destinata a devozione privata e minori di una pala d’altare. Sul retro del dipinto sono presenti due traverse, con incastro a coda di rondine, larghe 9 cm e poste a 18,5 cm dalle estremità e quattro inserti lignei a farfalla lungo la commettitura delle prime due tavole.
I motivi che hanno portato ad intraprendere l’intervento di studio e restauro sulla Madonna dell’Impannata erano di due ordini: una grave alterazione cromatica della superficie, che si era notevolmente scurita a causa degli effetti di ingiallimento delle vernici sovrapposte non originali, e l’avvenuta disconnessione e conseguente frattura fra due delle tavole che compongono il supporto con conseguenti cadute di colore e sollevamenti già restaurati in passato. Il progetto analitico, preliminare al progetto di conservazione, ha preso in esame le precedenti analisi per poter sottoporre l’opera ad una nuova campagna di indagini
Gli strati preparatori sono coerenti con la tecnica esecutiva di Raffaello e consistono in due stesure di gesso e colla animale, con presenza di terre, ocre e nero carbone su cui si rileva un addensamento di colla in superficie.
Al di sopra è presente un sottile strato di imprimitura a base di bianco di piombo caricato con scagliette di vetro e nero carbone su cui è presente un successivo strato di imprimitura, sempre con bianco di piombo e scagliette di vetro, intonata agli strati pittorici successivi La lettura della materia originale e dell’impostazione delle pieghe nella parte inferiore del manto della Madonna è risultata molto difficile a causa del suo deterioramento e delle ridipinture effettuate successivamente. Il manto della Vergine è stato indagato con molto dettaglio, in quanto oltre che dal trascolorare dell’intensità e della saturazione del colore è interessato da numerose ridipinture, nonché dal sovrapporsi di stesure originarie differenti. Le indagini XRF hanno mostrato infatti una estrema variabilità dei risultati in quanto alcune di queste ridipinture, che si presume siano le più antiche, mostrano una composizione coerente con quella delle stesure originali. L’uso di azzurrite ricorre in circa la metà dei punti indagati ed è verosimilmente associato a una prima stesura dell’azzurro, ultimato con una seconda a base di lapislazzuli. L’assenza di una prima stesura azzurra a base di rame nella parte inferiore in cui c’è una maggiore presenza di rosso, sembrerebbe indicare che inizialmente non fosse stato previsto il manto, bensì parte della veste della Vergine. Si può ipotizzare che contestualmente alla prima versione di san Giuseppe e san Giovannino il manto della Madonna prevedesse un panneggio disposto in modo da evidenziare la veste dipinta con lacca rossa, parzialmente ora evidente al disotto della manica di sant’Anna. Nell’ultima versione del dipinto, una piega a base di azzurrite a completare il manto, è dipinta su parte del corpo del san Giovannino precedente. Lo slittamento degli strati pittorici sovrapposti, unito a presumibili interventi di pulitura effettuati in passato per ricercare la presenza delle figure sottostanti, ha provocato la situazione attuale di difficile lettura anche a causa di estese mancanze pittoriche. I prelievi effettuati nelle zone relative al manto blu evidenziano due stratificazioni diverse nella parte alta del velo e nella parte centrale del manto. Nella zona superiore sono presenti stesure di sovrammissioni dovute ad antichi restauri, mentre nel manto è stato individuato il carnato della figura sottostante, ricoperto dall’azzurrite e dall’oltremare. Il manto nella figura sottostante di san Giuseppe è dipinto con pigmenti gialli a base di piombo e stagno, molto evidenti nella scansione XRF ad aree, che mostra come questa figura prima del cambiamento sia stata portata ad un alto livello di completezza pittorica. La tenda alle spalle del gruppo è stata realizzata con pigmenti a base di rame. Al fine di ottenerne la trasparenza sono applicate delle stesure di resinato di rame per ottenere la saturazione del verde della tenda. La pratica di applicare velature di colore trasparente sopra una stesura di base per ottenere un particolare effetto di luminosità è diffusa e citata nella trattatistica del periodo. Sotto la veste rosa della santa è presente una stesura verde, che si intravede laddove quelle del rosa sono più sottili; altrove la stesura verde è stata intenzionalmente sfruttata in corrispondenza delle giunzioni tra campiture di colore differente per accentuare lo stacco nella veste della santa giovane. Le stesure di rame, trovate già in XRF per punti, sono risultate molto evidenti nella scansione imaging XRF dell’intero dipinto. Le aureole sono realizzate con oro in conchiglia.
Dalle ricerche condotte da Serena Padovani sulla storia conservativa dell’opera si desume che la fessurazione della tavola fosse già presente nel Settecento, come pure alla partenza dell’opera per la Francia e nelle documentazioni reperite viene riferito lo stato di deterioramento della materia pittorica nelle ombre del manto della Madonna. Il dipinto fu preso in consegna, nel 1938, da Augusto Vermehren (GR728) e Pietro Sanpaolesi riferisce che la tavola “è molto ingiallita e nasconde le sue qualità pittoriche sotto uno strato di vernici opache”. Fu effettuata una radiografia, occasione offerta “dalla necessità di alcuni piccoli restauri di consolidamento che si dovevano fare al dipinto”. In occasione della mostra Raffaello a Firenze, nel 1984, fu eseguito un restauro dell’opera da Alfio del Serra (GR 9524). Nella relazione di restauro si descrive la presenza di una “patinatura giallo-ambrata” e di mancanze di colore relative al manto della Madonna, il cui stato di conservazione è precario, e si fa riferimento alla disgiunzione delle due assi.
Il restauro dell’opera è stato motivato dalla sconnessione in corrispondenza dell’unione delle due tavole, che aveva prodotto sollevamenti nella materia pittorica risalente ai vecchi interventi di restauro eseguiti, documentati nella storia conservativa dell’opera. Inoltre il grado di ingiallimento e alterazione della vernice comprometteva la lettura delle cromie offuscandole, impedendo di apprezzarne i cangiantismi e “appiattendo” sullo stesso livello gli effetti di profondità. La vernice era disomogenea e presentava alterazioni evidenti sui capelli del Bambino, sulle vesti delle sante e nelle parti scure. In particolare il manto della Madonna appariva fortemente compromesso: nella parte centrale, sotto il Bambino, uno slittamento della materia pittorica, dovuta a due stesure di colore sovrapposte, aveva prodotto una alterazione morfologica e cromatica della superficie, resa ancor più confusa nella lettura da ulteriori sovrapposizioni di restauri, ora alterati.
Gli esami diagnostici hanno confermato i risultati emersi dalla radiografia del 1938, condotta sotto la direzione di Piero Sanpaolesi, che ha rivelato sulla destra una figura di San Giuseppe seduto di profilo e con la canna nella mano destra e un san Giovannino fanciullo di cui si vedono la testa e la spalla appoggiata al panneggio del san Giuseppe, figure che non compaiono nella redazione finale dell’opera. Alquanto spostate sono la testa della Vergine, il corpo del Bambino e la santa giovane con la mano destra soltanto abbozzata e la testa senza copricapo.
Nel 1984 il dipinto è stato nuovamente sottoposto a una radiografia in lastre che ha confermato e fornito ulteriori elementi a sostegno della lunga elaborazione dell’opera, ma le figure dipinte al di sotto della versione attuale non sono state rilevate nell’indagine riflettografica
La radiografia ha permesso di studiare la costruzione del supporto e nella visione a luce radente sono state evidenziate le sconnessioni nel tavolato; tramite la riflettografia si sono approfondite le variazioni nei disegni preliminari relative ai vari livelli di composizione, mentre per l’approfondimento sui pigmenti utilizzati e sulle stratificazioni non originali è stata condotta l’analisi in fluorescenza x sia per punti che per aree. Conseguentemente le analisi chimiche e stratigrafiche sono state limitate ad un numero minimo di prelievi, rianalizzando in prima istanza i campioni prelevati nel 1984, in occasione della Mostra Raffaello a Firenze
La nuova radiografia digitale, realizzata preliminarmente al nostro restauro, ha permesso di definire le figure sottostanti con maggiore precisione nei dettagli, grazie ai miglioramenti tecnici degli strumenti usati. Le figure sono dipinte e non solo abbozzate. Lo spessore della materia pittorica è evidente anche nell’esame a luce radente, ma solo relativamente alla figura del san Giuseppe, il cui contorno della testa e profilo si intersecano con la figura del san Giovannino soprastante. Grazie alla craquelure da ritiro nel manto blu della Madonna si intravedono tracce del carnato del san Giovannino sottostante. La radiopacità delle biacche costituenti i carnati ha permesso di leggere molto bene in radiografia come erano impostati i personaggi della prima versione e la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati per la loro realizzazione è emersa tramite l’analisi XRF puntuale e per aree. Le misure effettuate hanno consentito di ricavare informazioni sui pigmenti impiegati nelle stesure sottostanti e conseguentemente di formulare ipotesi sulle cromie di alcuni particolari coperti dall’autore nella versione finale della composizione. Gli incarnati sono stati ottenuti con biacca, piccoli quantitativi di pigmenti a base di ferro (terre e/o ocra) e di cinabro. “La presenza di questi elementi potrebbe essere dovuta, almeno in parte, al contributo degli strati sottostanti, essendo tutta la figura di san Giovannino stata aggiunta nella fase finale dell’elaborazione della composizione, ricoprendone altre precedenti. Lo stesso vale per lo stagno sistematicamente determinato in combinazione col mercurio in corrispondenza degli incarnati del fanciullo, nonché in zone ad essi limitrofe. Le presenze di stagno e mercurio, associate alcune volte a ingenti quantitativi di ferro sembrerebbero indicare un colore bruno-arancio per la campitura sottostante, colore perfettamente in accordo con il manto di san Giuseppe, figura riconoscibile dall’immagine radiografica”. (P. Moioli, C. Seccaroni, relazione sulle indagini, Raffaello, Madonna dell’impannata, Firenze, Galleria Palatina. Caratterizzazione dei pigmenti mediante fluorescenza x,)
La riflettografia ha evidenziato un disegno preparatorio molto dettagliato, grazie anche allo scanner multispettrale che acquisisce l’immagine in 12 lunghezze d’onda, tra 952 e 2262 nanometri. Le immagini così acquisite hanno permesso di rilevare elementi nel disegno e negli strati pittorici che emergevano a diverse lunghezze d’onda e ci hanno permesso di trovare altri due importanti cambiamenti nell’opera. Sono state scoperte, oltre al san Giovannino bambino e al san Giuseppe ben rilevabili alla lunghezza d’onda di 1700 nanometri, due nuove figure, realizzate in fase progettuale, una disegnata e una parzialmente dipinta che hanno aggiunto altri elementi a confermare la complicata genesi dell’opera.
La prima figura consiste nel solo disegno di un vecchio di profilo, posto in alto a destra in corrispondenza della finestra, presumibilmente un abbozzo di un’altra testa di san Giuseppe leggermente inclinata. Si tratta di un disegno, realizzato a tratto lineare molto libero con nero carbone, in cui sono ben delineati i capelli e l’orecchio di una figura e un doppio profilo del naso. Le linee sono scure e hanno un aspetto granuloso che si può associare all’uso della grafite.
Sempre tramite l’indagine riflettografica è stato possibile scoprire la presenza di una testa posta al di sopra della spalla della Santa giovane. Si tratta di un profilo femminile con i capelli raccolti. Il resto della figura non è stato rilevato dalla riflettografia, forse perché schermato dai pigmenti soprastanti utilizzati per le stesure delle vesti della giovane santa.
Il primo intervento è consistito nell’intraprendere una pulitura superficiale del dipinto senza intaccare la vernice, al fine di trovare una leggibilità dell’opera senza intraprenderne un completo restauro. Purtroppo tale intervento non ha dato alcun risultato, poiché la rimozione dello sporco superficiale (effettuata con emulsione grassa a pH neutro) non ha permesso di annullare le alterazioni della vernice.
Si è valutata quindi la possibilità di un intervento di pulitura, sia per recuperare una migliore leggibilità dell’opera che per potere intraprendere l’intervento sul supporto, dovendo per prima cosa liberare la commettitura della tavola dai vecchi interventi di stuccatura e integrazione pittorica che impedivano di recuperare i piani originali della pittura come riferimento per un riallineamento delle tavole. Si è quindi operato a bisturi, sotto microscopio, al fine di rimuovere stucchi e ritocchi lungo l’unione delle due tavole, potendo così contestualmente recuperare alcuni piccoli frammenti di colore originale poichè il vecchio intervento di stuccatura aveva non solo saturato le mancanze, ma anche cercato di attenuare il dislivello nella connessione tra le tavole allargandosi leggermente sul colore originale.
Nel restauro degli anni ottanta condotto sul supporto era stata ricollegata sul retro la giunzione delle tavole con cunei, e rimossa, sempre dal retro dell’opera, una vernice a olio di colore grigio di cui sono tuttora evidenti alcuni frammenti. Le traverse erano state reinserite nelle sedi ricostruendone la parte che si incastra nel supporto. La rimozione della vernice grigia, che evidentemente aveva avuto una funzione di isolante per il retro, e l’applicazione di traverse estremamente rigide, unite agli squilibri microclimatici dubiti dall’opera, avevano nel tempo prodotto un contrasto fra il supporto, che tende ad incurvarsi, e le traverse con la conseguente sconnessione delle tavole. Considerati i limiti del vecchio intervento eseguito sul supporto, il progetto attuale di restauro ha previsto l’estrazione delle traverse e la rimozione dei cunei riaprendo la sconnessione tra le assi. Sono state quindi ricostruite le parti interessate dall’incuneatura precedente, con legno antico scelto per qualità, fibratura e taglio, ricollegando la commettitura nei piani dei margini pittorici tramite l’inserimento di piccoli cunei incollati. Le tavole sono state allineate cercando di dare una unità di curvatura fra i due elementi del supporto e le traverse esistenti sono state modificate per adattarsi alla curvatura regolare del dipinto, con lo scopo di renderle elastiche per ridurre eventuali tensioni nel supporto. Le traverse sono state separate nello spessore fra la parte che si incastra nel supporto, resa più elastica, e il resto della struttura. I due elementi sono stati successivamente ricollegati per mezzo di viti e molle coniche tramite un meccanismo che si avvale di molle inserite nello spessore della traversa. La vite inserita nel piano inferiore della traversa si aggancia a una boccola filettata che sta al vertice della molla conica. La pressione fra le due parti che compongono la traversa è regolata dalla vite che ne permette il controllo dell’elasticità. La finalità dell’intervento sul supporto è stata indirizzata nella realizzazione pratica con questi accorgimenti in funzione di un controllo elastico relativo alle condizioni ambientali di esposizione.
Terminato l’intervento sul supporto si è proceduto all’intervento di pulitura, alleggerendo in modo differenziato e selettivo lo strato di vernice che ricopriva il dipinto. Nell’intraprendere la pulitura del dipinto è stata seguita una linea di intervento in accordo con la metodologia del nostro Istituto: capire la stratificazione del materiale da asportare e assottigliare attraverso la lettura di indagini mirate, confrontare i risultati con l’analisi puntuale dell’opera a microscopio abbinata a una riflessione sulle problematiche affrontate durante i precedenti restauri. Di conseguenza è stato possibile effettuare i test di solubilità e utilizzare le ricette solventi tramite i consueti saggi preliminari.
Sono stati prelevati due campioni, in modo selettivo, da sottoporre ad analisi FTIR il cui spettro conteneva principalmente resina mastice, un po’ di olio siccativo e debolissime tracce di ossalato di calcio. Le aree indagate corrispondevano alle zone dove si evidenziava un maggiore addensamento di vernice: sul mento e sul copricapo di sant’Anna. I test per l’individuazione dei solventi idonei per la successiva operazione di pulitura ci hanno indicato che le vernici e i ritocchi presenti erano a base resinosa e quindi asportabili con un solvente che agisse selettivamente su di essa. La pulitura è stata condotta facendo uso di una miscela di solventi a bassa polarità (Fd 68, costituita da 47% ligroina, 35% etanolo, 18% alcool benzilico) utilizzati sia liberi che in supportante a base di emulsione cerosa a pH neutro, che interagissero progressivamente sulla vernice. L’assottigliamento progressivo e differenziato della vernice ha permesso il recupero del cromatismo del dipinto e il bilanciamento dei piani pittorici, in considerazione dei differenti invecchiamenti delle parti chiare e delle zone scure conseguenti anche al diverso rapporto di quantità tra pigmento e legante. L’intervento di pulitura ha recuperato i passaggi tonali della pittura e la profondità dei piani della composizione. Procedendo per diversi stadi di assottigliamento, sempre documentati e verificati nel corso del lavoro sotto fluorescenza ultravioletta, è stato possibile recuperare per esempio il volume dei panneggi della tenda verde con il risvolto blu, che prima risultavano completamente appiattiti e che sono emersi nelle loro delicate velature di verderame. La pulitura della veste della Santa Caterina ha messo in evidenza non solo le velature di lacca rossa ma una sottostante stesura verde, definendo come la figura sia stata impostata su un preesistente abbozzo della tenda verde. Sul copricapo di santa Elisabetta due diverse tonalità di bianco hanno permesso di leggere anche nel visibile il cambiamento di impostazione delle pieghe. Durante la pulitura dei carnati si è recuperata la compattezza materica del volto della Madonna del Bambino e della santa giovane, contrapposto al voluto trasparire del fondo scuro di preparazione che definisce il carattere più spento della cromia e del carnato della santa anziana.
Di complicata interpretazione sono stati i numerosi antichi restauri sul velo della Madonna difficilmente asportabili con il solvente e le mancanze sul manto inferiore della Madonna in corrispondenza della figura sottostante di san Giovannino. I restauri antichi sul velo della Madonna sono stati lasciati mentre la patinatura scura sulle parti in ombra del manto è stata rimossa lasciando a vista ampie zone di abrasione con la trasparenza della lacca rossa sottostante. Le ridipinture sulla parte inferiore del manto sono state rimosse ed è stato possibile leggere la piega del manto. Il rosso vicino alla mano della Madonna, anche dopo la rimozione dei vecchi restauri ha mantenuto un disegno indefinito.
Con l’intervento di stuccatura è stato colmato il dislivello di queste mancanze come pure la commettitura delle due tavole. Sulle mancanze sono stati riproposti i rilievi materici superficiali per ricollegare le stuccature riportate a livello. Sia nella parte inferiore del dipinto che sulla connessione delle tavole si denunciano, anche dopo la stuccatura, le deformazioni del supporto e l’andamento discontinuo della superficie pittorica. Questo è maggiormente evidente a causa delle recuperate caratteristiche dell’aspetto smaltato della pittura dopo l’intervento di pulitura.
Il restauro pittorico, condotto con colori ad acquerello successivamente portati a tono cromatico con rifiniture a vernice (con Gamblin Conservation Colors ©) è stato condotto con il metodo della selezione cromatica. Scopo dell’intervento era di ricollegare le mancanze, senza però annullare totalmente le vicissitudini esecutive legate a ripensamenti e a cambiamenti legati alla natura stessa dell’opera.
La verniciatura è stata condotta con resina naturale mastice, stesa a pennello dopo le preparazioni ad acquerello e nebulizzata a spruzzo a restauro ultimato
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