Raffaello, Madonna dell’Impannata, 1513-1514, Galleria Palatina, Le Gallerie degli Uffizi, Firenze

  • : Intervento di restauro
  • Stato attività: concluso

Dati

Informazioni sull’attività

Informazioni sull’opera

Informazioni storico-descrittive

Fin dalla prima edizione delle Vite, del 1550, Vasari inserisce nella biografia di Raffaello la citazione della Madonna dell’Impannata, della sua committenza e delle sue prime vicende collezionistiche: “e similmente un quadro di Nostra Donna egli [Bindo Altoviti] mandò a Fiorenza; il qual quadro è oggi nel palazzo del duca Cosimo nella Cappella delle stanze nuove e da me fatte e dipinte, e serve per la tavola dell’altare; ed in esso è dipinta una Santa Anna vecchissima a sedere, la quale porge alla Nostra Donna il suo Figliolo di tanta bellezza nell’ignudo e nelle fatteze del volto, che nel suo ridere rallegra chiunque lo guarda: senza che Raffaello mostrò nel dipignere la Nostra Donna tutto quello che di bellezza si può fare nell’aria di una vergine, dove sia accompagnata negli occhi modestia, nella fronte onore, nel naso grazia, e nella bocca virtù; senza che l’abito suo è tale, che mostra una semplicità ed onestà infinita. E nel vero io non penso, che per tanta cosa si possa veder meglio. Evvi un San Giovanni a seder, ignudo; ed un’altra Santa, ch’è bellissima anch’ella”. Quello che poi diventerà, per così dire, il titolo dell’opera, l’Impannata, deriva dalla presenza di una finestra chiusa da un telo chiaro teso su un telaio di legno, descritta anch’essa dal Vasari “così per campo vi è un casamento dove egli ha finto una impannata che fa lume alla stanza, dove le figure son dentro”.
In seguito alla confisca da parte di Cosimo I nel 1568 dei beni degli Altoviti, il dipinto, dal palazzo di Firenze, dove era stato mandato dal committente stesso, fu collocato nella cappella del quartiere di Leone X in palazzo Vecchio; poi esposto nella Tribuna degli Uffizi nel 1589; e quindi nella Galleria Palatina a Palazzo Pitti nel 1697. La valutazione elogiativa del Vasari, ripresa dal Borghini nel 1584, condizionò tutta la critica fino al Settecento. Infatti nel 1585 Raffaello Borghini nel Riposo descrive questo dipinto con simili parole “ed a Bindo Altoviti fece il ritratto suo, quando era giovane, che è tenuto bellissimo: e parimente gli fece un quadro di nostra Donna, il quale egli mandò a Firenze, e si trova oggi nel palagio del Gran Duca Francesco, nella cappella delle stanze nuove, dove è dipinta Sant’Anna vecchissima a sedere, la quale porge alla nostra Donna il suo figliuolo, di tanta bellezza nello ignudo e nel viso, che nel ridere rallegra chiunque il rimira, e la Vergine non può essere più modesta, né più bella: evvi un San Giovannino ignudo a sedere, ed un’altra santa bellissima, e per campo un casamento, dove egli ha finto una finestra impannata, che fa lume alla stanza, in cui son dentro le figure”. Nel 1799 l’opera fu scelta dall’amministrazione napoleonica tra il nucleo di capolavori da inviare a Parigi dove fu esposta, prima al Louvre e poi al Palais du Luxembourg dal 1802 al 1815.
Sono noti due disegni preparatori dell’opera, uno raffigurante la Madonna con Bambino e sant’Anna (Windsor Castle, Royal Collections Library; n.12742) e un altro studio in cui viene raffigurato il Bambino e san Giovannino (Berlino, Kupferstchkabinett; n. KdZ 2231), in cui le figure non si discostano molto dalla posizione che avranno nella redazione finale. L’opera è stata datata tra il 1511 e il 1515. Il dipinto viene legato al periodo della produzione romana di Raffaello e la critica ha discusso molto sul fatto che sia un’opera autografa o frutto di collaborazione all’interno della bottega del maestro.
La presenza di sant’Anna nella scena, rappresentata in atto di ricevere il Bambino Gesù o di porgerlo alla Vergine, comunque in un atto di intermediazione, potrebbe avere radici antiche e riprendere l’iconografia tradizionale detta “della sant’Anna Metterza”, cioè della sant’Anna “messa a fare da terza”; o, dal dialetto toscano due-trecentesco, “che mi è terza”, ossia che è per il devoto in terza posizione in una gerarchia della generazione divina. L’identificazione con santa Elisabetta, non supportata dalla descrizione di Vasari, è stata probabilmente avanzata da chi la vedeva plausibile per la presenza del san Giovanni Battista bambino, cui farebbe da contraltare, in una sorta di ripetizione della scena evangelica della Visitazione, questa volta tramutata in un evento più familiare, una sorta di scambio di visita tra madri di prole santa. In mancanza di un’attestazione storica per sant’Elisabetta, però, non di vede la ragione di dover contraddire la descrizione vasariana e quindi sembra ragionevole preferire la versione che vede nella santa anziana una sant’Anna.
L’identificazione della giovane santa, ignota anche a Vasari, non sembra trovare alcun riscontro fra i possibili personaggi evangelici: anche la sua posizione, esterna alla scena vera e propria dell’incontro, di accompagnamento alla figura dell’anziana, spinge verso una interpretazione legata ad un aspetto devozionale e mistico, legato piuttosto alla committenza. La presenza di un possibile disegno legato all’impostazione preliminare dell’Impannata, per quanto riguarda il gruppo della Madonna con il Bambino e san Giovannino, ma rappresentante la scena del Matrimonio mistico di santa Caterina, ha condotto ad ipotizzare che anche la giovane presente alle spalle di sant’Anna fosse, appunto, la martire di Alessandria. Tuttavia, oltre a non presentare alcun attributo inequivocabilmente riconducibile alla martire Caterina, mancano anche elementi propri della scena del Matrimonio mistico. La santa non porge il dito per il gesto dell’inanellamento, come usuale, ma la sua mano sinistra indica il Bambino, così come lo indica, in maniera quasi speculare, il san Giovannino, entrambi gesti di agnizione e professione di fede.
Di contro l’unico elemento distintivo della giovane è il copricapo, costituito da una sorta di intreccio a calotta, poi raccolto sotto il mento. Il confronto con altre opere di Raffaello stesso, in cui alcune donne indossano soggoli e calotte a fermare il velo (per esempio nella Trasfigurazione o negli affreschi dell’Incendio di Borgo) è particolarmente indicativo della differenza della foggia e dei materiali raffigurati dall’artista. Non si tratta quindi di un elemento dell’abbigliamento dell’epoca o di una foggia stilizzata ispirata all’antico. Volendo leggerlo come possibile elemento distintivo della santa, quindi, siamo portati ad ipotizzare che sia una indicazione della possibilità di identificarla con santa Brigida di Svezia, la mistica svedese che trascorse lunghi anni a Roma, alla fine del XIV secolo, per poi morirvi nel 1373. Le sue visioni, come è noto, influenzarono moltissimo la religiosità del periodo e, grazie al linguaggio visivo con cui erano espresse, improntarono fortemente la stessa iconografia del periodo. A santa Brigida si deve anche la creazione di un ordine religioso che sarà detto del Santo Salvatore, ordine che in Roma trovò sede nell’edificio in cui visse la fondatrice, nelle vicinanze di Campo de’ Fiori, trasformato in convento e chiesa a lei dedicata. Fin dalla loro fondazione le Suore Brigidine si riconoscevano per il tipico copricapo, due bande che formavano sul capo una croce, i cui bracci sono uniti da una fascia circolare, poi legata sotto il mento. E il copricapo di santa Brigida fu, per secoli, una delle reliquie più venerate della cristianità.
Si può ulteriormente rinforzare l’ipotesi di identificazione fra la giovane santa della Madonna dell’Impannata e santa Brigida sia per la vicinanza tra Palazzo Altoviti, a Roma, e la chiesa dedicata alla santa; e per il fatto che nel 1513 la chiesa venne rinnovata e dotata, in una data, quindi, se non identica almeno estremamente prossima a quella della realizzazione dell’Impannata.
Il dipinto è realizzato con tecnica ad olio su un supporto in legno di pioppo (160 x 126 cm con uno spessore medio di 33 mm), costituito da tre tavole larghe 50, 42 e 34 cm. Le dimensioni sono maggiori di una tavola destinata a devozione privata e minori di una pala d’altare. Sul retro del dipinto sono presenti due traverse, con incastro a coda di rondine, larghe 9 cm e poste a 18,5 cm dalle estremità e quattro inserti lignei a farfalla lungo la commettitura delle prime due tavole.
I motivi che hanno portato ad intraprendere l’intervento di studio e restauro sulla Madonna dell’Impannata erano di due ordini: una grave alterazione cromatica della superficie, che si era notevolmente scurita a causa degli effetti di ingiallimento delle vernici sovrapposte non originali, e l’avvenuta disconnessione e conseguente frattura fra due delle tavole che compongono il supporto con conseguenti cadute di colore e sollevamenti già restaurati in passato. Il progetto analitico, preliminare al progetto di conservazione, ha preso in esame le precedenti analisi per poter sottoporre l’opera ad una nuova campagna di indagini

Tecnica esecutiva

Gli strati preparatori sono coerenti con la tecnica esecutiva di Raffaello e consistono in due stesure di gesso e colla animale, con presenza di terre, ocre e nero carbone su cui si rileva un addensamento di colla in superficie.
Al di sopra è presente un sottile strato di imprimitura a base di bianco di piombo caricato con scagliette di vetro e nero carbone su cui è presente un successivo strato di imprimitura, sempre con bianco di piombo e scagliette di vetro, intonata agli strati pittorici successivi La lettura della materia originale e dell’impostazione delle pieghe nella parte inferiore del manto della Madonna è risultata molto difficile a causa del suo deterioramento e delle ridipinture effettuate successivamente. Il manto della Vergine è stato indagato con molto dettaglio, in quanto oltre che dal trascolorare dell’intensità e della saturazione del colore è interessato da numerose ridipinture, nonché dal sovrapporsi di stesure originarie differenti. Le indagini XRF hanno mostrato infatti una estrema variabilità dei risultati in quanto alcune di queste ridipinture, che si presume siano le più antiche, mostrano una composizione coerente con quella delle stesure originali. L’uso di azzurrite ricorre in circa la metà dei punti indagati ed è verosimilmente associato a una prima stesura dell’azzurro, ultimato con una seconda a base di lapislazzuli. L’assenza di una prima stesura azzurra a base di rame nella parte inferiore in cui c’è una maggiore presenza di rosso, sembrerebbe indicare che inizialmente non fosse stato previsto il manto, bensì parte della veste della Vergine. Si può ipotizzare che contestualmente alla prima versione di san Giuseppe e san Giovannino il manto della Madonna prevedesse un panneggio disposto in modo da evidenziare la veste dipinta con lacca rossa, parzialmente ora evidente al disotto della manica di sant’Anna. Nell’ultima versione del dipinto, una piega a base di azzurrite a completare il manto, è dipinta su parte del corpo del san Giovannino precedente. Lo slittamento degli strati pittorici sovrapposti, unito a presumibili interventi di pulitura effettuati in passato per ricercare la presenza delle figure sottostanti, ha provocato la situazione attuale di difficile lettura anche a causa di estese mancanze pittoriche. I prelievi effettuati nelle zone relative al manto blu evidenziano due stratificazioni diverse nella parte alta del velo e nella parte centrale del manto. Nella zona superiore sono presenti stesure di sovrammissioni dovute ad antichi restauri, mentre nel manto è stato individuato il carnato della figura sottostante, ricoperto dall’azzurrite e dall’oltremare. Il manto nella figura sottostante di san Giuseppe è dipinto con pigmenti gialli a base di piombo e stagno, molto evidenti nella scansione XRF ad aree, che mostra come questa figura prima del cambiamento sia stata portata ad un alto livello di completezza pittorica. La tenda alle spalle del gruppo è stata realizzata con pigmenti a base di rame. Al fine di ottenerne la trasparenza sono applicate delle stesure di resinato di rame per ottenere la saturazione del verde della tenda. La pratica di applicare velature di colore trasparente sopra una stesura di base per ottenere un particolare effetto di luminosità è diffusa e citata nella trattatistica del periodo. Sotto la veste rosa della santa è presente una stesura verde, che si intravede laddove quelle del rosa sono più sottili; altrove la stesura verde è stata intenzionalmente sfruttata in corrispondenza delle giunzioni tra campiture di colore differente per accentuare lo stacco nella veste della santa giovane. Le stesure di rame, trovate già in XRF per punti, sono risultate molto evidenti nella scansione imaging XRF dell’intero dipinto. Le aureole sono realizzate con oro in conchiglia.

Vicende conservative

Dalle ricerche condotte da Serena Padovani sulla storia conservativa dell’opera si desume che la fessurazione della tavola fosse già presente nel Settecento, come pure alla partenza dell’opera per la Francia e nelle documentazioni reperite viene riferito lo stato di deterioramento della materia pittorica nelle ombre del manto della Madonna. Il dipinto fu preso in consegna, nel 1938, da Augusto Vermehren (GR728) e Pietro Sanpaolesi riferisce che la tavola “è molto ingiallita e nasconde le sue qualità pittoriche sotto uno strato di vernici opache”. Fu effettuata una radiografia, occasione offerta “dalla necessità di alcuni piccoli restauri di consolidamento che si dovevano fare al dipinto”. In occasione della mostra Raffaello a Firenze, nel 1984, fu eseguito un restauro dell’opera da Alfio del Serra (GR 9524). Nella relazione di restauro si descrive la presenza di una “patinatura giallo-ambrata” e di mancanze di colore relative al manto della Madonna, il cui stato di conservazione è precario, e si fa riferimento alla disgiunzione delle due assi.

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