Il polittico è giunto nei laboratori di restauro della Fortezza da Basso accompagnato dalle schede conservative e dalla relazione sugli interventi di manutenzione dei pannelli con San Rocco e Sant’Antonio Abate, eseguiti nel 2001 per la mostra Bergamo, l’altra Venezia. Le schede e gli interventi sono stati effettuati da Paola Borghese con la direzione di Emanuela Daffra della Soprintendenza P.S.A.E. di Milano
Il Polittico di San Giacomo Maggiore, eseguito intorno al 1520 è una delle poche opere di Palma il Vecchio attualmente presenti nella provincia bergamasca. Dimensioni totali cm 261 x 204 x 12 (17,5 con scatolatura)
L’opera è stata collocata fin dalla sua realizzazione sull’altare maggiore della chiesa di San Giacomo Maggiore (eretta nel 1378) a Peghera, piccolo centro montano della Valle di Taleggio. Il polittico è costituito da sei pannelli distribuiti su due ordini e da una lunetta inseriti in una cornice (non è più presente la cornice originale ma una risalente al secolo scorso): nel registro inferiore sono collocati i tre pannelli di dimensioni maggiori raffiguranti i santi Giacomo, posto al centro, stilisticamente derivato da un modello belliniano, Sebastiano, a sinistra e Rocco a destra; nel registro superiore ci sono i tre pannelli più piccoli con Cristo nel sepolcro tra Sant’Ambrogio e Sant’Antonio Abate mentre nella cimasa a forma centinata è raffigurato il Padre Eterno. L’iconografia risponde ad un momento ben preciso, ovvero alla fine di una grave ondata di pestilenza nell’area lombarda -non a caso San Rocco e San Sebastiano sono i Santi che proteggono da questo tipo di epidemie-. Sant’Ambrogio invece fu il flagellatore degli eretici ariani, mentre Sant’Antonio Abate viene invocato per la protezione degli animali e contro gli incendi. L’attribuzione al Palma del polittico di Peghera è stata individuata per mezzo delle ipotesi stilistiche poiché non ci sono pervenuti documenti di alcun tipo; questo, però, non ha costituito un ostacolo per giungere infine ad un giudizio unanime da parte della critica. È probabile che alla loro esecuzione abbiano collaborato anche aiuti, poiché questi dipinti sembrano solo in parte di mano del maestro.
Difficoltà maggiori e discordanze hanno invece riguardato la datazione, che infine è stata ricondotta intorno al secondo decennio del Cinquecento.
Storia conservativa
La cornice che racchiude le tavole risale ai primi del Novecento: quella originaria fu tolta probabilmente in occasione dei lavori di ristrutturazione della chiesa, durante i quali venne costruito un nuovo altare di marmi policromi al posto di quello ligneo, iniziale collocazione del polittico. Si può verosimilmente supporre che la sostituzione, oltre a motivi di gusto, possa essere ricondotta anche a gravi problemi di conservazione.
Le notizie relative al Polittico ci informano che è stato oggetto di almeno quattro restauri documentati: al 1886 e al 1906 risalgono i primi due, eseguiti da Cavenaghi; i successivi interventi furono effettuati nel 1920 da Mauro Pellicioli e nel 1958 da Alessandro Allegretti (dello studio Pellicioli). Notizie dettagliate in merito agli interventi di Cavenaghi non ce ne sono, ma esistono soltanto generiche informazioni: sappiamo peraltro che i restauri riguardarono l’intero dipinto, dal supporto al colore.
Il restauro del 1920 è avvenuto all’indomani della Grande Guerra su una serie di opere di Bergamo e provincia, ritornate nella sede di provenienza dopo essere state ricoverate a Roma per preservarle da possibili danni derivanti dal conflitto. L’ultimo intervento del 1958 è consistito in alcune fermature di colore e ritocchi.
È opportuno rilevare che il ripetersi degli interventi sul Polittico a così breve distanza l’uno dagli altri denuncia una situazione di condizioni conservative problematiche e non definitivamente risolte.
Il supporto di ciascun pannello è di legno di pioppo, costituito da due assi poste in verticale; l’unica opera costituita da una sola asse orientata in orizzontale è la lunetta con il Padre Eterno le cui traverse sono poste in obliquo, convergenti in alto e fermate con piccoli chiodi. Il sistema di controllo è costituito da traverse in abete: nei tre pannelli più grandi la struttura è tenuta da tre coppie di nottole fermate con coppie di chiodi di sezione regolare a “T” rovesciata. Delle altre due tavole il Sant’Ambrogio non ha più il sistema originario di controllo, sostituito in precedenti interventi, mentre i due pannelli rimanenti (Pietà e Sant’Antonio Abate) conservano le traverse originali di abete rastremate inserite in tracce a sezione trapezoidale per circa un terzo dello spessore.
Lungo la commettitura delle tavole, esclusa la lunetta, sono state inserite due farfalle di pioppo, poste in prossimità dei margini alto e basso. Stesso tipo di lavorazione: le assi sono state rettificate singolarmente ed accostate a spigoli vivi senza elementi interni di collegamento. Non c’è la presenza di tela fra legno e preparazione.
Il dipinto è eseguito con colori a olio e tutta la parte pittorica, compresi gli strati di preparazione, è costituita da stesure di esiguo spessore. Sono rilevabili i segni del pennello nella stesura dell’impasto oleoso, caratterizzata da vari sistemi di applicazione: appaiono infatti sia pennellate a corpo che fluide, diluite; campiture a velatura, oppure sovrapposizioni di campiture; è stata utilizzata anche la tecnica al risparmio, che sfrutta lo strato di preparazione come trasparenza; in alcune zone, soprattutto del pannello con il Padre Eterno si nota l’impronta della trama di un tessuto: qui è stata probabilmente impiegata la tecnica “a tampone” ottenuta immergendo un lembo di stoffa nel colore e picchiettandolo sulla superficie da colorare.
I materiali costituenti gli strati preparatori e pittorici sono quelli comunemente utilizzati all’epoca: le risposte ottenute dalle indagini scientifiche (Fluorescenza X, sezioni stratigrafiche) hanno indicato che Palma ha utilizzato i pigmenti tradizionalmente impiegati; la specificità che questo tipo di pittura ha mostrato risiede casomai nell’accostamento e nelle successioni di stesure allo scopo di ottenere particolari effetti cromatici. Anche la presenza di stesure colorate di sottofondo e/o di imprimiture, rilevate nei campioni stratigrafici, contribuiscono a dare effetti di brillantezza al colore. L’indagine in infrarossi b/n eseguita durante una fase avanzata della pulitura ha messo in evidenza la presenza di alcuni segni che possono essere ricondotti a un disegno preparatorio nel pannello con La Pietà, nella quale si notano sottili tracce di costruzione del braccio destro di Cristo e altri piccoli segni probabilmente utilizzati come riferimento per la corona di spine, eseguita invece in un’altra posizione. Altrove le differenze rilevabili rispetto alla stesura finale sembrano essere attribuibili, più che a un disegno vero e proprio, a stesure pittoriche sottostanti, cambiate in corso d’opera. Tali pentimenti riguardano soprattutto la posizione delle gambe del San Rocco che sono state oggetto di almeno due cambiamenti. Anche lo scollo, la spalla destra del San Giacomo e il libro risultano variate nelle loro dimensioni: alcune di queste trasformazioni si possono rilevare anche a luce visibile.
Sono presenti incisioni tracciate sulla superficie per delimitare le parti geometriche, come ad esempio il sepolcro di Cristo e il pastorale di sant’Ambrogio.
Nonostante che a prima vista la pittura risultasse più o meno integra e completa, una più attenta osservazione denunciava i successivi e pesanti interventi che erano stati eseguiti in passato, con lo scopo di rendere quanto più possibile omogenea la lettura dell’insieme.
Un altro evidente problema era segnalato dalla presenza di numerosi sollevamenti di differente entità che determinavano una situazione di precaria stabilità del colore.
La formazione di sollevamenti è da collegare, oltre che ai movimenti del legno (contrastati in modo negativo dalla eccessiva forza del sistema di controllo), anche a fattori interni ai materiali costitutivi e alle loro relazioni, nonché al processo di invecchiamento e agli interventi di restauro. In primo luogo la superficie dipinta presenta evidenti ripercussioni della venatura del legno del supporto che muovendosi ha talvolta determinato il verificarsi di distacchi.
Un’altra probabile causa della precaria adesione rilevata fra gli strati costituenti può essere derivata da una incompatibilità fra il sottile film di colla steso sulla preparazione e il medium oleoso che costituisce la stesura pittorica.
I restauri cui è stato sottoposto il Polittico si ritiene abbiano nel tempo aggravato i problemi di coesione-adesione della parte pittorica. Anche la presenza di stratificazioni di materiali superficiali aggiunti hanno provocato una trazione della pellicola pittorica, già delicata di per sé.
Su tutta la superficie dei dipinti – in maniera più o meno estesa – compaiono piccoli fori provocati dall’inserimento di aghi di siringhe – utilizzate per introdurre l’adesivo – che confermano precedenti interventi di fermatura del colore, risultato talvolta schiacciato e soprammesso nel tentativo di farlo riaderire allo strato sottostante.
Una serie di utili informazioni sono emerse dalla ripresa in falso colore che ha consentito di individuare sia la natura di alcuni pigmenti che tutta una serie di interventi pittorici evidenziati dalla diversa risposta nell’immagine: oltre alle zone corrispondenti a stuccature e ritocchi, compaiono numerose e diffuse velature e ripassature a corpo.
I pannelli più compromessi dal punto di vista conservativo sono risultati La Pietà e il San Giacomo nei quali la superficie pittorica presentava estesi e successivi interventi di stuccature e ritocchi; il primo dei due era anche quello con numerosi e molto evidenti sollevamenti, sia di colore che di preparazione e pellicola pittorica. Queste due tavole, posizionate nella zona centrale del polittico, una sull’altra, potrebbero essere state oggetto di un evento traumatico come ad esempio l’accidentale caduta di acqua piovana dal tetto della chiesa o un’infiltrazione d’acqua dal muro.
Il San Sebastiano presentava, oltre a quelli sulla commettitura, alcuni sollevamenti ad andamento verticale localizzati al centro della figura del santo, sul torso e sulla gamba destra, e su una zona del cielo a sinistra, da collegare a movimenti del supporto.
Alcuni piccoli distacchi e sollevamenti erano distribuiti sulla superficie del Sant’Antonio Abate che risultava in alcuni punti affossata in corrispondenza di gallerie di tarli. La situazione conservativa del supporto, infatti, è risultata piuttosto compromessa, poiché è stato riscontrato che questa tavola più delle altre ha subito un massiccio attacco di insetti xilofagi. In particolare l’angolo inferiore destro, ricostruito in un precedente intervento attraverso l’applicazione di numerosi chiodi, a fungere da armatura, e di gesso e colla, è risultato di una estrema inconsistenza in quanto percorso da gallerie di tarli che lo hanno reso spugnoso con conseguente precarietà del colore.
Il pannello con Sant’Ambrogio, l’unico dei sette ad avere subito un restauro del supporto con la sostituzione del sistema originale di traversatura, mostrava anch’esso una superficie irregolare con piccoli sollevamenti sparsi e altri più apprezzabili. Lungo la connettitura si rilevava una condizione di irregolarità della superficie dovuta a interventi di restauro, corrispondente a un inserto ligneo sul retro del pannello e a stuccature e ritocchi sul colore. Una pronunciata crettatura a reticolo, diversa da quella presente sul resto dell’opera, si osserva sulla stesura verde del piviale. In questa zona, che appariva particolarmente scura e piatta, la pellicola pittorica risultava fragile e vetrina con una tendenza alla separazione delle varie stesure di colore che costituiscono lo strato del verde; analoga situazione si rilevava sul verde della veste di San Giacomo.
Il San Rocco appariva in migliori condizioni conservative rispetto agli altri pannelli, malgrado presentasse comunque gli stessi fenomeni di pronunciata ripercussione delle fibre del legno sulla pellicola pittorica, e la presenza dello spesso strato di materiali alterati soprammessi non consentisse di valutare integralmente l’entità degli interventi effettuati in precedenti restauri. La documentazione fotografica in UV, peraltro, denunciava l’esistenza di numerosi ritocchi sopra la vernice più recente.
Durante i primi saggi di pulitura si evidenziavano il fenomeno del distacco della sottile pellicola di colore dalla preparazione e l’estrema fragilità del film pittorico: tale condizione si rilevava soprattutto su alcune zone del cielo che, benché apparentemente saldo, era già separato dalla preparazione. La presenza di tanti ritocchi ha fatto presumere che tale problema si fosse manifestato già da tempi remoti.
Anche gli altri pannelli erano interessati da questo fenomeno localizzato prevalentemente sul cielo, nelle zone dove il colore risultava di maggiore consistenza materica: purtroppo molte altre parti mostravano consunzioni, talvolta rivelavano lo strato di preparazione, denunciando così interventi di pulitura portati oltre il consentito e resi probabilmente meno controllabili dalla delicatezza e fragilità del colore.
Mentre si procedeva con le prime prove di pulitura si cercava di assottigliare o eliminare dai sollevamenti la stratificazione dei materiali estranei che avrebbero impedito la penetrazione del collante da utilizzare nella fermatura.
I sollevamenti sono stati trattati in modo differente in base alla loro tipologia: nel caso che il fenomeno interessasse tutto lo strato pittorico, dalla preparazione al colore, l’operazione di fermatura è stata eseguita con colletta animale; se invece il problema era da ricondurre al solo film pittorico, l’adesivo utilizzato è stato una resina sintetica, Plexisol P550.
Gradualmente sono state assottigliate le vernici e asportati i ritocchi più superficiali, applicati per restituire una lettura continua e quanto più possibile uniforme a quei pannelli in peggiori condizioni, caratterizzati da ampie zone svelate e/o abrase; questa operazione ha a sua volta fatto emergere altri interventi sottostanti e più consistenti: ritocchi e stuccature, talvolta intonate o colorate da ricondurre a interventi fatti in momenti diversi. Tutta la pulitura è stata condotta utilizzando miscele di solventi supportati in emulsione cerosa; in alcune parti è stato utilizzato un solvent surfactant gel per evitare sbiancamenti superficiali. Data l’estrema delicatezza della pellicola pittorica, l’intervento è stato eseguito sotto il controllo del microscopio.
Prima dell’intervento sulla parte lignea, tenendo conto del degrado derivato dall’attacco degli insetti xilofagi, è stato ritenuto opportuno eseguire un consolidamento localizzato, soprattutto per cercare di contenere il fenomeno del possibile crollo della parte pittorica nelle gallerie prodottesi con l’erosione dei tarli. La fase di lavoro successiva è consistita nel riempimento delle cavità delle gallerie utilizzando Balsite.
La Pietà, una volta ultimato l’intervento sul supporto, ha richiesto alcune ulteriori fermature a colla soprattutto in alcune zone vicine alle vecchie stuccature.
La nuova stuccatura è stata eseguita con gesso e colla di coniglio nelle parti più profonde, mentre dove lo spessore era sottile e lo stucco non avrebbe aderito allo strato preparatorio, è stata utilizzata tempera bianca cui è stato aggiunto l’uovo per aumentarne la consistenza. Particolare cura ha richiesto il collegamento della superficie: anche in questa operazione sono stati impiegati sia il gesso con la colla che la tempera.
Successivamente è stato eseguito il ritocco con acquerello con il metodo della selezione cromatica; una volta verniciati i pannelli utilizzando una leggera stesura di vernice mastice, sono state ultimate le integrazioni pittoriche con i colori a vernice.
Una diversa procedura di preparazione al ritocco è stata messa in atto sul San Giacomo che presentava vaste zone da integrare, prevalentemente sul manto rosso; qui infatti per abbreviare i tempi di lavoro è stato preferito stendere una base colorata sottotono a tempera sulle stuccature, comprese alcune di quelle preesistenti ancora utilizzabili, sulla quale intervenire con i colori a vernice attraverso la tecnica della selezione cromatica.
Poiché alcuni dei pannelli presentavano zone particolarmente abrase o con presenza di macchie (evidenziate per trasparenza) che disturbavano la fruizione del singolo dipinto, ma soprattutto l’accordo dell’intero polittico, è stato ritenuto opportuno intervenire con velature a vernice, sempre utilizzando il tratteggio per renderle riconoscibili.
I supporti sono stati preventivamente consolidati nelle parti deboli allo scopo di raggiungere una idonea consistenza della materia e quindi un buon risanamento dei tavolati. Essi sono stati liberati dalle traverse e dalle farfalle e sostenuti da elementi di raccordo provvisori, sagomati sulla forma assunta nel tempo da ciascun pannello. Le linee di commettitura sono state rettificate. Con questa operazione è stato possibile rendere quasi completamente indipendenti le tavole di ogni singolo dipinto in modo da consentirne una leggera rotazione e al fine di fargli assumere una leggera curvatura continua. Le commettiture sono state quindi risanate con piccoli inserti di pioppo vecchio a sezione triangolare con angolatura molto stretta; durante l’operazione di risanamento è stato ripristinato il corretto allineamento dei margini del colore nei punti che si erano spostati nel corso del tempo. Questo tipo di intervento è stato effettuato su quasi tutte le tavole poiché il tipo di degrado era simile ed ha consentito una procedura piuttosto omogenea.
Dopo le operazioni di risanamento i tavolati sono stati rinforzati sul retro da sistemi di traversatura, cercando di mantenere lo stesso criterio operativo originario, mettendolo a punto in maniera diversificata pannello per pannello. Nella lunetta del Padre Eterno le traverse erano fermate con piccoli chiodi. Quella di sinistra era andata perduta e quella di destra era malferma e con gli ancoraggi metallici estremamente erosi dall’ossidazione. Si è quindi proceduto alla rimozione dell’elemento residuo e a fornire la piccola lunetta di due nuove traverse in castagno. Queste ultime sono state coperte da due assi in abete vecchio: quella di destra ricavata dalla traversa originale, mentre l’altra da legno di recupero. Nel Sant’Ambrogio erano ancora presenti le sedi delle traverse originali che pertanto sono state utilizzate per ancorare il nuovo sistema di controllo. Questo è formato semplicemente da due traverse curve in castagno a sezione trapezoidale e rastremate che entrano precisamente nella sede ed esercitano il controllo delle deformazioni. Nella Pietà e nel Sant’Antonio Abate le traverse originali a coda di rondine erano ancora presenti ed è stato deciso di conservarle e renderle nuovamente funzionali.
L’operazione di resa funzionale delle traverse del San Giacomo, del San Rocco e del San Sebastiano, è subito apparsa impraticabile e quindi sono state realizzate nuove traverse in castagno ancorate con un meccanismo identico a quello presente nella lunetta del Padre Eterno. Tutti i dipinti sono stati sottoposti alla disinfestazione in anossia e trattati con Permetar antitarlo steso a pennello.
Sulla cornice in abete sono statti eseguiti il consolidamento strutturale, piccoli interventi di fermatura sulla parte dipinta e dorata e alcune ricostruzioni di parti mancanti. Le integrazioni pittoriche sono state eseguite ad acquerello, mentre le lacune di doratura sono state reintegrate con foglia d’oro applicata a guazzo. Sul retro del polittico è stata applicata una pannellatura di compensato che chiude lo spazio a ridosso delle opere e fornisce una valida protezione aumentando l’inerzia dei materiali rispetto alle variazioni termoigrometriche.
Il dipinto è stato riconsegnato il 31 luglio 2009 alla chiesa di San Giacomo a Peghera e ricollocato nella posizione occupata in precedenza, in alto dietro l’altare maggiore al centro dell’abside.
Sezione successiva