La Madonna con Bambino di Nanni di Bartolo, proveniente dal Cenacolo d’Ognissanti di Firenze, è una scultura in terracotta policroma, datata 1420-1423 circa, già oggetto di un intervento di restauro eseguito alla fine degli anni ’60 ad opera del restauratore Pellegrino Banella. L’occasione del restauro, cofinanziato dalla Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Fiorentino, dall’ Opificio delle Pietre Dure e dalla Fondazione Palazzo Strozzi, è stata offerta dall’organizzazione della mostra La Primavera del Rinascimento. La Scultura e le arti a Firenze 1400-1460 (Palazzo Strozzi 23 marzo – 18 agosto 2013, Musée du Louvre 23 settembre 2013 – 6 gennaio 2014), a cura di Beatrice Paolozzi Strozzi e Marc Bormand.
Al suo arrivo in laboratorio la scultura presentava problematiche a prima vista simili a quelle già affrontate in diverse occasioni, come le integrazioni in stucco e l’incamiciatura interna in gesso e stoppa, una prassi piuttosto comune in passato per consolidare la terracotta.
La scultura, modellata in argilla, è svuotata dal retro e successivamente cotta in forno in un pezzo unico. Sicuramente il ritiro in fase di asciugatura dell’argilla non è avvenuto in maniera uniforme, in ragione delle grandi differenze di spessore del modellato (variabile da 2 a 18 cm), portando alla formazione di numerosi cretti ancor prima della cottura. Il fatto inoltre di essere foggiata in un unico pezzo ha causato difetti anche durante la permanenza nel forno, dove la parte inferiore dell’opera ha raggiunto temperature inferiori a quelle necessarie al completo consolidamento della materia.
Oggetto di grande devozione popolare, nel corso dei secoli ha subito manomissioni, puliture e ridipinture, interventi di consolidamento e di ricostruzione delle parti mancanti. La base della scultura era infatti inglobata nel gesso in un contenitore dal fondo di legno con una sponda perimetrale in lamiera e manici in ferro, la cui produzione è riferibile alla fine del sec. XIX.
Con il progredire del restauro quindi, ci si è resi conto che la vera problematica di quest’opera non era tanto il fatto di presentare una materia fragile da consolidare, ma di non avere un suo appoggio, perché l’intera base era ricostruita in gesso, a meno del piede destro della Vergine.
Il problema aveva un duplice aspetto, strutturale ed estetico, in quanto non sarebbe stato accettabile realizzare esclusivamente un appoggio senza proporre una ricostruzione delle lacune del modellato, la cui assenza sarebbe stata fortemente deturpante nella lettura dell’opera.
Il materiale con il quale avremmo realizzato la nuova base della scultura doveva avere quindi una resistenza a compressione superiore a quella offerta dai comuni stucchi, ma anche offrire una buona reversibilità e facile lavorabilità per permettere una modellazione diretta delle ricostruzioni. Dovevamo pertanto escludere gli stucchi tradizionali lavorabili a spatola, perché avrebbero richiesto la realizzazione di un’armatura interna o il colaggio in una forma con lunghi tempi di lavorazione, e rivolgerci al panorama più limitato degli stucchi per modellazione in pasta.
Sono stati effettuati tre prelievi dall’azzurro del manto per studiarne la sequenza stratigrafica e la composizione dei singoli strati mediante microscopia ottica e elettronica e spettroscopia infrarossa in trasformata di Fourier (FTIR).
Al di sopra della tradizionale preparazione a gesso e colla si trova uno strato traslucido brunastro in cui sono presenti particelle angolose composte da silicio, potassio, cobalto, con altri elementi in minima quantità. La composizione e la morfologia di queste particelle permettono di identificarle come blu di smalto o smaltino, un pigmento di cui è ben nota la tendenza a scolorire.
Al di sopra dello strato contenente smaltino è presente una stesura azzurra realizzata con azzurrite che è sovrastata da uno strato più spesso a base di oltremare.
Indagini non invasive con XRF portatile hanno permesso di individuare la presenza di stesure antiche a smaltino e azzurrite, accertate con pochi campionamenti mirati, in più zone del manto. Su una decina di punti di misura sul manto, solo tre non hanno riportato la presenza di cobalto, anche se il rame è risultato sempre presente. Lo studio dell’azzurro lascia pertanto delle questioni aperte: intanto l’uso dello smaltino appare piuttosto inconsueto nel XV secolo in quanto, a parte rare eccezioni, questo pigmento è documentato in dipinti dalla metà del XVI secolo in poi. Il secondo punto di domanda riguarda la datazione della sovrastante stesura di azzurrite: è stata applicata contemporaneamente allo smaltino che fungeva da base colorata oppure in un secondo momento, allorquando il colore dello smalto aveva iniziato a perdere intensità? Questa seconda ipotesi sembra essere suggerita da alcuni risultati XRF che mostrano come in alcuni punti del manto sia presente il rame ma non il cobalto.
Originariamente era estesa la presenza di foglie metalliche che, almeno per quanto riguarda quelle studiate con il campionamento, appaiono applicate sopra la spessa (intorno ai 200 µm) preparazione a gesso mediante bolo finemente macinato. Per esempio, la veste era probabilmente realizzata con lacca rossa stesa sopra una sottile foglia d’argento. Nella Galleria è mostrata l’immagine al microscopio elettronico in BSE della sezione di un frammento della veste e lo spettro EDS dell’argento. La foglia, che nell’immagine in BSE appare chiara, è, nel frammento in esame, molto frammentata e in parte solfurata e solo in parte sovrastata dalla lacca. Le estese lacune di quest’ultima sono state il motivo per cui la veste è stata ridipinta con stesure rosse contenenti, rispettivamente, minio e vermiglione.
Stesure di lacca su foglie d’argento sono una caratteristica ricorrente nella veste rossa di statue di terracotta policroma raffiguranti la Vergine, si veda ad esempio la Madonna di Fiesole. La foglia d’argento è anche presente nel soppanno del manto con al di sopra uno strato verde-brunastro, contenente particelle disperse in cui l’analisi EDS segnala in prevalenza rame. Sia la foglia metallica che lo strato verde contengono cloro. Per la realizzazione di questa cromia si potrebbe pertanto pensare ad uno strato con un pigmento a base di rame (probabilmente verderame o resinato di rame, dato il loro basso potere coprente) molto diluito nel legante organico che lascia intravedere la lucentezza metallica dell’argento sottostante. La forte presenza di cloro rende conto della perdita di questo effetto cromatico per alterazione dell’argento e del composto di rame ed è forse da attribuirsi ad operazioni incaute di pulitura.
La prima operazione è stata la rimozione meccanica della fascia metallica con manici alla base dell’opera e del fondo in legno, cui ha fatto seguito la rimozione delle ricostruzioni materiche e dell’incamiciatura interna in gesso e stoppa.
I consolidamenti del fondo e dell’interno della terracotta sono stati eseguiti mediante stesura a pennello di un prodotto a base di fluoroelastomeri e polimeri acrilici e mediante iniezioni in frattura di una resina sintetica caricata con cocciopesto.
Tra le varie soluzioni possibili, la scelta del materiale da ricostruzione è caduta su un una pasta epossidica bicomponente con una adeguata resistenza a compressione, la cui consistenza la rende lavorabile per modellazione diretta. La reversibilità di questo materiale avviene per via meccanica essendo un materiale tenero al bisturi, pertanto si è scelto di limitarne l’adesione massiva e diretta alla superficie originale dell’opera, seppur interna e priva di modellato, alla sola porzione strettamente necessaria a garantirne la stabilità.
Il ripristino della stabilità dell’opera è stato realizzato mediante l’inserimento di una piastra di base in acciaio inox in modo da aumentare la superficie di appoggio della scultura. La piastra è avvitata al fondo dell’opera nello spessore della ricostruzione in pasta epossidica, senza interessare la terracotta. Su di essa appoggiano gli altri elementi che costituiscono il basamento realizzati con la stessa pasta epossidica, collegati alla piastra e alla scultura tramite calamite.
Per la pulitura dello strato pittorico sono state adottate soluzioni differenziate a seconda del colore. Gli incarnati presentavano un imbrunimento legato all’alterazione del protettivo, che è stato rimosso con una miscela di alcool acetone e ligroina diluiti in parti uguali, aiutandosi in taluni casi con una pappina di cera in cui era dispersa una miscela contenente 70% essenza di petrolio, 30% alcool benzilico e 3 gr di TEA. In maniera analoga sono stati rimossi i protettivi e i resti di ridipinture dal velo e dalla veste della Madonna. Per rimuovere la stesura di colore marrone presente sui capelli sia del Bambino che della Vergine è stata impiegata una soluzione nota come AB57, in cui sono presenti bicarbonato d’ammonio, EDTA bisodico e Desogen. Per quanto riguarda il mantello, con ripetuti passaggi di White Spirit è stato possibile abbassare lo strato di protettivo nella quale era disperso il pigmento della ridipintura blu virata al verde che interessava la parte bassa della scultura. Sulla porzione superiore del manto è stato impiegato un solvent gel per rimuovere la vernice alterata e tracce di ridipinture. Il verso del mantello è stato pulito a bisturi sotto microscopio, scoprendo una foglia d’argento non ossidata e piccole tracce verdi del colore originale sovrammesso.
Le ricostruzioni del modellato aderenti alla terracotta sono state realizzate mediante stucco da interni in polvere caricato con resina acrilica, e il ritocco pittorico mediante colori acrilici e colori acquerello, protetti con vernice a base di resina alifatica.
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