Il Manto in penne policrome annodate su una base in fibra di cotone intrecciate a rete, presentava un ingrigimento generalizzato dovuto allo sporco pulviscolare e grasso adeso sull’intera superficie. L’intervento sperimentale ha seguito una procedura scientifica che ha visto il coinvolgimento dell’IFAC-CNR per mettere a punto una pulitura innovativa con l’uso del laser, una volta vagliata l’inopportunità di utilizzare l’acqua nelle sue varie forme.
Il mantello cerimoniale, che misura 161 cm d’altezza e 133 cm d’ampiezza, ha forma trapezoidale, culminando quasi in una punta costituita dal cappuccio da cui si avvia l’intera lavorazione.
La struttura del mantello, visibile sul verso, è una rete in filato di cotone dalla tonalità ecrù-nocciola, priva di qualsiasi traccia di tintura.
Il filato (due capi, torsione Z) si annoda in rombi (circa 3,5 x 2 cm l’uno), alla punta inferiore di ognuno dei quali è stato ancorato il calamo piegato di una penna. Ogni calamo è a sua volta fissato attraverso l’annodatura, per l’intera ampiezza del manto, di un filo passante (due capi, torsione Z), che è lo stesso robusto filato usato per eseguire la rete.
Si è calcolato che per adornare interamente il manto dovevano essere state impiegate almeno 5.300 penne di vari tipi di uccelli di tutte le età e provenienti da tutte le parti dei loro corpi.
Il recto dell’opera è pressoché interamente coperto da quelle di Ibis rosso (Eudocimus ruber): remiganti primarie e secondarie (nei toni del rosa-rosso virando verso le nuances del grigio, 7-10 cm x 2,5-3,5 cm) costituiscono il fondo dell’intero manto, e le timoniere (rosse e nere, circa 9 cm x 1,5-2 cm) lo decorano con piccole macchie distribuite in modo quasi speculare.
La zona centrale è ornata di penne di colore giallo-verde (7-9 cm x 1,5-2 cm l’una) e blu-azzurro (7-9 cm x 2-2,5 cm l’una) per le quali non è facile l’individuazione della specie appartenente: probabilmente si tratta di Ara Macao e Ara ararauna disposte a creare una forma geometrica astratta. Nella parte inferiore la rete è rifinita da un cordone (quattro capi, torsione Z) a cui sono legati cordini con gruppi di tre, oppure quattro penne di colore giallo senape viranti verso il grigio, forse le timoniere di Ara Amazona (13-14 cm x 1,5 cm l’una), ognuna appesa e avvolta nel calamo. Ad un’analisi più attenta le penne sono state quasi tutte tagliate riducendone la forma.
Il manto versava in un complessivo stato conservativo mediocre relativamente alla quantità di penne superstiti ed in base allo stato conservativo delle fibre della struttura.
Indagando la natura della fibra, grazie all’indagine al SEM, si sono rilevate all’interno di un campione residui di ife fungine, segno di un pregresso attacco. Infatti la fibra componente l’intera rete era alterata, molto fragile, dalla colorazione scura e dallo stato di depolimerizzazione avanzato, ormai priva della tenacità propria del cotone.
La rete presentava una rottura in prossimità del nodo sul cappuccio, dove si trovava un vecchio rammendo eseguito con filato marrone più sottile del filato originario (fibra che dall’analisi è emerso trattarsi di Anasas comosus).
Lungo i due lati del manto è stato rilevato che il perimetro della rete è stato rotto, per cui ci sono alcuni filati sciolti attaccati alla rete per un’estremità.
A livello conservativo sia le barbe che i rachidi, ricchi di cheratina, sono stati attaccati da vari tipi di microorganismi confermando il dato dalle indagini che hanno rilevato la presenza di celle pupali di Anthrenus museorum.
Alcuni dei danni sono: numerosi piccoli fori sulla superficie delle penne; la perdita totale di buona parte delle barbe lasciando in vista il rachide; l’assottigliamento del rachide con il conseguente formarsi di profonde scanalature.
Un ulteriore attacco biologico, probabilmente causato da tarme, ha concorso alla formazione di lacune con una perdita consistente di barbe e barbule; le penne maggiormente deteriorate sono dislocate soprattutto nella zona inferiore destra del manto.
La parte bassa del mantello, soggetta a calpestio quando era indossato, è notevolmente degradata: lacunosa e sfrangiata per la perdita sia della rete che delle penne che vi erano agganciate. Tale degrado si amplia, nella parte mediana centrale del manto, in una lacuna estesa per circa 40 cm in altezza raggiungendo i 10 cm in estensione.
Tangente il degrado si trova un grande rammendo che ha inspessito la superficie di 1 cm, senza impedire al disegno, sul recto, di restare pressoché inalterato.
Infine si sono raccolte, sparse su tutto il mantello, una cinquantina di penne libere, alcune delle quali in condizione molto degradata che sono state utilizzate per eseguire alcuni test di pulitura.
Le penne, per loro natura iridescenti e idrofobe, oltre ad avere una consistenza oramai molto secca, presentano una moltitudine di tonalità dovute con buone probabilità alle mutazioni derivanti dal foto-degrado, dalla polvere e da agenti inquinanti.
I vari degradi sono stati causati principalmente da una prolungata esposizione agli agenti inquinanti e alla polvere, se pur all’interno dell’ambiente museale, causando un’opacizzazione diffusa. Inoltre l’esposizione alla luce provoca l’attacco biologico, che il manto ha fortemente subito in varie forme.
Ci sono penne incollate con adesivo di natura non organica tra quelle multicolore del decoro centrale.
Gli interventi precedenti a cucito si trovano uno sulla sommità del cappuccio in cui è stato realizzato un rammendo in epoca imprecisata, ed un altro laddove è stata richiusa una delle due aperture per braccia eseguite successivamente rispetto all’epoca di fabbricazione del manto, creando uno spessore con la sovrapposizione e cucitura di parte delle rete circostante la zona.
Sono state eseguiti prelievi per l’individuazione delle fibre, analizzate al microscopio stereoscopico e ottico, eseguendo sezioni sottili e per mezzo di indagine al SEM, rilevando: filato in cotone per l’intera rete realizzata a filet in vari capi (sia a 2 capi, che a 4 o 6 capi), e filato di Ananas comosus con cui è stato eseguito il rammendo del cappuccio.
Le penne sono state analizzate al MO e tramite indagine morfologica al SEM, eseguendovi inoltre dei test con solventi ai fini della pulitura (acqua, acqua e alcol) verificati al microscopio stereoscopico.
È stato analizzato lo sporco particellare con indagine FT-IR, raccolto in seguito a prove di microaspirazione, e la terra proveniente dalle penne della parte inferiore del manto (zona di calpestio) per conoscere la natura degli elementi. Mediante microanalisi al SEM si sono evidenziati sali di potassio, magnesio sodio, gesso calcio, e silicati, elementi che si riscontrano comunemente nella composizione dello “sporco”.
È stata eseguita la documentazione grafica e fotografica – immagini multispettrali – per evidenziare eventuali caratteristiche dell’opera non percepibili ad occhio nudo. Sono state effettuate delle riprese VIS fronte e retro, prima e dopo l’intervento conservativo; UV fronte, prima e dopo l’intervento; transilluminazione fronte, prima dell’intervento; transilluminazione + VIS fronte, prima dell’intervento. Sono state eseguite indagini per la caratterizzazione dei filati attraverso l’utilizzo del microscopio (MO), e indagini per la determinazione dello sporco (FT-IR).
È stata condotta una pulitura per microaspirazione della struttura in fibra cellulosica sul verso dell’opera. Raccogliendo le polveri e i resti di terra si è evidenziata la normale composizione dello sporco particellare.
Per quanto il filato non abbia dato apprezzabili mutamenti tonali in seguito all’aspirazione, si è rimosso molto sporco evidente nelle beute di raccolta. È stato ipotizzato l’uso del laser come eventuale pulitura supplementare, data l’innovativa applicazione testata con ottimi risultati sia nella plumaria che su fibre vegetali.
È stata considerata una sperimentazione di pulitura laser sulle penne: i risultati sono stati a tal punto soddisfacenti da consentire di pianificare l’intera pulitura del manto con il laser a infrarosso a lunghezza d’onda 1064 nm. Le immagini al microscopio ottico non mostravano alcuna variazione colorimetrica o spostamento delle barbe – che in tutti gli altri tipi di pulitura tendevano a muoversi o addirittura a spezzarsi – bensì era evidente la scomparsa esclusiva dei granelli attorno alle barbe.
L’opera è stata posizionata su una tavola a bassa pressione per avere un’aspirazione diffusa e costante durante l’irraggiamento. Ogni fila di penne è stata separata dall’altra da strisce di carta non acida per evitare che il passaggio del raggio consentisse la dissoluzione dello sporco sulle penne sottostanti. Vicino al manto è stato posizionato un aspiratore che rimuovesse i fumi prodotti dall’azione della disgregazione del particellato.
Alla luce dell’azione del laser sulle penne è stato deciso di agire sulla rete in fibra vegetale del cappuccio, il cui colore risultava, in seguito alla pulitura delle penne variopinte, ancor più stridente; la tonalità bruna si è notevolmente abbassata, perdendo buona parte della polvere intrisa nelle fibre.
Per quanto riguarda le penne spezzate in due parti, sono state fissate lungo il rachide con l’adesivo EVA grazie all’azione del calore utilizzando un microsaldatore.
Per non archiviare le preziose penne trovate in abbondanza staccate sulla superficie, sono state fissate ad ago con filato di poliestere su un panno di poliestere blu su una sagoma a forma della lacuna maggiore presente al centro del manto, collocata in sede a conclusione del lavoro.
A livello di consolidamento si è evitato l’uso dell’ago e di filati a causa della depolimerizzazione avanzata della rete; il manto con le sue rotture sono state lasciate come sono state trovate, affidando al supporto espositivo l’incombenza di sostenere ed evitare lo spostamento/scivolamento dell’opera grazie alla fibra scelta, un panno di poliestere che ha l’aspetto del panno di lana.
Il supporto espositivo ha richiesto una lunga fase di progettazione per trovarne uno di forma idonea rispondente a molteplici esigenze: ideato dalla forma leggermente convessa ad evocare sia un oggetto indossato che a richiamare il disegno inventariale originale appartenente a Settala, è stato rivestito in panno di poliestere, materiale scelto per escludere la possibilità di attacchi biologici. In tal modo il manto vi è stato posizionato sopra senza la necessità di alcun punto di fermatura dato che le fibre del panno trattengono la rete.
Infine nella zona lacunosa centrale è stato adagiato il supporto con le penne cucite, in modo che la lacuna maggiore sia esteticamente colmata ma l’intervento risulti rimovibile, in caso non lo si ritenga più adeguato, in quanto non fissato ad ago al supporto espositivo sottostante.
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