L’impostazione del progetto è stata concordata con la Soprintendenza per i BSAE per le province di Verona, Vicenza e Rovigo, con la Direzione Musei d’Arte e Monumenti del Comune di Verona – Museo di Castelvecchio, con l’Abbazia di San Zeno di Verona, don Rino A. Breoni, arch. Flavio Pachera, con Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici, don Tiziano Brusco.
Ricerche storiche e co-direzione dei lavori: Paola Marini, Francesca Rossi
Il progetto di conservazione e restauro è stato compiuto dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze diretto inizialmente da Cristina Acidini, poi da Bruno Santi e quindi da Isabella Lapi Ballerini, dai seguenti Settori:
La Pala, costituita da tre pannelli raffiguranti rispettivamente la Madonna con Bambino in trono fra angeli musicanti e cantori, i Santi Pietro, Paolo, Giovanni Evangelista e Zeno e i Santi Benedetto, Lorenzo, Gregorio e Giovanni Battista, oltre alla predella composta da la Preghiera nell’orto, la Crocifissione e la Resurrezione, fu eseguita tra il 1457 e il 1459, come testimoniano una serie di documenti, su commissione dell’abate di San Zeno Gregorio Correr. Con le requisizioni napoleoniche del 1797 il trittico fu trasportato a Parigi, mentre la cornice rimase in San Zeno, per poi fare ritorno a Verona, senza la predella, nel 1817. Attualmente lo scomparto centrale della predella, la Crocifissione, è conservato al Musée du Louvre, mentre la Preghiera nell’orto e la Resurrezione si trovano al Muséè du Beaux-Arts di Tours, mentre le predelle che corredano il trittico in San Zeno sono copie su tela realizzate alla fine del Settecento.
Le tre grandi tavole che formano la scena principale sono costituite da assi in legno di pioppo, tra loro assemblate grazie ad una serie di cavicchi e di farfalle. Ultimata la costruzione, sui supporti è stata applicata una stesura di colla di coniglio, come “invito” alla tela di incamottatura presente solo sulla tavola di sinistra e ai filamenti di stoppa di canapa che invece ricoprono parte della superficie delle altre due tavole. Anche la composizione dello strato preparatorio, molto spesso e “tirato a stecca”, è diversificata sulle tre tavole: gesso e polvere di marmo in colla animale leggermente pigmentata per la tavola sinistra, gesso miscelato con gesso alabastrino in colla animale leggermente pigmentata per gli altri due pannelli. Il disegno preparatorio è realizzato in nero di carbone, visibile in trasparenza dove lo strato pittorico è più sottile, ma sono presenti anche incisioni a punta metallica; sulla tavola di sinistra si trovano ulteriori linee di colore rosso bruno a definire l’impianto architettonico, mentre nella tavola di destra vi è un maggior uso di velature ed acquarellature.
La composizione pittorica è realizzata su di un fondo cromatico chiaro e luminoso, realizzato a bianco di piombo intonato di volta in volta in base alla successiva stesura pittorica, applicato a campitura piatta o semplificando i volumi, a definire un primo abbozzo pittorico.
Diversa è la resa cromatica delle singole tavole: l’effetto di smalto traslucido proprio della tavola di destra è assente in quella di sinistra, mentre il pannello centrale copre un ruolo di mediazione con le altre due. Le indagini diagnostiche non invasive e i prelievi stratigrafici hanno permesso di identificare i vari pigmenti presenti e definire la tavolozza utilizzata dall’artista. Il legante è stato identificato, attraverso le indagini gascromatografiche, come tuorlo d’uovo.
La grande struttura lignea tridimensionale, intagliata, dorata e decorata si impone per le grandi dimensioni (4.50 x 4.50 x 0.30 circa) e per la sua bellezza formale. Realizzata su disegno dello stesso artista, è stata concepita per contenere, come all’interno di un tempio, le tavole dipinte. È composta da otto elementi: predella, quattro colonne, architrave e due volute.
Lo stato di conservazione del polittico al momento dell’arrivo in laboratorio è imprescindibile dai numerosi interventi subiti nel corso del suo tempo-vita, tra i quali il restauro eseguito da Mauro Pellicioli nel 1933-34. Il restauratore intervenne rimuovendo le traverse originali e i relativi chiodi, nonché raddrizzando il tavolato mediante profonde incisioni, assottigliandone lo spessore e dotandolo di una parchettatura rigida.
Nonostante la presenza di tale assetto a livello del supporto, gli strati preparatori hanno retto con tenacia, a dimostrazione della loro qualità esecutiva, e risultavano ben conservati. Prova di tale resistenza è anche l’esiguità della perdita complessiva di materia pittorica. Abrasioni del colore, più o meno profonde, si leggevano su tutte e tre le tavole e interessavano soprattutto la parte superiore del dipinto. Le mancanze effettive di pellicola pittorica erano molto limitate, ad eccezione dell’estesa mancanza presente nell’angolo inferiore sinistro della tavola centrale, segnalata anche nelle relazioni di restauro più antiche come danno dovuto alla risalita di umidità. Ampie ridipinture si trovavano in corrispondenza delle campiture blu, interessate da interventi di pulitura aggressivi che avevano alterato la materia pittorica. Lo spesso strato filmogeno ormai ingiallito, differentemente distribuito sulla superficie, era il risultato del susseguirsi nel tempo di varie stesure, ma anche dell’accumulo di materiali di deposito tralasciati dalle puliture pregresse.
La cornice versava in un precario stato di conservazione a causa di spostamenti, trasformazioni, incuria e trascuratezza che avevano deturpato l’intera opera, mettendone a rischio anche la futura conservazione. Erano presenti parti erose da attacco xilofago con numerosi fori di uscita, fenditure e una diffusa frammentazione degli intagli con la perdita di interi particolari o di parte di essi. Un’ulteriore problematica era costituita dalla presenza di interventi storicizzati e talvolta esteticamente inaccettabili, come la cornice superiore della predella, probabile frutto di un rifacimento ottocentesco eseguito in maniera grossolana e senza alcuna accuratezza. La superficie a foglia oro presentava numerose abrasioni, zone di caduta con conseguente perdita di parti di doratura con molti ritocchi incongruenti.
L’intervento di restauro ha preso avvio con la disinfestazione effettuata attraverso trattamento anossico con immissione di azoto per intervenire sull’attacco attivo di insetti xilofagi presente sulle tavole e sulla cornice. Il risanamento dei supporti lignei, pesantemente alterati dal vecchio restauro, è iniziato con una graduale rimozione della parchettatura, consolidando al tempo stesso il tavolato con l’inserimento di microcunei per restituire la stabilità che l’assottigliamento operato da Pellicioli aveva tolto. La rigida traversatura è stata poi sostituita da un sistema di controllo con molle a balestra, molto più elastico. L’intero dipinto è stato dotato di una scatolatura posteriore che, realizzando un volume d’aria segregata e dunque controllabile, permette di limitare notevolmente lo scambio di umidità tra il supporto e l’ambiente.
Per quanto riguarda la superficie pittorica, nel rispetto dell’impostazione generale di “minimo intervento” adottato, la pulitura si è limitata ad agire nello spessore delle vernici e dei ritocchi introdotti dal restauro di Mauro Pellicioli. Con un intervento molto leggero, ma assai studiato criticamente e raffinato tecnicamente, la pulitura è stata così in grado di consentire una migliore leggibilità dei valori espressivi del dipinto, sia per la nuova nitidezza assunta dalle superfici, che rivelano l’incredibile qualità esecutiva del pittore, sia per il recuperato equilibrio tra le aree cromatiche, tra i chiari e gli scuri e all’interno dei valori spaziali della impostazione architettonica dell’insieme. Alla pulitura è seguita la stuccatura delle lacune, dedicando particolare attenzione alla lavorazione della superficie, in modo che essa sia in grado di collegarsi a quella del dipinto, evitando negative ripercussioni sul piano estetico.
La fase successiva è stata quella della reintegrazione delle lacune compiuta con la tecnica della “selezione cromatica ad acquerello su di una base a tempera. Una moderata verniciatura finale a spruzzo costituisce lo strato di finitura e di protezione della pellicola pittorica.
Sulla cornice è stato eseguito il consolidamento ligneo con il rifacimento delle parti strutturali mancanti e di quelle decorative quando era certa la riconducibilità. La pulitura ha presentato maggiori difficoltà nelle zone in azzurrite per la particolare caratteristica del pigmento che, a causa di una certa granulometria, tende ad assorbire i materiali applicati e che per composizione chimica vira, nel tempo, verso una tonalità verde.
La stuccatura delle lacune e delle parti ricostruite ha compiutamente ricucito le tante zone di mancanza rispetto alla superficie originale. Per l’integrazione delle lacune delle parti dorate è stato utilizzato oro zecchino in foglia, applicato secondo la tecnica originale a guazzo. Al fine di rendere riconoscibile l’intervento e allo stesso tempo di restituire un analogo livello di riflettanza e di intonazione rispetto all’originale, è stato eseguito un meticoloso tratteggio con colori ad acquerello.
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