Giotto, Croce, 1315-1320 ca., Chiesa di San Salvatore a Ognissanti, Firenze

  • : Intervento di restauro
  • Stato attività: concluso

Dati

Informazioni sull’attività

Informazioni sull’opera

Informazioni storico-descrittive

Giotto realizzò per la chiesa fiorentina di Ognissanti «una cappella, e uno grande crocifixo, e quattro tavole fatte molto eccellentemente» (L. Ghiberti, I Commentarii, 1450 ca.). Delle quattro tavole, due soltanto sono oggi a noi note: si tratta della Maestà di Ognissanti, attualmente custodita nella Galleria degli Uffizi, Firenze, e della Dormitio Virginis, conservata nella Neue Gemäldegalerie di Berlino. Non vi è più alcuna traccia degli affreschi di Giotto per la cappella cui si riferisce il Ghiberti: la Croce è dunque l’unica opera di Giotto rimasta nella Chiesa di Ognissanti, fondata e costruita tra il 1251 e il 1260 dall’ordine dei Frati Umiliati.
La Croce fu dipinta da Giotto e dalla sua bottega intorno alla metà del secondo decennio del Trecento. Le sue dimensioni sono colossali: attualmente misura 467 x 376 cm, ma in origine era probabilmente completata, nella parte inferiore, da una base di forma trapezoidale, con la raffigurazione del monte Golgota da cui sorge la Croce su cui Cristo è crocefisso, come si può ad esempio osservare nella Croce giovanile di Giotto di Santa Maria Novella e nella preziosa Croce della Cappella degli Scrovegni.
Gli storici I. Hueck e S. Weppelmann ipotizzano che in origine la Croce fosse disposta in posizione centrale sul tramezzo nella navata dell’antica chiesa degli Umiliati, posizione ove rimase probabilmente sino al 1565, anno di demolizione del tramezzo per mano dell’architetto Giorgio Vasari, per le nuove esigenze del culto controriformistico, al subentro dell’ordine dei Frati Minori Osservanti. In seguito la Croce è stata esposta sopra la porta centrale della controfacciata, per poi essere collocata, forse nella prima metà del Settecento, sulla parete sinistra della Cappella Gucci Dini, nel transetto sinistro, in cui l’opera è stata ricollocata a conclusione dell’intervento di restauro. Verso i primi anni del Novecento la Croce fu invece spostata nella sagrestia della Chiesa, divenendo dunque invisibile ai più. Qui il Crocefisso è rimasto sino al 2000, anno in cui è stato inviato alla mostra Giotto: Bilancio critico di sessant’anni di studi e di ricerche alla Galleria dell’Accademia, per poi essere restaurata all’interno dei Laboratori di restauro della Fortezza da Basso. Una ulteriore breve parentesi della sua secolare permanenza nella Chiesa di Ognissanti ha coinciso con un’altra importante mostra storica su Giotto: la celebre Mostra Giottesca del 1937 alla Galleria degli Uffizi, a cui la Croce di Ognissanti fu inviata ed esposta, a fianco di altre celebri opere del grande Maestro e giottesche.
Il dipinto raffigura il Crocifisso secondo il tipo iconografico del Christus patiens, che si era affermato nel corso del Duecento in Toscana per influsso bizantino (da Giunta Pisano a Cimabue), nella versione però di totale umanizzazione della figura che lo stesso Giotto aveva inventato nella Croce giovanile di Santa Maria Novella (ca. 1285-90). Nei quadrilobi mistilinei troviamo ai lati i due dolenti, la Vergine e San Giovanni Evangelista, ed in alto il Redentore benedicente.
Citata dalle fonti antiche in relazione a Giotto (Ghiberti, Anonimo Magliabechiano, Gelli e Vasari), il primo a mettere in dubbio la completa paternità giottesca della Croce fu Cavalcaselle, nella Storia della Pittura in Italia del 1886, individuando nella figura di Cristo la mano di uno scolaro o seguace del maestro, opinione spesso ribadita da buona parte della critica novecentesca. Il dibattito critico recente degli specialisti spazia dall’attribuzione al Maestro – opinione espressa da A. Tartuferi e M. Boskovits nella mostra su Giotto tenuta alla Galleria dell’Accademia di Firenze nel 2000, e ribadita da Boskovits a conclusione dell’intervento di restauro – alla possibilità di riconoscervi, insieme all’impostazione data da Giotto, la mano del suo principale collaboratore, il cui corpus è stato individuato ipoteticamente in molte opere importanti durante il periodo centrale dell’attività del maestro. Questa ignota personalità di pittore all’interno della bottega giottesca fu definita da Giovanni Previtali “Parente di Giotto”.
Una ulteriore discussione specialistica verte sulla datazione della Croce: secondo alcuni studiosi essa è collocabile intorno alla metà del secondo decennio del Trecento, secondo altri si può spingere invece verso gli anni Venti del Trecento.

Tecnica esecutiva

Tempera su tavola.
Il complesso supporto mistilineo e polilobato è costituito da un tavolato in legno di pioppo, spesso 7 centimetri, da una preziosa cornice intagliata con motivi fogliacei, in legno di tiglio, e da una traversatura in abete e castagno, avente la funzione di distribuire il peso e le forze dell’intera struttura, che pesa più di 400 kilogrammi. Ad essa sono agganciati 5 anelli in ferro: si tratta degli anelli originali che servivano per l’aggancio della Croce a catene ancorate al soffitto dell’antica chiesa degli Umiliati.
La radiografia ha aiutato a capire i criteri di assemblaggio del tavolato, con un incastro a mezzo legno tra l’asse orizzontale ed asse verticale, con continuità sul davanti dell’asse verticale, e ha rivelato che fu apportata, in corso d’opera, una importante modifica della posizione dell’aureola di Cristo, costituita da un elemento rastremato. In origine tale elemento era di maggiori dimensioni e più in alto: esso fu ridotto di dimensioni ed abbassato, applicandone la cornice anche sulla parte piana del tavolato. La modifica fu apportata dopo l’applicazione di una tela come strato ammortizzante e prima dell’applicazione degli strati preparatori di gesso e colla.
Il supporto della Croce è raffinato nelle sue proporzioni, nella regolarità del reticolo della traversatura, nonché nei suoi dettagli: esso è stato rifinito, sui bordi e nella parte posteriore delle foglie della cornice, da uno strato cromatico di ocra rossa e colla animale, sia per una maggiore protezione dell’opera dagli scambi termoigrometrici con l’ambiente, sia per una ottimale presentazione estetica: la Croce infatti, posta in posizione centrale sull’antico tramezzo della Chiesa, poteva essere vista sia dal davanti che dal retro (dal clero), nonché di lato.
Come strati ammortizzanti sono state applicate sul supporto delle strisce di tela di lino, nonché delle sottili strisce di pergamena su alcune commettiture nei pressi degli incastri più delicati. Gli strati preparatori, a base di gesso di Bologna e colla animale sono spessi circa 1 mm; sul gesso sono stati riportati delle incisioni incisi lungo la figura di Cristo, per il quale si ritiene che Giotto abbia usato un patrono, usato probabilmente anche come riferimento per la modifica dell’aureola che fu apportata prima dell’applicazione del gesso ma dopo l’applicazione della tela come strato ammortizzante. Altre incisioni presenti sulla Croce individuano le zone da dorare con oro in foglia a guazzo; vi sono altresì incisioni disegnative nei tappeti ai lati del corpo di Cristo.
La riflettografia infrarossa ha evidenziato il disegno a nero di carbone, realizzato sia a carboncino, che con inchiostro a nero di carbone: nelle vesti delle figure dei tabelloni si osserva un disegno lineare, ma nei carnati delle figure e soprattutto nella possente figura di Cristo, il disegno è fortemente ombreggiato, creando effetti chiaroscurali e plastici con l’uso di pennellate liquide di inchiostro di nero di carbone.
La doratura a guazzo del fondo è stata realizzata su di uno strato di bolo di colore arancio chiaro ed arricchita da preziose incisioni sia all’interno delle decorazioni realizzate a sgraffito dei tabelloni, sia nelle aureole delle quattro figure, con l’uso di compasso, di svariati punzoni e dello stilo per realizzare le fasce decorative a motivi pseudo-cufici nelle aureole dei dolenti e di motivi fogliacei nelle aureole di Cristo Crocefisso e di Cristo Risorto e Benedicente.
L’aureola di Cristo è peraltro arricchita, come già nella Croce di Santa Maria Novella, ma con un maggior effetto policromo, da preziosi vetri dipinti e dorati nonché da paste vitree, inseriti negli strati preparatori prima della doratura a foglia. Nella cornice dell’aureola paste vitree blu si alternano a vetri dipinti e dorati rossi e verdi; nei tre raggi cruciformi vi sono invece delle gemme artificiali – piccoli vetri colorati imitanti rubini, smeraldi e zaffiri – attorno a quelli che in origine erano tre grandi vetri lenticolari, anch’essi dipinti e dorati, di cui resta oggi un solo esemplare, dipinto ad azzurrite, sgraffito e dorato a missione. Lungo i bordi del vetro dipinto e dorato sono presenti dei residui di un materiale riflettente a specchio: analisi scientifiche hanno rivelato che il vetro lenticolare era in origine proprio uno specchio, privato poi della piombatura interna, con caratteristiche identiche agli specchi lenticolari inseriti nell’aureola di Cristo Giudice nel Giudizio Universale della Cappella degli Scrovegni di Padova.
Gli strati pittorici, applicati dopo il fondo oro a guazzo, sono realizzati con svariati pigmenti: bianco di piombo, ocra gialla, giallo di piombo e stagno, minio, cinabro, ocra rossa, lacca rossa, azzurrite, blu oltremare, verderame, terra verde, terra di Siena naturale, terra d’ombra naturale, nero di carbone. Nelle fasce decorative ai lati della Croce è stata altresì riscontrata la presenza di aloe, usato per intensificare il verde delle foglie. Per quanto riguarda i pigmenti blu, l’azzurrite è stata usata in alcune decorazioni dei tabelloni e dei lobi, mentre il prezioso blu oltremare è stato usato per le vesti delle figure dei tabelloni e per la croce su cui Cristo è crocefisso, realizzata con ben due strati di lapislazzuli e bianco di piombo al di sopra di un fondo cromatico di lacca rossa e biacca, che conferisce un tono più caldo al prezioso blu soprastante.
Le vesti sono arricchite da preziose dorature a missione con motivi pseudo-epigrafici lungo i bordi dei panneggi.
Nei carnati delle figure, Giotto realizza la maestrale resa dei volumi dapprima con un disegno fortemente ombreggiato, e usando poi due fondi cromatici, sia verdaccio che verdeterra, applicando infine degli strati finali sottilissimi di bianco di piombo e ocra gialla nel corpo di Cristo, con l’aggiunta di cinabro nelle figure dei Dolenti e di Cristo Benedicente. I fondi cromatici conferiscono l’effetto di naturale trasparenza della pelle, oltre a maggiormente definire i volumi e le ombre già intensamente ombreggiate nella fase disegnativa con inchiostro diluito. Il verdaccio, una miscela di ocre, nero e bianco è stato applicato nelle ombre e nelle mezze ombre; il fondo cromatico più chiaro di verdeterra in miscela con il bianco di piombo è applicato in corrispondenza delle mezze luci. Sopra queste stesure modulate, eseguite con pennellate sintetiche e veloci, la resa della figura di Cristo è completata da strati finali di ocra gialla e bianco di piombo, condotti invece con piccole pennellate a tratteggio, accostate e sovrapposte, che seguono i volumi del modellato. Nelle figure dei tabelloni, le stesure finali includono anche cinabro, con un uso del pigmento accentuato specie nei Dolenti, ad accentuare il rossore dovuto al pianto per la morte di Cristo. Il cinabro è usato quasi puro per sottolineare le linee di espressione del volto della Vergine, raffigurata da Giotto con le fattezze di una madre anziana che soffre per il figlio.
A completare la tecnica di esecuzione dell’opera, è stato riscontrato uno strato di vernice molto probabilmente originale, a base di colofonia, applicato anche sul fondo oro.

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