Restauro
Soprintendenti: Cristina Acidini fino all’aprile 2008, Bruno Santi, Isabella Lapi Ballerini dal marzo 2009
Direzione dei lavori: Marco Ciatti e Cecilia Frosinini
Direzione tecnica e restauro: Paola Bracco, Ottavio Ciappi, per la parte pittorica, con la partecipazione di Anna Marie Hilling e la collaborazione di Kyoko Nakahara e Cesare Pagliero; Ciro Castelli, Mauro Parri, Andrea Santacesaria per il supporto ligneo, con la collaborazione di Aldo Manzo, Marco Rossi, Giancarlo Penza, Rocco Spina.
La disinfestazione anossica è stata realizzata con il generoso contributo della ditta R. G. I. Resource Group Integrator S.r.l.
Controllo microclimatico e conservazione preventiva
Settore Climatologia e Conservazione Preventiva
Direzione dei lavori: Roberto Boddi
Direzione tecnica: Roberto Boddi con la collaborazione di Sandra Cassi
Collaborazione scientifica: Fabio Sciurpi, Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Architettura Dipartimento di Tecnologie dell’Architettura e Design “Pierluigi Spadolini”
Indagini Scientifiche
Laboratorio Scientifico OPD: coordinatore Daniela Pinna
Indagini diagnostiche eseguite da:
Radiografia Rx: Alfredo Aldrovandi, Ottavio Ciappi (OPD):
Riflettografia IR con scanner ad alta definizione: Roberto Bellucci (OPD), con la collaborazione di Sara Micheli e Mattia Patti, in collaborazione con l’INO-CNR di Firenze, Gruppo Beni Culturali diretto da Luca Pezzati
Cross-sections, analisi chimiche (FTIR, SED/EDS): Carlo Galliano Lalli, Giancarlo Lanterna, Maria Rizzi, Isetta Tosini, Andrea Cagnini, Monica Galeotti (OPD), con la collaborazione di Romina Bonaldo, Natalia Cavalca e Federica Innocenti
Fluorescenza UV, Infrarosso Falso Colore e Infrarosso Bianco Nero: Alfredo Aldrovandi, Sergio Cipriani (OPD), con la collaborazione di Annette Keller
Fluorescenza X (XRF): Claudio Seccaroni, Pietro Moioli (ENEA, Roma)
Misure spettrometriche in riflettanza mediante fibre ottiche (FORS): Mauro Bacci, Giulia Casari, Marcello Picollo, Bruno Radicati (IFACCNR, Firenze)
Documentazione
Le fotografie dell’opera e la documentazione del restauro sono state eseguite dal Laboratorio fotografico dell’OPD.
Direzione: Alfredo Aldrovandi
Fotografi: Fabrizio Cinotti, Sergio Cipriani, con la collaborazione di Annette Keller
Rilievi grafici: Anna Marie Hilling, Kyoko Nakahara
Disegni Autocad: Anna Marie Hilling, Andrea Santacesaria
Tutela e ricollocazione
Anna Bisceglia, Soprintendenza speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze
Vincenzo Vaccaro, Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici e Etnoantropologici per le province di Firenze (con esclusione della città per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico), Pistoia e Prato
Il supporto per la Croce e gli altri lavori necessari per la ricollocazione sono stati progettati e diretti da EUROPLAN servizio progettazione e consulenze srl Firenze: Stefano Merilli, Stefano Picchi, Pierluigi Rizzi, Gerardo Rizzi, Elisabetta Tacchinardi
Opere di fabbro:Valerio Giannerini & C sas – Calenzano (FI)
Opere di falegname: Rangoni Basilio S.r.l. – Firenze
Opere di elettricista: Fagioli & Cappelli impianti elettrici – Firenze
La movimentazione dell’opera è stata realizzata dalla ditta Arteria S.r.l., sede operativa di Firenze diretta da Mara Martini con la collaborazione di Carmine Pepe
L’impianto di illuminazione è stato realizzato dalla ditta Nord Light S.p.A. – società del gruppo ARTEMIDE
Sponsor
Il restauro e la ricollocazione dell’opera sono stati possibili grazie al generoso contributo di Arterìa S.r.l. Si ringraziano il Presidente Alvise di Canossa, il Vice-Presidente Danilo Maitti, l’Amministratore Delegato Antonio Addari, il Direttore della sede di Firenze Mara Martini.
L’impianto di illuminazione è stato generosamente offerto da Nord Light S.p.A. – società del gruppo ARTEMIDE. Si ringraziano l’Amministratore Delegato Rualdo Martini, il Direttore Generale Michele Gismondi e l’Ingegnere Andrea Giorgi.
Giotto realizzò per la chiesa fiorentina di Ognissanti «una cappella, e uno grande crocifixo, e quattro tavole fatte molto eccellentemente» (L. Ghiberti, I Commentarii, 1450 ca.). Delle quattro tavole, due soltanto sono oggi a noi note: si tratta della Maestà di Ognissanti, attualmente custodita nella Galleria degli Uffizi, Firenze, e della Dormitio Virginis, conservata nella Neue Gemäldegalerie di Berlino. Non vi è più alcuna traccia degli affreschi di Giotto per la cappella cui si riferisce il Ghiberti: la Croce è dunque l’unica opera di Giotto rimasta nella Chiesa di Ognissanti, fondata e costruita tra il 1251 e il 1260 dall’ordine dei Frati Umiliati.
La Croce fu dipinta da Giotto e dalla sua bottega intorno alla metà del secondo decennio del Trecento. Le sue dimensioni sono colossali: attualmente misura 467 x 376 cm, ma in origine era probabilmente completata, nella parte inferiore, da una base di forma trapezoidale, con la raffigurazione del monte Golgota da cui sorge la Croce su cui Cristo è crocefisso, come si può ad esempio osservare nella Croce giovanile di Giotto di Santa Maria Novella e nella preziosa Croce della Cappella degli Scrovegni.
Gli storici I. Hueck e S. Weppelmann ipotizzano che in origine la Croce fosse disposta in posizione centrale sul tramezzo nella navata dell’antica chiesa degli Umiliati, posizione ove rimase probabilmente sino al 1565, anno di demolizione del tramezzo per mano dell’architetto Giorgio Vasari, per le nuove esigenze del culto controriformistico, al subentro dell’ordine dei Frati Minori Osservanti. In seguito la Croce è stata esposta sopra la porta centrale della controfacciata, per poi essere collocata, forse nella prima metà del Settecento, sulla parete sinistra della Cappella Gucci Dini, nel transetto sinistro, in cui l’opera è stata ricollocata a conclusione dell’intervento di restauro. Verso i primi anni del Novecento la Croce fu invece spostata nella sagrestia della Chiesa, divenendo dunque invisibile ai più. Qui il Crocefisso è rimasto sino al 2000, anno in cui è stato inviato alla mostra Giotto: Bilancio critico di sessant’anni di studi e di ricerche alla Galleria dell’Accademia, per poi essere restaurata all’interno dei Laboratori di restauro della Fortezza da Basso. Una ulteriore breve parentesi della sua secolare permanenza nella Chiesa di Ognissanti ha coinciso con un’altra importante mostra storica su Giotto: la celebre Mostra Giottesca del 1937 alla Galleria degli Uffizi, a cui la Croce di Ognissanti fu inviata ed esposta, a fianco di altre celebri opere del grande Maestro e giottesche.
Il dipinto raffigura il Crocifisso secondo il tipo iconografico del Christus patiens, che si era affermato nel corso del Duecento in Toscana per influsso bizantino (da Giunta Pisano a Cimabue), nella versione però di totale umanizzazione della figura che lo stesso Giotto aveva inventato nella Croce giovanile di Santa Maria Novella (ca. 1285-90). Nei quadrilobi mistilinei troviamo ai lati i due dolenti, la Vergine e San Giovanni Evangelista, ed in alto il Redentore benedicente.
Citata dalle fonti antiche in relazione a Giotto (Ghiberti, Anonimo Magliabechiano, Gelli e Vasari), il primo a mettere in dubbio la completa paternità giottesca della Croce fu Cavalcaselle, nella Storia della Pittura in Italia del 1886, individuando nella figura di Cristo la mano di uno scolaro o seguace del maestro, opinione spesso ribadita da buona parte della critica novecentesca. Il dibattito critico recente degli specialisti spazia dall’attribuzione al Maestro – opinione espressa da A. Tartuferi e M. Boskovits nella mostra su Giotto tenuta alla Galleria dell’Accademia di Firenze nel 2000, e ribadita da Boskovits a conclusione dell’intervento di restauro – alla possibilità di riconoscervi, insieme all’impostazione data da Giotto, la mano del suo principale collaboratore, il cui corpus è stato individuato ipoteticamente in molte opere importanti durante il periodo centrale dell’attività del maestro. Questa ignota personalità di pittore all’interno della bottega giottesca fu definita da Giovanni Previtali “Parente di Giotto”.
Una ulteriore discussione specialistica verte sulla datazione della Croce: secondo alcuni studiosi essa è collocabile intorno alla metà del secondo decennio del Trecento, secondo altri si può spingere invece verso gli anni Venti del Trecento.
Tempera su tavola.
Il complesso supporto mistilineo e polilobato è costituito da un tavolato in legno di pioppo, spesso 7 centimetri, da una preziosa cornice intagliata con motivi fogliacei, in legno di tiglio, e da una traversatura in abete e castagno, avente la funzione di distribuire il peso e le forze dell’intera struttura, che pesa più di 400 kilogrammi. Ad essa sono agganciati 5 anelli in ferro: si tratta degli anelli originali che servivano per l’aggancio della Croce a catene ancorate al soffitto dell’antica chiesa degli Umiliati.
La radiografia ha aiutato a capire i criteri di assemblaggio del tavolato, con un incastro a mezzo legno tra l’asse orizzontale ed asse verticale, con continuità sul davanti dell’asse verticale, e ha rivelato che fu apportata, in corso d’opera, una importante modifica della posizione dell’aureola di Cristo, costituita da un elemento rastremato. In origine tale elemento era di maggiori dimensioni e più in alto: esso fu ridotto di dimensioni ed abbassato, applicandone la cornice anche sulla parte piana del tavolato. La modifica fu apportata dopo l’applicazione di una tela come strato ammortizzante e prima dell’applicazione degli strati preparatori di gesso e colla.
Il supporto della Croce è raffinato nelle sue proporzioni, nella regolarità del reticolo della traversatura, nonché nei suoi dettagli: esso è stato rifinito, sui bordi e nella parte posteriore delle foglie della cornice, da uno strato cromatico di ocra rossa e colla animale, sia per una maggiore protezione dell’opera dagli scambi termoigrometrici con l’ambiente, sia per una ottimale presentazione estetica: la Croce infatti, posta in posizione centrale sull’antico tramezzo della Chiesa, poteva essere vista sia dal davanti che dal retro (dal clero), nonché di lato.
Come strati ammortizzanti sono state applicate sul supporto delle strisce di tela di lino, nonché delle sottili strisce di pergamena su alcune commettiture nei pressi degli incastri più delicati. Gli strati preparatori, a base di gesso di Bologna e colla animale sono spessi circa 1 mm; sul gesso sono stati riportati delle incisioni incisi lungo la figura di Cristo, per il quale si ritiene che Giotto abbia usato un patrono, usato probabilmente anche come riferimento per la modifica dell’aureola che fu apportata prima dell’applicazione del gesso ma dopo l’applicazione della tela come strato ammortizzante. Altre incisioni presenti sulla Croce individuano le zone da dorare con oro in foglia a guazzo; vi sono altresì incisioni disegnative nei tappeti ai lati del corpo di Cristo.
La riflettografia infrarossa ha evidenziato il disegno a nero di carbone, realizzato sia a carboncino, che con inchiostro a nero di carbone: nelle vesti delle figure dei tabelloni si osserva un disegno lineare, ma nei carnati delle figure e soprattutto nella possente figura di Cristo, il disegno è fortemente ombreggiato, creando effetti chiaroscurali e plastici con l’uso di pennellate liquide di inchiostro di nero di carbone.
La doratura a guazzo del fondo è stata realizzata su di uno strato di bolo di colore arancio chiaro ed arricchita da preziose incisioni sia all’interno delle decorazioni realizzate a sgraffito dei tabelloni, sia nelle aureole delle quattro figure, con l’uso di compasso, di svariati punzoni e dello stilo per realizzare le fasce decorative a motivi pseudo-cufici nelle aureole dei dolenti e di motivi fogliacei nelle aureole di Cristo Crocefisso e di Cristo Risorto e Benedicente.
L’aureola di Cristo è peraltro arricchita, come già nella Croce di Santa Maria Novella, ma con un maggior effetto policromo, da preziosi vetri dipinti e dorati nonché da paste vitree, inseriti negli strati preparatori prima della doratura a foglia. Nella cornice dell’aureola paste vitree blu si alternano a vetri dipinti e dorati rossi e verdi; nei tre raggi cruciformi vi sono invece delle gemme artificiali – piccoli vetri colorati imitanti rubini, smeraldi e zaffiri – attorno a quelli che in origine erano tre grandi vetri lenticolari, anch’essi dipinti e dorati, di cui resta oggi un solo esemplare, dipinto ad azzurrite, sgraffito e dorato a missione. Lungo i bordi del vetro dipinto e dorato sono presenti dei residui di un materiale riflettente a specchio: analisi scientifiche hanno rivelato che il vetro lenticolare era in origine proprio uno specchio, privato poi della piombatura interna, con caratteristiche identiche agli specchi lenticolari inseriti nell’aureola di Cristo Giudice nel Giudizio Universale della Cappella degli Scrovegni di Padova.
Gli strati pittorici, applicati dopo il fondo oro a guazzo, sono realizzati con svariati pigmenti: bianco di piombo, ocra gialla, giallo di piombo e stagno, minio, cinabro, ocra rossa, lacca rossa, azzurrite, blu oltremare, verderame, terra verde, terra di Siena naturale, terra d’ombra naturale, nero di carbone. Nelle fasce decorative ai lati della Croce è stata altresì riscontrata la presenza di aloe, usato per intensificare il verde delle foglie. Per quanto riguarda i pigmenti blu, l’azzurrite è stata usata in alcune decorazioni dei tabelloni e dei lobi, mentre il prezioso blu oltremare è stato usato per le vesti delle figure dei tabelloni e per la croce su cui Cristo è crocefisso, realizzata con ben due strati di lapislazzuli e bianco di piombo al di sopra di un fondo cromatico di lacca rossa e biacca, che conferisce un tono più caldo al prezioso blu soprastante.
Le vesti sono arricchite da preziose dorature a missione con motivi pseudo-epigrafici lungo i bordi dei panneggi.
Nei carnati delle figure, Giotto realizza la maestrale resa dei volumi dapprima con un disegno fortemente ombreggiato, e usando poi due fondi cromatici, sia verdaccio che verdeterra, applicando infine degli strati finali sottilissimi di bianco di piombo e ocra gialla nel corpo di Cristo, con l’aggiunta di cinabro nelle figure dei Dolenti e di Cristo Benedicente. I fondi cromatici conferiscono l’effetto di naturale trasparenza della pelle, oltre a maggiormente definire i volumi e le ombre già intensamente ombreggiate nella fase disegnativa con inchiostro diluito. Il verdaccio, una miscela di ocre, nero e bianco è stato applicato nelle ombre e nelle mezze ombre; il fondo cromatico più chiaro di verdeterra in miscela con il bianco di piombo è applicato in corrispondenza delle mezze luci. Sopra queste stesure modulate, eseguite con pennellate sintetiche e veloci, la resa della figura di Cristo è completata da strati finali di ocra gialla e bianco di piombo, condotti invece con piccole pennellate a tratteggio, accostate e sovrapposte, che seguono i volumi del modellato. Nelle figure dei tabelloni, le stesure finali includono anche cinabro, con un uso del pigmento accentuato specie nei Dolenti, ad accentuare il rossore dovuto al pianto per la morte di Cristo. Il cinabro è usato quasi puro per sottolineare le linee di espressione del volto della Vergine, raffigurata da Giotto con le fattezze di una madre anziana che soffre per il figlio.
A completare la tecnica di esecuzione dell’opera, è stato riscontrato uno strato di vernice molto probabilmente originale, a base di colofonia, applicato anche sul fondo oro.
Prima dell’intervento, gli strati pittorici del Crocifisso erano totalmente offuscati da uno strato di materiale estremamente scuro ed alterato, non originale, che fortemente limitava la leggibilità dell’opera, rendendo impossibile distinguere i trapassi tonali di luce ed ombra, apprezzare le possenti volumetrie giottesche, i dettagli e le preziose pennellate.
Nel supporto vi erano alcune fessurazioni; numerose mancanze lignee erano presenti nella cornice, che ha perso buona parte del fogliame aggettante dell’intaglio. La base originale, probabilmente di forma trapezoidale e con la raffigurazione del monte Golgota, come nella Croce giovanile di Santa Maria Novella, è andata perduta. L’opera ha subito vari attacchi di insetti xilofagi; sul retro vi era molto materiale di deposito ed alcune mancanze della traversatura. Alcune mancanze della cornice – incluse le punte laterali dei tabelloni dei Dolenti – erano state integrate in occasione della Mostra Giottesca del 1937.
L’opera ha subito in passato una pulitura a base acquosa e forse anche di natura alcalina che ha purtroppo compromesso alcune parti dell’opera, che risultava infatti molto sensibile all’azione dell’acqua e dei mezzi acquosi. I maggiori danni della pulitura erano soprattutto in corrispondenza delle campiture verdi di alcune decorazioni a sgraffito e delle foglie delle fasce decorative che corrono affianco la Croce blu lapislazzuli.
Vi erano alcune lacune di strati preparatori e pittorici, di cui una più estesa nei pressi della mano sinistra di Cristo, in corrispondenza di un danno dovuto a percolazione di acqua, oltre ad una ampia lacuna in basso a destra nei pressi dell’attuale base.
Il progetto di restauro si è basato su di un approfondito studio dell’opera, grazie anche ad estesa campagna di indagini diagnostiche conoscitive che sono servite a comprendere la tecnica artistica di realizzazione e lo stato di conservazione dell’opera. Sono state eseguite prima le indagini fisiche non invasive tra cui la Radiografia X, Fluorescenza UV, Riflettografia IR, Misure di Riflettanza FORS, Fluorescenza X, per ridurre la necessità di indagini chimiche (sezioni stratigrafiche, analisi FT-IR) su micro-campioni.
Da un punto di vista tecnico il problema più rilevante è consistito nella messa a punto della tecnica di pulitura, che ha previsto previsto la rimozione selettiva del materiale non originale alterato presente sulla superficie, nel totale rispetto degli strati sottostanti, a seguito di una complessa fase di ricerca, sperimentazione e messa a punto di formulazioni specificatamente preparate per l’intervento. Analisi chimiche di prelievi selettivi del materiale scuro e quasi nero presente sulla superficie hanno rivelato la presenza di gomma vegetale – probabilmente applicata in un intervento precedente di restauro, forse allo scopo di “verniciare” l’opera – e di ossalati di calcio, sali organici frutto dell’interazione della gomma vegetale con materiale di deposito, con l’incorporazione anche di nerofumo. La problematica principale è stata la necessità di rimuovere un materiale idrofilo, affine all’acqua, da una superficie invece estremamente sensibile ai mezzi acquosi, soprattutto a livello degli strati preparatori di gesso e colla, che tendevano a gonfiarsi anche con un minimo apporto di acqua, anche gelificata. E’ stato dunque approntato un sistema specifico con l’uso di emulsioni acqua-in-olio, ovvero formulazioni contenenti minime quantità di acqua (10-15%) emulsionate con tensioattivi all’interno di un solvente apolare (85-90%), totalmente inerte verso i substrati, ovvero Ligroina (etere di petrolio 100-140°C). Con l’uso di una sequenza di emulsioni cosiddette grasse, applicate sulla superficie pittorica con il controllo costante della superficie allo stereomicroscopio, ed addizionate di vari additivi (ad esempio chelanti e tensioattivi), è stato possibile rimuovere selettivamente il materiale alterato, preservando totalmente perfino uno strato di sottilissima vernice, che si ritiene possa essere uno strato pertinente alla tecnica originale.
Di pari passo alla pulitura sono state svolte, laddove necessario, anche delle operazioni di fermatura e consolidamento degli strati preparatori e pittorici, con colla di pelli, colla di storione, ed eteri di cellulosa applicati a pennello o a siringa. L’adesione di centinaia di frammenti staccati di colore e oro dal vetro lenticolare dipinto e dorato dell’aureola di Cristo è stato ripristinata riposizionando i frammenti e riaderendoli al microscopio, con Plexisol P550-40.
Per quanto riguarda il supporto l’attacco da insetti xilofagi è stato affrontato sia con la disinfestazione anossica che la disinfestazione preventiva a Permetrina. Il restauro del supporto ligneo ha previsto innanzitutto la rimozione di materiale di deposito, seguito dal consolidamento delle parti più fragili, eseguito con la resina acrilica Paraloid B72. Le mancanze della traversatura sono state reintegrate con inserti lignei opportunamente differenziati, ripristinando così la funzionalità del sistema di controllo delle deformazioni del tavolato.
Alla stuccatura delle lacune con gesso e colla di coniglio è seguita l’integrazione pittorica a selezione cromatica, eseguita con sottili tratti di colori ad acquerello applicati su delle chiarissime basi a tempera gouache; il ritocco è stato completato dopo la verniciatura con i colori a vernice Gamblin Conservation Colors. Per il ritocco delle mancanze di doratura sono stati adottati due differenti sistemi: nelle mancanze della doratura originale, tratti di rosso, verde e bruno sono stati applicati al di sopra di stesure di oro in polvere legato con gomma arabica, previa la stesura di bolo giallo sottostante. Nelle aggiunte della cornice del 1937, i tratti di colore sono stati invece applicati al di sopra di oro in foglia, applicato a mordente: ciò per una maggiore differenziazione in base al supporto sottostante, originale o meno.
La verniciatura dell’opera è stata eseguita con un primo strato di resina mastice applicato a pennello, cui è seguita una stesura a pennello di resina chetonica Laropal K80, addizionata di Tinuvin 292. La verniciatura finale a spruzzo è stata eseguita con Laropal K80.
Una parte importante del progetto di restauro è consistita nella attenta scelta della nuova collocazione all’interno della chiesa, che associasse buone condizioni microclimatiche per la conservazione dell’opera ad una corretta fruizione da parte del pubblico. La nuova collocazione è stata individuata nella cappella rialzata del transetto sinistro, la Cappella Gucci Dini, che presenta ancora le volte trecentesche ed un arco trionfale, che consente una corretta lettura dal basso, come quando la Croce era originariamente collocata sul tramezzo della chiesa. L’opera è stata ancorata tramite i suoi cinque anelli in ferro originali ad una struttura autoportante in acciaio. Le condizioni microclimatiche ambientali sono state verificate dal Settore di Climatologia e Conservazione preventiva dell’OPD e monitorate a seguito della ricollocazione dell’opera nella chiesa per cui fu creata.
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