Soprintendenti: Cristina Acidini, Bruno Santi, Isabella Lapi, Marco Ciatti
Direzione dei lavori: Marco Ciatti
Vicedirezione storico-artistica: Cecilia Frosinini
Direzione tecnica e restauro: per la parte pittorica Roberto Bellucci con la collaborazione di Elisabetta Bianco, Lucia Bresci, Antonella Casaccia, Valeria Cocchetti, Ilaria Corsini, Chiara Mignani, Debora Minotti; per la struttura lignea Ciro Castelli, Andrea Santacesaria, Mauro Parri con la collaborazione di Alberto Dimuccio, Aldo Manzo
Segreteria amministrativa del restauro: Cristiana Massari
Settore climatologia e conservazione preventiva: Carlo Galliano Lalli, Sandra Cassi
La cornice è stata realizzata da Ciro Castelli, Mauro Parri, Alberto Dimuccio, Giancarlo Penza e Filippo Lagna e, per la doratura, da Francesca Brogi.
Il restauro della carpenteria lignea dell’Ultima Cena del Vasari è stato realizzato grazie al supporto del the Getty Conservation Institute, the Getty Foundation, the J. Paul Getty Museum, all’interno del più ampio progetto Panel Paintings Initiative. La prima parte del progetto, Vasari’s Last Supper Project (2010-2013), è stata dedicata alla formazione degli allievi restauratori di supporti dipinti e di stagisti stranieri e ha visto la partecipazione di: Sue Ann Chui del The Paul Getty Conservation di Los Angeles, Alan Miller del Metropolitan Museum di New York, Britta New della National Gallery di Londra, Bela Nagy del Museo Nazionale di Budapest. Come allievi italiani hanno partecipato Alberto Dimuccio e Aldo Manzo. La seconda parte del progetto P.P.I., Training And Treatment (2013-2017), ha interessato altri dipinti su tavola. Ciro Castelli e Mauro Parri hanno seguito il primo e il secondo corso come formatori dell’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro di Firenze
Indagini scientifiche
Radiografia X: Alfredo Aldrovandi (OPD), Ottavio Ciappi
Analisi stratigrafiche e chimiche(Microscopia ottica. FT-IR, SEM/EDS): Carlo Galliano Lalli (OPD), Federica Innocenti
Fluorescenza X (XRF): Giancarlo Lanterna (OPD)
Analisi biologiche: Isetta Tosini (OPD)
Micro-profilometria a scansione: Perluigi Carcagni (CNR, Lecce), Raffaella Fontana, Enrico Pampaloni (INO-CNR, Firenze), Paolo Pingi (Istituto di Scienza e Tecnologia dell’Informazione “Alessandro Faedo” ISTI-CNR, Pisa)
Misure XRF: Pier Andrea Mandò, Alessandro Migliori (INFN)
Documentazione
Le fotografie in luce visibile, radente e speciale (UV, UV falso colore, IR b/n, IR falso colore) sono state eseguite dal Laboratorio fotografico dell’Opificio delle Pietre Dure
Direttore: Alfredo Aldrovandi
Fotografi: Fabrizio Cinotti, Giuseppe Zicarelli e i restauratori durante le fasi di lavorazione
Rilievi e grafici: Andrea Santacesaria
Il dipinto era originariamente collocato nel refettorio del Convento delle Murate a Firenze. Il monastero aveva conosciuto una fase di grande espansione a partire dagli anni Trenta del Quattrocento sotto la direzione della madre badessa Scolastica Rondinelli che promosse la decorazione degli ambienti interni della struttura. Risalgono a questo periodo, ad esempio, la pala con l’ Annunciazione di Filippo Lippi oggi all’Alte Pinakothek, la Crocifissione di Neri di Bicci ed un Crocifisso scolpito da Baccio da Montelupo.
Vasari doveva essere in buoni rapporti con l’ambiente delle monache benedettine, in particolar modo con il convento delle Murate di Arezzo dove la sorella secondogenita aveva preso i voti. Lo stesso aretino in un passo delle Ricordanze (1527-1573) annota come nel novembre del 1546 le monache delle Murate di Firenze gli avessero commissionarono un «Cenacolo» diviso in cinque parti attraverso l’intermediazione di Giovan Maria Benintendi, un mecenate che rappresentava gli interessi collettivi delle benedettine. Negli ultimi mesi del 1546 Vasari dovette quindi preparare il modello con il disegno su carta – oggi al Staaltliche Graphische Summlung di Monaco – per siglare l’accordo, iniziando l’esecuzione della tavola all’inizio dell’anno seguente.
Altre notizie in merito si hanno nella autobiografia delle Vite dove si legge che fu Paolo III a finanziare l’ Ultima cena voluta soprattutto da Lelia Orsini Farnese, monaca delle Murate e parente dello stesso pontefice.
Tuttavia quanto si desume dalle Ricordanze e dalle Vite contrasta con una cronaca manoscritta del convento redatta sul finire del XVI secolo dove si evince che l’occasione per un dono così generoso sarebbe stata l’immatricolazione di una nuova consorella, Faustina Vitelli, figlia del noto condottiero Vitello Vitelli.
In occasione del recente restauro si è parlato per il dipinto del Vasari di una “committenza collettiva”: l’ingresso nel convento di Faustina Vitelli dovette costituire l’occasione per dar lustro a tutto il monastero allogando una nuova opera ad un artista ben noto ai Farnese facendone coprire i notevoli costi al pontefice anche attraverso l’attività di intermediazione di Lelia Orsini Farnese.
Nel 1810 l’Ultima Cena venne rimossa dal refettorio delle Murate e trasferita nei depositi del convento di San Marco per effetto del decreto imperiale del 23 settembre 1810 che sanciva di fatto la definitiva soppressione degli ordini religiosi.
Nel 1815 la pala, dopo esser stata restaurata, fu spostata alle spalle dell’altare della Cappella Castellani della Basilica di Santa Croce, ormai disadorna a causa della scialbatura degli affreschi trecenteschi avvenuta nel 1677.
Successivamente l’opera fu spostata prima nel “Refettorio d’Inverno” (oggi Studio Teologico) poi, a causa dei lavori di descialbatura avviati intorno al 1880, all’ingresso del cosiddetto «Uffizio» (i locali di residenza dell’Opera di Santa Croce) e infine in quello che era stato il refettorio del convento francescano poi trasformato in museo dopo la soppressione degli ordini religiosi. Il museo dell’opera fu aperto al pubblico nel novembre del 1900.
Nel 1959, a seguito dell’ampliamento del museo, il dipinto fu spostato nella prima sala del lato est dove rimase sino all’alluvione del 1966.
L’Ultima Cena di Giorgio Vasari è un dipinto su tavola che presenta una sua particolare tecnica di costruzione. L’opera si sviluppa su una superficie complessiva alta 262 cm e larga 655 cm suddivisa in cinque pannelli realizzati in maniera indipendente e accostati per comporre un’unica scena.
Il supporto ligneo è stato realizzato con assi in legno di pioppo con uno spessore medio di 4 cm. Ognuno dei cinque scomparti ha dimensioni diverse ed è stato ricavato dall’assemblaggio di un numero differenti di assi (da tre a cinque) eterogenee per larghezza e tipo di taglio. Esse sono state giuntate a spigolo vivo con l’inserimento lungo le linee di commettitura di tre cavicchi, assicurati nelle loro sedi con l’inserimento nello spessore delle assi di due perni lignei del diametro di circa 6 mm.
Questo accorgimento risulta abbastanza raro nella costruzione dei supporti lignei con elementi interni cilindrici quali i cavicchi, al contrario risulta essere stato utilizzato con maggiore frequenza per gli elementi di collegamento più ampi e a forma di parallelepipedo come le ranghette.
Nello scomparto di destra la commettitura centrale presenta, insieme ai tre cavicchi, anche tre ranghette e risulta l’unica commettitura trattata con questo doppio sistema di assemblaggio.
Tutti i pannelli recano sul retro traccia di un sistema di contenimento basato su due traverse scorrevoli a coda di rondine inserite lungo lo spessore del supporto, ciò ad eccezione del registro centrale dove era stata posta in origine una traversa in più. Esse erano state originariamente posizionate ad altezze diverse per ogni pannello in modo che non interferissero tra loro.
Le cinque tavole erano tenute insieme da quattro cavicchi, uno per ognuno dei margini di contatto dei singoli scomparti, come testimoniano i fori ritrovati in queste zone durante il restauro.
La struttura, così assemblata, è stata inserita all’interno di una cornice a cui è stata collegata per mezzo di quattro elementi in legno posti nel bordo superiore dei tre pannelli centrali: due per il pannello centrale e uno per ognuno dei due pannelli adiacenti.
Le indagini diagnostiche, esperite in occasione del recente restauro, hanno consentito di rilevare la tecnica esecutiva. Più in particolare, le analisi radiografiche escludono sia la presenza dell’incamottatura al di sotto degli strati preparatori sia l’impiego di fibre vegetali lungo le commettiture delle assi. L’indagine Ft-IR, condotta su due campioni, ha rilevato la prevalenza di gesso in forma anidra come carica minerale della preparazione. La sezione stratigrafica ha invece evidenziato la stesura della preparazione a base di gesso e colla animale in due mani successive senza una sostanziale differenza granulometrica tra i due strati. L’osservazione a microscopio della sezione stratigrafica ha inoltre consentito di individuare la presenza di uno strato sottile, circa 15 µm, di un’imprimitura a base di olio e bianco di piombo variamente intonato a seconda delle tonalità delle campiture cromatiche sovrastanti. L’impiego dell’imprimitura è abbastanza comune nella pittura su tavola del Cinquecento ed è descritta dallo stesso Vasari nelle sue Vite. Essa consentiva di saturare la superficie in modo da evitare l’eccessivo assorbimento del legante durante la stesura pittorica e di conferire un sottofondo cromatico agli strati pittorici sovrastanti. Tra l’imprimitura e la preparazione venivano solitamente stese più mani di colla animale che però nel caso dell’Ultima Cena risultano essere assenti probabilmente anche a causa dell’interazione del dipinto con l’acqua dell’alluvione del 1966.
La riflettografia IR ha evidenziato il disegno preparatorio del dipinto. Lo schema della composizione riproduce quasi fedelmente il disegno attualmente conservato allo Staatliche Graphische Sammlung di Monaco, utilizzato come linea guida per una versione ingrandita della composizione, probabilmente attraverso un cartone
Vasari riportò probabilmente prima le sagome delle figure da un cartone, e poi lo spazio architettonico intorno ad esse con delle incisioni. Queste ultime, rilevate con l’analisi radiografica, si interrompono infatti in prossimità dell’intersezione con le figure. Altre incisioni, di tipo circolare, si rilevano in corrispondenza di alcuni oggetti della mensa, come la bottiglia di vino tra le figure di San Pietro e Cristo e il bicchiere accanto a San Giovanni nello scomparto centrale, e sono state probabilmente realizzate con il compasso.
Gli strati pittorici consistono per la maggior parte in due stesure successive di spessori non molto elevati, generalmente inferiori a 50 µm. La campagna di indagini spettrometriche di fluorescenza ai raggi X effettuate su alcune campiture di colore confermano le indicazioni sul modo di dipingere che lo stesso Vasari riportava nelle Vite e nel primo capitolo del De la Pittura ovvero la distinzione in chiari, scuri e mezzi toni e l’uso di pigmenti puri usati in diverse gradazioni miscelandoli con bianco di piombo.
Nell’arco della sua storia conservativa l’opera è stata danneggiata più volte dalle alluvioni che interessarono la città di Firenze. È stato calcolato che dal 1500 al 1966 Firenze sia stata colpita almeno ventitré volte dalle esondazioni dell’Arno. L’inondazione del 1557 fu, insieme a quella del 1966, tra le più violente e arrivò probabilmente a sommergere l’intero dipinto. Le altre alluvioni furono invece più contenute e interessarono presumibilmente solo la parte inferiore della tavola. Per tali ragioni, già partire dalla fine del Cinquecento, l’Ultima Cena è stata soggetta a diversi interventi di restauro, come provano anche le scritte presenti nello scomparto centrale del dipinto. Esse testimoniano due interventi: il primo avvenuto nel 1593, il secondo eseguito nel 1718: Entrambi i restauri non furono documentati, ma presumibilmente dovevano essere legati ai danni causati dalle alluvioni del 1557 e del 1676. Successivamente, nel 1815, l’Opera di Santa Croce indisse un bando pubblico per scegliere i restauratori da impiegare nelle operazioni di restauro delle opere da essa custodite, affidando all’artista fiorentino Giovanni Francesco Corsi il restauro dell’Ultima Cena. Egli intervenne sia sul supporto che sulla superficie pittorica, ma non dovette risolvere a lungo i problemi conservativi dell’opera se nel 1819 il dipinto appariva «devastato da cattivi ritocchi antichi, tutto spaccato nelle commettiture». Nel 1956 si segnala un nuovo restauro, a cura del laboratorio del Gabinetto Restauri della Soprintendenza alle Gallerie di Firenze. Le poche informazioni sulle operazioni svolte, desumibili essenzialmente dalla documentazione fotografica, attestano la riparazione parziale delle sconnessioni e delle fessurazioni delle assi, la reintegrazione delle mancanze del supporto dovute all’erosione degli insetti xilofagi e la fermatura del colore della parte bassa del dipinto. È inoltre probabile che le traverse originali, avendo ormai perso la loro funzionalità, siano state in gran parte sostituite proprio in questo intervento con un sistema a gattelli inseriti in scassi praticati nello spessore del tavolato. I lavori di restauro si resero probabilmente necessari oltre che per le condizioni conservative cui la tavola versava, anche per la nuova collocazione che sarebbe stata data al dipinto nel 1959 all’interno delle sale Museo di Santa Croce. Lì essa rimase sino all’alluvione del 4 novembre 1966 quando fu completamente sommersa dall’acqua. È stato accertato che i cinque pannelli dell’Ultima Cena rimasero totalmente immersi nell’acqua per circa dodici ore. Oltre all’azione dannosa dell’acqua, essi furono sottoposti a quella dei depositi di fango e di nafta nonché allo sviluppo di muffe e funghi. A ciò si aggiunse il rischio di subire ulteriori perdite della pellicola pittorica associate alle deformazioni e al ritiro del supporto ligneo in fase di asciugatura. Per tali ragioni si decise di velinare la pellicola pittorica con fogli di carta di diversa tipologia e resina acrilica in soluzione (Paraloid B72). I pannelli furono poi staccati dalla parete e messi in piano nello stesso museo. Lo stazionamento provvisorio delle opere nel luogo in cui esse si trovavano al momento dell’alluvione era stato pianificato per evitare la brusca diminuzione dell’umidità interna del legno, ma anche per consentire di predisporre un locale più adatto a raccogliere i dipinti danneggiati dall’alluvione dove fosse possibile procedere ad una lenta e graduale asciugatura dei dipinti. L’allora Soprintendente Ugo Procacci insieme a Umberto Baldini decisero con l’Istituto Centrale di Pasquale Rotondi e Giovanni Urbani di ricoverare le opere danneggiate nei locali della Limonaia di Boboli dove vennero istallati gli impianti di climatizzazione per il controllo dei parametri termoigrometrici ambientali. I cinque pannelli furono quindi trasportati dal Museo alla Limonaia dove subirono un trattamento antimuffa preliminare. Privati delle traverse, essi furono sottoposti a piccoli interventi di recupero del livello tra le commettiture: La commissione di esperti ritenne che l’opera, rispetto alle altre più danneggiate, potesse attendere il vero e proprio restauro così da documentare e monitorare la situazione e il comportamento in relazione all’umidità del supporto ligneo che durante la permanenza alla Limonaia era scesa dal 116 % a valori compresi tra il 30 %. e 20 % circa. Nel 1967 il dipinto fu trasferito ai Laboratori della Fortezza da Basso dove fu inserito in una camera climatica per stabilizzarne l’umidità. Dopo esser stata spostata in diversi depositi della città di Firenze, l’opera è ritornata alla Fortezza nel 2004 per essere restaurata.
Al momento del restauro i cinque pannelli dell’Ultima Cena presentavano evidenti problemi strutturali legati ad un esteso attacco biologico da insetti xilofagi e all’interazione con l’acqua. Quest’ultima aveva determinato la solubilizzazione dell’adesivo impiegato per la giunzione delle assi in fase esecutiva, causandone la sconnessione o la separazione, e delle colle usate durante il restauro del 1956. La struttura del legno appariva inoltre fortemente indebolita a seguito del ciclo di rigonfiamento e ritiro durante il quale si erano formate fessurazioni passanti e vuoti, localizzabili soprattutto nelle zone in cui era presente il midollo, nonché deformazioni plastiche di diversa tipologia. In fase di asciugatura il substrato ligneo aveva subito inoltre un importante ritiro dimensionale con la conseguenza che la superficie degli strati pittorici appariva più ampia di quella del supporto.
Il deterioramento della parte lignea e l’interazione con l’acqua avevano inoltre determinato estesi sollevamenti della pellicola pittorica. La parte inferiore delle tavole mostrava fenomeni di degrado più marcati rispetto al resto dell’opera a causa delle alluvioni precedenti a quella del 1966 che probabilmente avevano sommerso l’opera solo parzialmente.
Il recente restauro ha consentito infine di rilevare un difetto costruttivo nel pannello centrale dove l’asse in cui è dipinta la figura di Cristo si mostrava nella parte superiore concava e in quella inferiore convessa causando il sollevamento e la contrazione delle porzioni di pellicola pittorica adiacenti.
La pellicola pittorica si presentava totalmente coperta dalle velinature protettive applicate subito dopo l’alluvione che, da una parte, avevano evitato la perdita del colore, ma, dall’altra, avevano fissato sulla superficie pittorica i depositi lasciati dall’acqua.
I fogli di carta adoperati per la velinatura mostravano grandezze e spessore diversi. Oltre alla carta giapponese, per motivi di urgenza e di difficoltà nel reperimento di materiali, erano stati infatti usati anche fazzoletti di Kleenex e fogli di carta velina A4 normalmente impiegati per produrre copie delle macchine da scrivere. Gli UV hanno evidenziato una disomogeneità nella stesura della resina dovuta al diverso spessore della carta, ma probabilmente anche all’accumulo di materiali organici presenti nell’acqua dell’alluvione. Erano inoltre presenti dei “ponticelli” di carta giapponese distribuiti soprattutto lungo le commettiture delle assi probabilmente messi in opera a protezione della stesura pittorica durante le fasi di asciugatura e ritiro del supporto
L’osservazione della superficie pittorica a luce visibile e radente, insieme allo studio della lastra radiografica, hanno evidenziato estesi ed accentuati sollevamenti della preparazione e del film pittorico.
La perdita di adesione nell’interfaccia tra i diversi strati del dipinto è dovuta essenzialmente all’interazione del legante proteico con l’acqua e ai movimenti di dilatazione e contrazione del supporto ligneo. In diversi punti l’indagine radiografica ha evidenziato la disgregazione della preparazione al di sotto del colore increspato, in altre zone gli strati preparatori apparivano staccati sia dal supporto che dalla stesura pittorica con un accumulo di materiale in delle sacche (zone di vuoto) adiacenti.
Nella fase di studio preliminare sono state rilevati diverse tipologie di sollevamenti a carico della preparazione-pellicola pittorica: a) sollevamenti a “bolla” dalla forma più arrotondata e di maggiore larghezza; b) sollevamenti a “cresta”, dalla forma cuspidata, più alti dei precedenti, ma di minore larghezza e maggiore lunghezza; c) “raggrinzimenti”. È stata inoltre notata un’accentuazione della crettatura nella parte inferiore del dipinto marcata da depositi di diversa natura. Queste alterazioni sembrano essere legate al degrado di precedenti alluvioni e dai materiali impiegati in vecchi interventi di restauro, probabilmente quello del 1956, oltre che all’assorbimento di nafta e di altro materiale organico durante l’esondazione del 1966.
L’intera superficie pittorica è interessata da fratture di varia natura localizzabili lungo le commettiture delle assi e in prossimità delle giunzioni dei fogli di carta usati per velinare, ma anche in corrispondenza delle perdite della preparazione e delle zone con un maggiore accumulo di Paraloid B72.
Sono stati infine rilevate diverse stuccature e integrazioni pittoriche risalenti a precedenti interventi di restauro.
L’intervento sull’Ultima Cena si è rivelato particolarmente impegnativo. Dopo una vasta serie di analisi e studi, tra cui anche due tesi di laurea della Scuola di Alta Formazione e Studio dell’OPD, è stato elaborato un progetto di restauro sulla base dei problemi e delle condizioni di conservazione dell’opera d’arte.
Dopo il fissaggio con colla di storione delle parti più precarie della pellicola pittorica, sono state progettate e modellate delle traverse provvisorie per poter facilitare lo spostamento dei cinque pannelli separati e lavorare, quando necessario, sul retro mantenendo i pannelli in verticale.
Il restauro è proseguito parallelamente sia sul fronte che sul retro, con una sinergia tra i restauratori del supporto ligneo e quelli della pellicola pittorica.
L’intervento di restauro relativo alla carpenteria lignea si è articolato nelle seguenti fasi: a) reintegrazione delle parti erose; b) risanamento del supporti, ricongiunzione delle assi sconnesse o separate e messa a livello dei margini; c) ripristino del sistema di traversatura originale; d) progettazione ed esecuzione di un nuovo sistema di incorniciatura e di protezione dei pannelli.
Il supporto ligneo, che presentava un marcato degrado per l’attività erosiva dei tarli, è stato consolidato con iniezioni localizzate di resina acrilica in soluzione a diverse concentrazioni (Paraloid B72 in etilacetato al 5% e al 7% ).
Il ricongiungimento di fratture e giunti disconnessi delle assi è stato effettuato incollando, lungo i loro bordi modificati, alcuni piccoli inserti in legno di pioppo a forma di cuneo. Per tale operazione è stato utilizzato un adesivo polivinilico. In alcuni casi, i bordi dei pannelli sono stati rettificati per mezzo di una elettro-fresatrice a punta conica, come nel pannello centrale: qui, nonostante la completa separazione dei pannelli, gli strati di pellicola pittorica erano ancora continui e ininterrotti in alcune aree. Le assi avevano anche subito un notevole restringimento dimensionale, ed era quindi necessario, dopo aver rimosso i perni di legno che fissavano i tasselli, distanziare leggermente le assi per ricreare la superficie sulla quale far riaderire il film pittorico increspato.
Gli altri quattro pannelli presentavano problemi per lo più simili a quelli della tavola centrale, tuttavia il supporto era interessato da una profonda erosione lungo le linee di commettitura con una netta separazione della pellicola pittorica tra i margini. Ciò ha reso possibile la separazione delle assi e il successivo consolidamento del legno con resina acrilica. I bordi deteriorati lacunosi sono stati risanati con delle reintegrazioni in legno. In tal modo è stato possibile far riaderire le assi disgiunte.
Sulla superficie dei cunei rivolta verso la pellicola pittorica è stato applicato un particolare stucco, costituito da una miscela di gesso, Arbocel BWW 40 e Klucel G in alcol etilico, con proprietà leggermente elastiche tali da ammortizzare i movimenti fra legno e strato preparatorio.
Si è poi intervenuti sul restauro del 1956: le tracce del risanamento praticate in quella occasione sono state colmate con più elementi in legno di pioppo a sezione triangolare in modo da frazionare le forze. Sono state successivamente rimosse le vecchie stuccature a colla e segatura per poi reintegrarle con piccoli tasselli lignei. Allo stesso modo si è proceduto nelle sedi dei gattelli.
Terminato il risanamento del supporto ligneo, è stato possibile ripristinare il sistema di contenimento originale a coda di rondine che era stato demolito probabilmente nell’intervento del 1956. I bordi obliqui delle tracce delle traverse sono stati ricostruiti con dei listelli in legno di pioppo vecchio garantendo una maggiore forza e stabilità delle sedi di alloggiamento. Le traverse sono state realizzate in legno di castagno (leggermente più flessibile) o in rovere (leggermente più rigido) a seconda delle necessità dei singoli pannelli. Le traverse sono costituite da due strati: il primo strato della traversa è stato sagomato seguendo la traccia a coda di rondine sul retro del pannello; il secondo strato, applicato sopra il primo, ha una funzione di controllo ed è stato fissato alla parte inferiore con sistemi di fissaggio elastici (viti e dispositivi a molla). Il sistema è stato quindi calibrato su ogni singolo pannello per accompagnare le sue specifiche necessità di deformazione. La traversa originale nel pannello di sinistra, che non fu rimossa durante l’intervento del 1956, è stata consolidata e rifunzionalizzata: essa è stata tagliata in due in senso longitudinale e riunita usando lo stesso dispositivo a molla delle traverse nuove.
L’intervento di restauro della pellicola pittorica è stato preceduto dall’indagine profilometrica, in collaborazione con il CNR-INO, per valutare l’entità dei sollevamenti e la differenza di superficie tra il supporto e gli strati sovrastanti. Il rilievo del profilo trasversale è stato effettuato sul secondo pannello da sinistra, ritenuto quello più rappresentativo del degrado, ed ha evidenziato una variazione tra la superficie del supporto e quella della corrispondente preparazione e pellicola pittorica di circa 6 mm nella parte alta e di 20, 72 mm nella parte bassa.
Nel 2006 sono state eseguite delle prove di solubilità del Paraloid B72 per la rimozione delle veline. Il primo approccio ha visto l’impiego di soluzioni enzimatiche addensate in gel rigidi per cercare di ridurre l’interazione della superficie pittorica con l’acqua. Tuttavia esso non ha fornito risultati soddisfacenti. Si è quindi proceduto con miscele di solventi, addensate in solvent gel, poi applicati mediante interposizione di fogli di carta giapponese. La solubilizzazione ha consentito l’estrazione della resina acrilica, ma anche di sfruttare la penetrazione della resina per consolidare degli strati preparatori e ottenere una prima fermatura del colore.
In alcune zone si è resa necessaria una pre-fermatura puntuale del film pittorico con colla di storione e applicazione di calore controllato con termocauterio. Lo stesso adesivo è stato adoperato a siringa in varie diluizioni per ripristinare l’adesione tra preparazione-supporto e preparazione colore. In seguito all’applicazione della colla la cresta è stata abbassata per poi essere stirata con termocauterio. Le aree trattate sono state quindi fatte asciugare sotto pressione.
Per le operazioni di fermatura nelle zone in cui la superficie legnosa sottostante era mancante a causa delle gallerie scavate dai tarli si è cercato di ridare continuità al supporto prima di riadagiare i sollevamenti iniettando un riempitivo a base di gesso, Arbocel BWW 40e Klucel G in alcol etilico
Sono poi state trattate le zone che presentavano delle mancanze a livello della preparazione distaccando le relative parti di pellicola pittorica e poi facendole riaderire su uno stucco a base di gesso anidro e colla di storione steso sul supporto fino ad arrivare al livello della preparazione autentica. Alla stessa maniera è stata trattata la zona del volto del Cristo nel pannello centrale che presentava particolari problemi deformativi del supporto e di sollevamento della pellicola pittorica. In questo caso prima della riadesione del colore è stata eliminata la porzione di midollo presente nel legno.
Dopo aver ripristinato la stabilità della pellicola pittorica sono stati eseguiti i test di pulitura per valutare la rimozione dei selettiva i materiali estranei alla superficie originale e i rifacimenti eseguiti in precedenti interventi di restauro. Le prove hanno consentito di mettere a punto la metodologia di pulitura basata su una miscela di solventi organici addensati in emulsione stearica. Conclusa la pulitura, si sono risarcite le lacune con un impasto a base di gesso e colla di pelli. Le lacune tra le commettiture sono state reintegrate prima con un riempitivo a base base di gesso, Arbocel BWW 40 e Klucel G in alcol etilico e poi stuccate alla stessa maniera delle lacune superficiali.
La reintegrazione pittorica è stata effettuata con la tecnica della selezione cromatica differenziata per le lacune, mentre le abrasioni sono state risarcite cromaticamente a imitazione dell’originale. Nelle lacune è stata applicata dapprima una base a tempera e successivamente realizzate le linee tratteggiate con i Gamblin Conservation Colors, dopo aver verniciato il dipinto, a pennello, con resina mastice in trementina. La vernice finale è stata applicata a spruzzo con resina sintetica Laropal A 81
Concluse le operazioni di restauro, è stato progettato e realizzato un sistema per poter ripresentare l’intera composizione modulare della rappresentazione. Il retro del telaio è stato provvisto di una chiusura con pannelli di compensato che conferisse, grazie anche all’inserimento di panetti di Art Sorb, una protezione dagli eventuali sbalzi termoigrometrici dell’ambiente espositivo. Da ultimo è stato posizionato un data logger sul retro delle tavole per il monitoraggio dell’opera.
Sezione successiva