Gaspero Martellini, Cristo che benedice i fanciulli, 1843, Spedale degli Innocenti, Loggiato, Firenze

  • : Intervento di restauro
  • Stato attività: concluso

Dati

Informazioni sull’attività

Informazioni sull’opera

Informazioni storico-descrittive

Tra la fine del Settecento e fino alla prima metà dell’Ottocento, la storia della produzione artistica è strettamente legata all’Accademia di Belle Arti cui si deve molto non solo perché luogo in cui venivano affidate le più disparate committenze, ma soprattutto per le indicazioni di stile fornite che determinarono un vero e proprio incontro dialettico con il gusto del tempo e, in alcuni casi, una contrapposizione tra fautori di un’estetica conservatrice e coloro che osteggiavano una simile visione appoggiando nuovi modelli di espressività.
Gaspero Martellini si forma proprio all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Allievo di Pietro Benvenuti, successivamente subisce il fascino della corrente purista di Lorenzo Bartolini (nominato nel 1812 professore onorario dell’Accademia) e di quella romantica, senza accogliere quest’ultima in modo totale.
La lunetta, oggetto dell’intervento di restauro, si trova sotto il porticato dello Spedale degli Innocenti. Quando il commissario dell’ospedale, l’architetto Federico Pasqui, decise nel 1843 di intervenire sull’intero edificio, Martellini si offrì disponibile, gratuitamente, per la realizzazione di un affresco. La sua proposta fu subito accettata proprio perché, in quanto allievo di Pietro Benvenuti, era già piuttosto conosciuto per aver lavorato a palazzo Pitti e a palazzo Borghese a Firenze.
Gaspero Martellini dipinse nella lunetta la scena del Sinite parvulos, cioè Gesù che benedice i fanciulli, ispirandosi al Vangelo di Marco. La scena si svolge in un esterno con un’ ambientazione classicheggiante sia per le architetture che per gli abiti dei personaggi.

Tecnica esecutiva

La pittura di Gaspero Martellini è stata eseguita in parte ad affresco e in gran parte a secco.
La Gascromatografia spettrometrica di massa (condotta da Alessia Andreotti del Dipartimento di Chimica dell’Università di Pisa LINK) ha rilevato la presenza come materiale proteico di uovo e di colla animale, quest’ultima probabilmente come parte del fissativo superficiale.
Per quanto riguarda gli strati preparatori sono presenti uno strato di arriccio e uno di intonaco più sottile. Quest’ultimo dalla consistenza ruvida poiché costituito da sabbia dalla granulometria grossolana.
Numerose sono le giornate visibili sull’intonaco, circa cinquantatré, che ci mostrano l’intenzione dell’artista di proseguire con la tecnica dell’affresco.
Il progetto grafico è stato trasferito sull’intonaco mediante la tecnica dello spolvero, ossia il disegno preliminare è stato bucherellato lungo i contorni e attraverso questi fori è stata fatta passare della polvere di carbone che ha lasciato traccia della puntinatura sulla superficie sottostante.
I pigmenti sono stati stesi sia ad affresco che a secco per riuscire a utilizzare tonalità diverse e più vicine come gusto alla pittura su tela. È stato possibile ricostruire la tavolozza utilizzata dal pittore grazie all’incrocio dei dati risultanti dalle sezioni stratigrafiche e dalle analisi FORS (che fornisce informazioni sulle proprietà ottiche del pigmento) e XRF (utile per identificare alcuni elementi costituenti i pigmenti minerali naturali e artificiali) effettuate. Si tratta di pigmenti “classici” utilizzati nella stesura dell’affresco, ossia terre e ocre, così come di pigmenti prodotti dall’industria chimica del tempo come ossido di Cromo (1809) e verde di Schweinfurt (1814).

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