Il cantiere di restauro della lunetta dipinta da Gaspero Martellini, raffigurante Sinite parvulos, situata presso il Loggiato dell’Istituto degli Innocenti in Piazza Santissima Annunziata, è cominciato nel maggio 2009 in relazione allo svolgimento di una tesi di diploma della Scuola di Alta Formazione dell’Opificio delle Pietre Dure. La tesi di Irene Biadaioli dal titolo La lunetta del Sinite Parvulos di Gaspero Martellini (1785-1857), Spedale degli Innocenti, Firenze. Un caso esemplificativo di pittura murale ottocentesca: analisi dello stato di conservazione, studio della tecnica artistica, intervento di restauro (relatori: Cecilia Frosinini, Carlo Galliano Lalli e Mariarosa Lanfranchi) discussa nel dicembre 2009, è stata volta allo studio della storia conservativa dell’opera, nonché alla sua tecnica esecutiva e allo stato di degrado per verificare l’applicazione di varie metodologie per il recupero dell’opera, il suo consolidamento e per migliorarne la leggibilità. L’intervento di restauro si è concluso nell’aprile del 2011.
Opificio delle Pietre Dure:
Cristina Acidini (soprintendente ad interim), Cecilia Frosinini (direttore del restauro), Marco Ciatti (vice-direttore), Mariarosa Lanfranchi (direttore tecnico), Irene Biadaioli (restauratrice ex-allieva diplomata) con la collaborazione di Faberestauro S.n.c. (nelle persone di Cristiana Todaro e Sara Penoni); responsabile della sicurezza, ing. Pietro Capone.
Indagini scientifiche: Carlo Galliano Lalli e Federica Innocenti (Laboratorio Scientifico dell’OPD) per le indagini stratigrafiche al microscopio ottico e al microscopio elettronico a scansione; Alessandro Migliori (Dipartimento di Fisica dell’Università di Firenze) per XRF; Gruppo di Spettroscopia in riflettanza a fibre ottiche (FORS) costituito da: Lara Boselli, Marcello Picollo, Bruno Radicati; Alessia Andreotti (Dipartimento di Chimica dell’Università di Pisa) per la Gascromatografia con spettrometria di massa; Andrea Fratini per l’analisi microscopica della malta.
Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico per le province di Firenze, Prato e Pistoia:
Cristina Acidini (soprintendente), Brunella Teodori (funzionario di zona).
Spedale degli Innocenti:
Eleonora Mazzocchi ( conservatore del MUDI, Museo degli Innocenti), Stefano Filipponi (coordinatore del MUDI – Museo degli Innocenti), Arch. Marco Malena (responsabile Servizio Patrimonio), Riccardo Turchetti (responsabile della sicurezza).
Rendering delle immagini digitali: Massimo Chimenti (Culturanuova srl)
Tra la fine del Settecento e fino alla prima metà dell’Ottocento, la storia della produzione artistica è strettamente legata all’Accademia di Belle Arti cui si deve molto non solo perché luogo in cui venivano affidate le più disparate committenze, ma soprattutto per le indicazioni di stile fornite che determinarono un vero e proprio incontro dialettico con il gusto del tempo e, in alcuni casi, una contrapposizione tra fautori di un’estetica conservatrice e coloro che osteggiavano una simile visione appoggiando nuovi modelli di espressività.
Gaspero Martellini si forma proprio all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Allievo di Pietro Benvenuti, successivamente subisce il fascino della corrente purista di Lorenzo Bartolini (nominato nel 1812 professore onorario dell’Accademia) e di quella romantica, senza accogliere quest’ultima in modo totale.
La lunetta, oggetto dell’intervento di restauro, si trova sotto il porticato dello Spedale degli Innocenti. Quando il commissario dell’ospedale, l’architetto Federico Pasqui, decise nel 1843 di intervenire sull’intero edificio, Martellini si offrì disponibile, gratuitamente, per la realizzazione di un affresco. La sua proposta fu subito accettata proprio perché, in quanto allievo di Pietro Benvenuti, era già piuttosto conosciuto per aver lavorato a palazzo Pitti e a palazzo Borghese a Firenze.
Gaspero Martellini dipinse nella lunetta la scena del Sinite parvulos, cioè Gesù che benedice i fanciulli, ispirandosi al Vangelo di Marco. La scena si svolge in un esterno con un’ ambientazione classicheggiante sia per le architetture che per gli abiti dei personaggi.
La pittura di Gaspero Martellini è stata eseguita in parte ad affresco e in gran parte a secco.
La Gascromatografia spettrometrica di massa (condotta da Alessia Andreotti del Dipartimento di Chimica dell’Università di Pisa LINK) ha rilevato la presenza come materiale proteico di uovo e di colla animale, quest’ultima probabilmente come parte del fissativo superficiale.
Per quanto riguarda gli strati preparatori sono presenti uno strato di arriccio e uno di intonaco più sottile. Quest’ultimo dalla consistenza ruvida poiché costituito da sabbia dalla granulometria grossolana.
Numerose sono le giornate visibili sull’intonaco, circa cinquantatré, che ci mostrano l’intenzione dell’artista di proseguire con la tecnica dell’affresco.
Il progetto grafico è stato trasferito sull’intonaco mediante la tecnica dello spolvero, ossia il disegno preliminare è stato bucherellato lungo i contorni e attraverso questi fori è stata fatta passare della polvere di carbone che ha lasciato traccia della puntinatura sulla superficie sottostante.
I pigmenti sono stati stesi sia ad affresco che a secco per riuscire a utilizzare tonalità diverse e più vicine come gusto alla pittura su tela. È stato possibile ricostruire la tavolozza utilizzata dal pittore grazie all’incrocio dei dati risultanti dalle sezioni stratigrafiche e dalle analisi FORS (che fornisce informazioni sulle proprietà ottiche del pigmento) e XRF (utile per identificare alcuni elementi costituenti i pigmenti minerali naturali e artificiali) effettuate. Si tratta di pigmenti “classici” utilizzati nella stesura dell’affresco, ossia terre e ocre, così come di pigmenti prodotti dall’industria chimica del tempo come ossido di Cromo (1809) e verde di Schweinfurt (1814).
Si ipotizza che gli interventi di restauro precedenti siano stati due: nel 1895 ad opera di Dario Chini e nel 1933 con Amedeo Benini, entrambi chiamati a consolidare altre pitture murali del loggiato dell’Istituto degli Innocenti e che probabilmente intervennero anche sull’affresco di Martellini.
La stessa tecnica a secco adoperata dall’artista non ha consentito una buona conservazione dell’affresco poiché si è verificata perdita di colore, esfoliazione e polverizzazione. Rispetto alla tecnica ad affresco, quella a secco offre da un lato la possibilità di usare una gamma cromatica più vasta, ma dall’altro con il tempo vi è la concreta possibilità di distacchi della pellicola pittorica poiché, lavorando su intonaco asciutto, viene meno il processo di carbonatazione che lega indissolubilmente il supporto al pigmento.
L’affresco di Gaspero Martellini era in precario stato di conservazione provocato da diversi fattori quali agenti inquinanti, cambiamenti di temperatura e umidità che danneggiano la pittura in esterno.
In particolare presentava numerose problematiche di degrado tra loro connesse:
La prima azione compiuta è stata la messa in sicurezza dell’intera pittura in primis per salvaguardare lo strato preparatorio. La superficie dipinta è stata interessata da un preconsolidamento con caseinato di ammonio, dal ricollocamento e riadesione delle scaglie di colore sollevate con l’uso di una resina acrilica. Successivamente sono state effettuate delle prove di pulitura in diverse zone dell’affresco per differenziare l’intervento nelle varie aree.
È stato rimosso il deposito superficiale di polvere e particellato atmosferico nonché le ridipinture di epoca tarda. Molto difficile è stata la rimozione del fissativo superficiale che, mescolato a polveri e sostanze inquinanti, era divenuto molto resistente. Il fissativo, infatti, rendeva complicata la sua stessa rimozione sulle zone stese a secco, più deboli strutturalmente.
Le fessure e le lacune sono state stuccate e, per donare compattezza alla superficie, è stata eseguita la fase finale del consolidamento della pellicola pittorica con idrossido di bario.
Il ritocco pittorico è stato l’ultimo intervento effettuato per integrare le parti della superficie stuccate e abrase mediante l’uso di terre e ossidi. Le nuove stuccature sono state trattate per mezzo della selezione cromatica, ossia un’integrazione pittorica eseguita accostando tra loro, mediante tratteggio, i colori puri; le abrasioni, invece, mediante l’uso dell’abbassamento di tono per mezzo di velature poco coprenti. Entrambi gli interventi devono essere visibili da vicino per permettere la distinzione tra originale e restauro, ma è necessario che siano mimetici da lontano per mantenere un’integrità visiva all’occhio dell’osservatore.
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