Una lunga fase di ricerca, studio e sperimentazione ha reso possibile il recupero dei valori storici ed estetici dell’unica opera nota di Andrea Pucci Sardi, orafo empolese
Il lungo fregio smaltato fu realizzato dall’orafo empolese Andrea Pucci Sardi, come testimonia la scritta presente nei cartigli retti dal primo e dall’ultimo dei profeti. Pur non essendo a conoscenza, al momento, di altre opere eseguite dall’orafo, la qualità artistica del fregio testimonia che doveva essere un artista di valore rilevante. Dal libro degli Ufficiali dell’Arte di Calimala relativo agli anni 1313-1320, si ricava che fu acquistato nel 1313 per ornare l’antico altare del Battistero fiorentino, assumendo verosimilmente una funzione simile a quella di una predella o di un gradino. A prescindere dalla sua esatta collocazione, il fregio risulta estremamente significativo dal punto di vista tipologico e stilistico. Esso costituisce una preziosa testimonianza della produzione orafa fiorentina con smalti nella Firenze di primo Trecento. Forte è inoltre il suo rapporto con la coeva pittura di stampo giottesco e il suo aspetto ricorda quello di un minuscolo polittico sviluppato in senso orizzontale. L’orafo ha infatti riproposto una struttura simile a quella del Polittico di Badia di Giotto, oggi alla Galleria degli Uffizi, databile al 1300 circa. Dopo la demolizione dell’antico altare del Battistero, nel primo quarto del Settecento, il fregio venne portato presso il lebbrosario di Sant’Eusebio. Successivamente, venne trasferito all’Ospedale di Santa Maria Nuova, da dove passò al Museo di San Marco, per poi giungere al Museo Nazionale del Bargello.
L’opera è composta da trentaquattro placche raffiguranti santi e profeti, ognuno inserito in uno spazio delimitato da un timpano gattonato e colonne tortili con capitelli e guglie. Da tempo immemore, il fregio risulta mancante di una intera placca, la ventottesima da sinistra. Gli elementi architettonici, come le colonne tortili con capitelli, timpani gotici gattonati e guglie, sono ottenuti per fusione di bronzo e dorati ad amalgama di mercurio. Le placche raffiguranti i santi e profeti a mezzo busto e le placche decorate da volatili, posizionate al di sopra dei timpani gattonati, sono state realizzate in lamina di rame incisa a bulino e a ciappola e smaltate con la tecnica champlevé. Le paste vitree utilizzate sono del tipo opaco, di colore blu, rosso e turchese. Le parti risparmiate dagli smalti sono state dorate, sempre con la tecnica ad amalgama di mercurio. All’interno delle specchiature rettangolari posizionate in alto e in basso, sono stati fissati corallini e piccole formelle quadrilobate configuranti la forma di un fiore quadripetalo, smaltate anch’esse a champlevé.
La maggior parte degli elementi costituenti l’opera rifletteva una condizione caratterizzata da una esistenza complessa. Le cause del degrado sono da attribuirsi all’usura e alle manomissioni avvenute nel corso dei secoli, soprattutto legate ai numerosi spostamenti in vari luoghi della città, con conseguenti adattamenti. Lo smalto è largamente caduto in quasi tutte le placchette con i volatili, sono andati perduti anche numerosi corallini e ventitré delle originali centotrentasei piccole formelle quadrilobate. Manca totalmente un intero elemento del fregio, anche se non sappiamo quando sia avvenuta la perdita. Alcuni elementi, colonne tortili, guglie e arcate sono di integrazione, probabilmente inserite durante il restauro del 1915. Nel 1985 il fregio è stato nuovamente restaurato dalla ditta Morigi, che ha rimosso un elemento in cuoio, sul quale erano fissate le placche, sostituendolo con un nuovo supporto in legno multistrato e ha provveduto al fissaggio con chiodi in ottone.
La complessità della storia conservativa del fregio e la previsione di una nuova esposizione dell’opera all’interno di una vetrina dedicata hanno dato l’avvio a studi e ricerche, anche di carattere innovativo. Tra i principali argomenti di approfondimento, che hanno caratterizzato l’intervento conservativo, sono state degne di nota le stimolanti riflessioni metodologiche sui criteri di trattamento delle già esistenti integrazioni delle lacune, il loro rapporto con le nuove necessità integrative e la scelta di creare un nuovo supporto. Il progetto conservativo si proponeva, infatti, lo smontaggio totale dell’opera, allo scopo di effettuare l’accurata rimozione del protettivo superficiale ormai degradato e l’asportazione dei prodotti di corrosione della lega in rame. Inoltre, avrebbe permesso la sostituzione del supporto in legno compensato, come richiesto dalla committenza, al fine di predisporne uno nuovo nell’ottica di un rinnovato allestimento museale e di una maggiore compatibilità tra i materiali. La presenza del legno, soprattutto all’interno delle vetrine, contribuisce infatti all’alterazione del rame e degli smalti, a causa dell’effetto nocivo di gas acidi emanati dalla materia anche a lunga distanza di tempo. La predisposizione di un supporto progettato su misura, con materiale tecnologicamente avanzato, avrebbe consentito inoltre il rimontaggio degli elementi con l’applicazione di minori sollecitazioni meccaniche, potenzialmente dannose per le delicate placche smaltate, rispetto a quelle prodotte dalla chiodatura su legno, prevista dal precedente montaggio. Sono stati previsti altri interventi correttivi per mitigare gli effetti estetici delle lacune, quali l’integrazione della ventottesima placca smaltata mancante e della doratura sugli elementi architettonici di vecchio restauro, eseguito in ottone patinato, al fine di ottenere una lettura omogenea dell’opera.
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