Francesco di Valdambrino, Santo Stefano, 1409 ca., Museo della Collegiata di Sant’Andrea, Empoli

  • : Intervento di restauro
  • Stato attività: concluso

Dati

Informazioni sull’attività

Informazioni sull’opera

Informazioni storico-descrittive

La scultura è stata ricondotta a Francesco di Valdambrino per la prima volta da Carlo Ludovico Ragghianti nel 1960. Tale attribuzione viene accolta da Enzo Carli e da Carlo del Bravo, che mette il bel volto del Santo Stefano sul frontespizio del suo volume “La scultura senese del quattrocento”. Oggi la critica è concorde nell’attribuzione dell’opera a Valdambrino e Cristina Gnoni Maravelli propone una datazione intorno al 1409, avvicinandola ai santi patroni di Siena nella scheda per il catalogo della Mostra “La Primavera del Rinascimento. La scultura e le arti a Firenze 1400-1460”, tenutasi a Palazzo Strozzi nel 2013. Il Santo Stefano è caratterizzato da un pregevole intaglio e da una raffinata policromia. Il volto pallido, con le guance appena rosate, è incorniciato dai capelli lumeggiati d’oro. Indossa una dalmatica rossa impreziosita da fasce auree con elaborate punzonature ed è collocato nello spazio circostante in maniera piuttosto naturalistica, con un movimento appena accennato del corpo.

Tecnica esecutiva

Caratteristiche costruttive
Il Santo Stefano è stato intagliato da un unico tronco in legno di pioppo al quale sono stati aggiunti solo la mano destra, scolpita separatamente e successivamente assemblata, e una ciocca di capelli. La scultura è svuotata internamente fino all’altezza delle spalle, tramite un taglio verticale sul retro dell’opera, per limitare la formazione di spacchi radiali dovuti al ritiro del legno. Dalla radiografia si evidenzia la presenza di chiodi impiegati per ricongiungere le due parti (fronte e retro) e la presenza di strisce di tela, stese lungo i bordi perimetrali del taglio, per limitare eventuali ripercussioni sulla stuccatura, così come sui difetti del legno (nodi, fenditure).

La preparazione e la policromia
Dalle indagini stratigrafiche sul legno è presente una notevole quantità di colla animale stesa prima della preparazione, realizzata con colla animale e gesso di Bologna e applicata in due seguenti stesure: con gesso grosso e poi con gesso sottile, con variazioni di spessore a seconda delle zone. Il santo indossa la dalmatica di colore rosso, composto da minio come substrato, vermiglione e lacca rossa. Di quest’ultima, ormai quasi perduta, si sono trovate poche tracce. Il camice bianco, sotto la dalmatica, è costituito da bianco di piombo con tracce di nero carbone. La dalmatica reca decorazioni di oro in foglia su bolo rosso, arricchite da fini ed elaborate punzonature. Anche i capelli sono ripresi da leggere lumeggiature in oro applicato a missione. I carnati sono costituiti, come usuale, da bianco di piombo e rari granuli di vermiglione. La colorazione verde della base è invece determinata da bianco di piombo, malachite e granuli di verde rame, così come l’interno della dalmatica, che presenta però notevoli ridipinture. Infine, il libro, retto dalla mano sinistra del santo, è dipinto in azzurrite, oggi notevolmente consunta. La tavolozza ci dà ragione di pensare a una commissione prestigiosa che non badava a spese dato l’utilizzo ampio e sistematico di pigmenti molto preziosi, anche per zone meno “nobili”, e di oro in notevole quantità. Inoltre, la fine punzonatura della dalmatica ci parla di una bottega di doratore estremamente raffinata.

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