
Il rilievo in terracotta, attribuito in un recente studio a Donatello (L. Sbaraglio, 2012), rappresenta la Vergine Maria con in seno il piccolo Gesù, ritratti a mezzo busto e protetti da due angioletti posti ai lati della composizione, realizzati nel tipico stile “stiacciato” che caratterizza i rilievi dell’artista fiorentino. Maria avvolge il Bimbo nel suo manto, sorreggendolo con il braccio sinistro e cingendo affettuosamente un piedino con la mano destra. Purtroppo, il modellato delle braccia della Vergine e delle gambine di Gesù è andato in gran parte perduto. Il velo di Maria è impreziosito da una bordura adorna di cherubini in bassorilievo.
L’opera era interessata da fenomeni di degrado di duplice natura, che chiamiamo intrinseci quando sono riferibili alla fabbricazione stessa dell’opera e ai meccanismi propri di degrado della terracotta posta in esterno ed estrinseci, se relativi alle conseguenze di interventi antropici.
Le cause intrinseche e i conseguenti danni sull’opera sono: percolazione d’acqua; gelivazione; attacchi biologici; esposizione ai venti; esposizione ai raggi ultravioletti; esposizione agli agenti inquinanti. Tali fenomeni hanno generato distacchi, polverizzazione, lesioni, rotture, perdita di materiale, rigonfiamenti, esfoliazioni, alterazioni cromatiche della superficie. Gli interventi antropici riguardano invece consolidamenti non idonei, trattamento con siliconi e distaccanti untuosi, ricostruzioni del modellato arbitrarie.
L’opera, delle dimensioni di 80 X 60 cm, per un massimo spessore di 15 cm, al suo arrivo in laboratorio si trovava in pessimo stato conservativo. Il bassorilievo fu dislocato da un ambiente protetto, all’interno della chiesa di Santa Trinita a Firenze, al lato nord del campanile, eretto sul tetto della chiesa dai padri vallombrosani nel XIX secolo. L’esposizione agli agenti atmosferici per due secoli ha causato la perdita totale di cromia e gran parte del modellato. La presenza di una piccola tettoia, però, ha fortunatamente salvaguardato la parte superiore del soggetto, permettendo ancora una buona lettura dei volti. Erano presenti rari residui di bianco, in parte coperti da croste nere e tracce di doratura sui capelli del Bambino e sull’angioletto alla sua destra. Sulla finitura cromatica originale sono state avanzate varie ipotesi, tra cui la più convincente, a fronte delle indagini diagnostiche svolte dal Laboratorio Scientifico dell’Opificio delle Pietre Dure, sembra essere quella che vede il rilievo patinato a finto marmo e con lumeggiature e dettagli dorati a missione. Dalle indagini XRF infatti, non emergono tracce di colore: tutti i residui individuati sono stati analizzati e ognuno è fortemente caratterizzato dalla presenza di piombo, il che fa supporre che l’opera fosse dipinta con della biacca, probabilmente a imitazione del marmo. Sono stati esaminati anche due piccoli frammenti di foglia d’oro che risultano applicati a missione oleosa, su uno strato contenente anch’esso piombo. L’unico colore presente, rilevato per mezzo di Spettrofotometria FT-IR, è una traccia di blu di Prussia, da cui si può dedurre che l’opera sia stata policromata dopo il 17004. Il corpo ceramico era fortemente decoeso; Osservando l’opera dal retro, si vede bene come la terracotta fosse degradata nella tipica formazione di scaglie e bolle pulverulente (tipo di degrado conseguente al fenomeno di gelo-disgelo), concentrate soprattutto nella parte inferiore, mentre era abbastanza compatta nella metà superiore. La parte rimasta integra era coperta da uno strato gesso e ossalati da degradazione di materiale organico5 che rendevano la superficie nerastra.
Nel 2004, in seguito a lavori di risanamento strutturale del tetto, l’opera era stata smurata dal retro, accedendo dal vano interno al campanile. In quell’occasione fu realizzato un calco diretto sull’opera per sostituire l’originale e fu eseguito un intervento di consolidamento e stuccatura, propedeutico alle operazioni di formatura. Tali interventi, la cui metodologia è, secondo molti aspetti, inadeguata, hanno compromesso le condizioni già precarie dell’opera, oltre ad ostacolare le operazioni necessarie di consolidamento. Le conseguenze di tale intervento sono:
1. Diffusione all’interno del corpo ceramico di una massiccia quantità di composto acrilico, inadatto alle caratteristiche conservative dell’opera
2. Consolidamento dello strato di sporco e delle croste nere sulla superficie
3. Alterazione del colore e del modellato originali della terracotta
4. Intralcio alle necessarie operazioni di consolidamento e restauro
La prima fase ha riguardato la rimozione dello strato di resina presente sul retro del rilievo.
L’operazione necessaria era quella di solubilizzare la resina acrilica e assorbirla immediatamente per scongiurare l’ulteriore penetrazione nel corpo ceramico.
Anche sul fronte dell’opera abbiamo realizzato lo stesso intervento di solubilizzazione e assorbimento delle resine presenti.
Mano a mano che si proseguiva nella solubilizzazione dell’aggregante e nell’asportazione dello stucco, le lamelle di terracotta si staccavano dal supporto, perciò, durante la pulitura, si è provveduto a fermarle nella corretta posizione con cerottini chirurgici Steri-Strip.
Purtroppo non è stato possibile rimuovere la resina nella sua totalità, ma nella misura sufficiente per permettere la penetrazione del consolidante fino allo strato sano della terracotta.
Si è scelto di consolidare l’opera con il silicato di etile che, avendo come sottoprodotto di reazione alcool etilico, è in grado di solubilizzare l’esigua quantità di vinile rimante e penetrare in profondità.
Al termine della reazione chimica, il corpo ceramico risultava finalmente compatto, consistente e resistente alla lama del bisturi che prima penetrava con facilità per tutta la sua lunghezza. Le rotture e le fratture sono state infine incollate con elastomero fluorurato Fluormet A applicato per iniezione.
Stuccatura e ricostruzioni materiche
Per questa delicata fase di intervento ci siamo orientati su un materiale che fosse molto leggero ed elastico e che fosse facile da carteggiare e levigare una volta polimerizzato. A seguito di recenti esperienze di laboratorio, la nostra scelta si è accordata sulla resina Volume prodotta da Maiemeri, una pasta acrilica per modellare, che può essere caricata con inerti fino al raggiungimento del tono e della granulometria dell’originale (nel nostro caso si è scelto un sottotono per poter terminare l’intervento con il ritocco pittorico). Il risultato è un brano scultoreo che ha riacquistato la sua dignità storica ed artistica e, finalmente, è ben leggibile nonostante l’avanzato stato di degrado. Tutte le integrazioni materiche sono state ritoccate pittoricamente con colori ad acquerello secondo il metodo del puntinato. Infine la superficie è stata protetta con un film di resina alifatica.
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