
L’intervento, avviato nel luglio 2011, ha avuto come obiettivo la stabilizzazione dell’intera superficie dell’arazzo, sfruttando i supporti di lino già preparati e tinti di giallo nei primi anni ottanta, al fine di ottenere un supporto totale.
Restauratori: intervento 1977-1990: Alfredo Clignon e Gianna Bacci; intervento 2011-2014: Gianna Bacci, Patrizia Vaggelli, Alice Papi e Costanza Albi per la tessitura delle nuove cimose e collaborazione alla foderatura
Collaboratori: intervento 1977-1990: Laura Määttä Niccolai, Costanza Perrone Da Zara, Carla Molin Pradel, Annamaria Morassutti, Annamaria Prokopowicz (allieve Opd); intervento 2011-2014: Beatrice Campanella (stage)
L’arazzo fa parte di una delle più prestigiose serie di panni della collezione medicea, I Mesi, i cui cartoni furono realizzati da Francesco Ubertini detto Bachiacca; gli arazzi furono tessuti dall’arazziere Giovanni Rost prima del 1553.
Si tratta di una serie di arazzi stilisticamente unica nei materiali: i panni sono, infatti, realizzati completamente in seta e filati metallici. La seta è il materiale costitutivo anche dell’ordito, caratteristica che rende la serie particolarmente preziosa, essendo una fibra raramente impiegata come ordito. La riduzione media in ordito è di 11 fili al centimetro, quella in trama di 20 passate al centimetro.
Nei primi anni Settanta del Novecento l’arazzo fu ritirato dalle Gallerie degli Uffizi, dove era esposto con gli altri tre arazzi della serie nella Prima Galleria, dal restauratore Alfredo Clignon e da quella data rimase in deposito presso il laboratorio di restauro della Vecchia Posta.
Nel 1977 fu intrapreso l’intervento di restauro e furono eseguite le prime operazioni, come la rimozione della fodera e dei rammendi, cui seguì la pulitura per immersione. Successivamente fu iniziato il consolidamento della struttura tessile secondo il metodo integrativo eseguito su supporto di cotone, con il sistema in uso all’epoca per il restauro degli arazzi in seta. In seguito, il procedimento fu variato pur rimanendo nell’ambito del restauro integrativo: fu infatti scelto un diverso tipo di materiale per il supporto, il lino tinto di giallo, cioè intonato alla cromia degli orditi. I supporti furono applicati solo localmente e furono sfruttate le nuove tecniche operative nel campo del restauro integrativo, da poco messe a punto nel laboratorio dell’Opificio: in un caso si tratta della “trama allargata”, con la quale il collegamento strutturale viene raggiunto impiegando un numero di trame di restauro inferiore rispetto a quelle originali; in altri casi furono applicate le regole delle nuove tecniche di “astrazione” e “selezione cromatica”. La prima tecnica non diede i risultati sperati e fu abbandonata in favore della “selezione cromatica”, cui fu dedicata una lunga sperimentazione. Il restauro dell’arazzo fu sospeso agli inizi degli anni Ottanta dopo aver completato circa 30 centimetri della bordura destra, per tutta l’altezza dell’arazzo (263 cm).
A luglio del 2011 l’intervento è stato ripreso con l’obiettivo di stabilizzare l’intera superficie dell’arazzo, sfruttando i supporti di lino già preparati e tinti di giallo nei primi anni ottanta, al fine di ottenere un supporto totale. Gli orditi e le trame slegate sono stati consolidati al supporto secondo i criteri del restauro cosiddetto “conservativo”, senza integrare le lacune. Il mancato risarcimento cromatico delle lacune è il motivo per cui l’arazzo ha una forte predominante cromatica gialla. La fodera e il sistema di sospensione dell’arazzo, viste le sue condizioni conservative, sono state progettate per essere fisse e non rimovibili, come normalmente avviene sulle opere destinate ad un lungo periodo di deposito. Il sistema di sospensione ha previsto l’applicazione di una tasca in tessuto esterna al lato orizzontale superiore, nella quale inserire un’asta metallica necessaria per l’esposizione in verticale dell’arazzo: tramite piccole calamite foderate, l’asta metallica aderirà all’asta preventivamente allestita nella sede espositiva.
La stabilizzazione dell’intreccio originale ha reso l’opera nuovamente fruibile nella speranza che, se si creeranno le condizioni economiche idonee, potrà essere ripreso e completato secondo i criteri consolidati del restauro integrativo, senza dover rimuovere gli interventi fin qui realizzati.
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