
Il restauro, iniziato nell’aprile 2008, è stato guidato dal principio del “minimo intervento”, sviluppato con l’obiettivo di ricercare un equilibrio tra il consolidamento della struttura, il completamento estetico dell’opera e il rispetto verso la precaria condizione conservativa dei materiali costituenti.
Restauratori: Federica Favaloro (allieva SAFS-OPD) sotto l’assistenza alla docenza di Laura Bertuzzi
La Crocifissione con episodi della passione è un arazzo del primo quarto del XVI secolo di manifattura bruxellese. L’arazzo della Crocifissione, raffinato esempio della maestria degli artisti fiamminghi, è documentato nella città di Forlì, presso il convento di S. Agostino, a partire dal 1525 e fa parte delle collezioni civiche del Comune di Forlì dal 1836. Il panno si lega stilisticamente alla scuola di Rogier van der Weyden e si collega alla serie della Passione conservata a Trento (Museo Diocesano Tridentino) e ad altri esemplari esistenti in Europa che fanno capo ai medesimi cartoni preparatori, ideati probabilmente all’inizio del ‘500. La presenza di riferimenti alle incisioni di Albrecht Dürer (1511), in particolare la scenetta in alto a sinistra, ci permette di limitare il periodo di nascita dell’opera che sicuramente venne prodotta tra 1511 e 1525.
La maestria con la quale l’opera è stata realizzata, la sensibilità con la quale sono stati impiegati gli elementi tecnici, i materiali e i colori, hanno fatto ipotizzare un’origine di eccellenza all’interno della manifattura di Pieter van Aelst, la più prestigiosa a Bruxelles nel primo trentennio del ‘500. L’incredibile ricchezza di particolari, la dettagliata narrazione del paesaggio sullo sfondo, la notevole forza espressiva dei volti e la descrizione dello sfarzoso corteo sono creati grazie alla sapiente giustapposizione dei materiali, colpisce infatti l’uso di fili di seta vivacemente colorati e dei filati metallici che definiscono le superfici colpite direttamente dalla luce.
Le peculiarità tecniche e materiche riscontrate durante una prima fase conoscitiva effettuata attraverso indagini scientifiche dell’arazzo, sia di tipo non invasivo che di tipo micro-invasivo, hanno mostrato il bisogno di un approccio di intervento “personalizzato”, cioè mirato ad un’opera dalle ambigue caratteristiche conservative: l’apparente unità strutturale si contrapponeva infatti ad una pericolosa fragilità delle fibre tessili a livello microscopico.
L’opera è stata esposta continuativamente all’interno della Pinacoteca Civica di Forlì dal 1836 ad oggi. L’accumularsi della polvere sulla sua superficie e le reazioni con gli agenti inquinanti dell’aria avevano gravemente irrigidito e inaridito le fibre tessili fino a rendere difficile e rischiosa ogni movimentazione. Il sistema espositivo ottocentesco che fissava l’arazzo ad un telaio per mezzo di chiodi, aveva determinato gravi danni a carico delle zone perimetrali: parte delle bordure erano state ripiegate su se stesse per contenere le dimensioni dell’arazzo, mentre i chiodi usati nel sistema espositivo avevano causato innumerevoli lacerazioni nel tessuto e moltissime piccole macchie di ruggine. Gli angoli in alto e l’intero lato orizzontale inferiore erano totalmente mancanti. L’esposizione continua aveva prodotto anche il degrado dei coloranti naturali utilizzati per la tintura dei filati determinando un accentuato abbassamento della scala cromatica e il viraggio di alcuni toni. Alcune patine scure ricoprivano interamente le zone tessute con filato metallico.
Il restauro è iniziato nell’aprile 2008 come tesi di diploma di Federica Favaloro allieva della Scuola di Alta Formazione dell’Opificio e si è concluso, con il contributo del Rotary Club Firenze Certosa, nel luglio 2009. L’iter operativo è stato guidato dal principio del “minimo intervento”, sviluppato con l’obiettivo di ricercare un equilibrio tra il consolidamento della struttura, il completamento estetico dell’opera e il rispetto verso la precaria condizione conservativa dei materiali costituenti.
In quest’ottica, è stato messo a punto un percorso operativo nuovo, pur fedele, all’indirizzo metodologico dell’Istituto, in cui le modifiche al sistema di lavaggio e soprattutto la creazione di una tecnica sperimentale per il consolidamento strutturale hanno permesso il recupero, la conservazione e la trasmissione dei valori artistici di cui l’opera è portatrice.
Per evitare qualsiasi indebolimento della struttura tessile è stato realizzato un sistema di lavaggio dalle tempistiche notevolmente ridotte, con l’obiettivo di restituire idratazione alle fibre, eliminare gli agenti inquinanti, recuperare gli originali rapporti cromatici. A tal proposito il filato metallico, oscurato da patine diffuse, è stato trattato prima del lavaggio con una pulitura localizzata per mezzo di piccoli pennelli, che ne ha permesso il completo recupero. Nella fase successiva una tecnica sperimentale, a partire dal metodo integrativo, è stata avviata con la prerogativa di ottenere sia il recupero strutturale sia quello estetico.
La struttura tessile estremamente densa e sottile impediva di fatto il tradizionale inserimento dell’ordito di restauro, momento fondamentale della tecnica integrativa cui succede l’integrazione cromatica per mezzo delle trame. Le simulazioni di consolidamento su campioni ad uso didattico hanno prodotto un interessante metodo alternativo: l’ordito, accostato sul retro dell’opera, non interviene direttamente all’interno della struttura ma ha solo la funzione di sostegno delle trame che vanno a consolidare l’area adiacente alla lacuna. Tale sistema è reso possibile dall’eccezionale finezza del tessuto che non accentua l’effetto di sottolivello esteticamente negativo.
Per preservare il margine inferiore, è stato utilizzato un tessuto commerciale con aspetto e caratteristiche tecniche simili a quelle dell’arazzo con la doppia funzione di supporto dell’area indebolita e di completamento ottico dell’area mancante.
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