
L’occasione del restauro delle sculture in gesso di Jacques Lipchitz si è concretizzato grazie alla donazione della Fondazione Lipchitz di ben ventuno opere al Comune di Prato, che abbracciano rappresentativamente quasi tutta la carriera dell’artista dal 1911 al 1971. L’intervento di conservazione, oltre restituire una decorosa leggibilità ai manufatti in gesso, ha rappresentato l’occasione per una ricerca sulla tecnica artistica e sul modo di operare di questo grande scultore del Novecento, definendo lo stretto legame nel processo creativo tra modello preparatorio in gesso e opera definitiva in bronzo.
L’esperienza di restauro delle opere in gesso nel Laboratorio dei materiali ceramici, plastici e vitrei è pluriennale; l’alluvione di Firenze nel 1966 propose con drammatica urgenza il salvataggio delle ingenti raccolte di gessi di Lorenzo Bartolini e Luigi Pampaloni. In quella occasione l’Opificio mise a punto un’esperienza operativa sui gessi che è da allora proseguita con sistematicità su importanti collezioni come quelle di Rinaldo Carnielo, Libero Andreotti, Marino Marini. Il restauro delle opere in gesso, data l’importanza che riveste la materia nel territorio, è stato inserito fin dalla istituzione della Scuola di Restauro dell’Opificio, come materia didattica di laboratorio e rappresenta un’esperienza fondamentale per gli allievi del Settore materiali ceramici, plastici e vitrei.
La collezione delle opere è costituita sia da bozzetti preparatori di piccole dimensioni, che da modelli già in scala impiegati per la fusione del bronzo. Quest’ultimi sono riconoscibili per la presenza delle incisioni lasciate sul gesso dal taglio della gelatina (soluzione a base di colla di coniglio, glicerina e zucchero), impiegata per le operazioni di calco. In generale le opere conservano la freschezza della modellazione di getto, manuale, con alcune tracce di lavorazione di strumenti come coltelli da gesso, martelli dentati e ceselli pianatori. Le opere di grandi dimensioni sono realizzate in più parti tramite tasselli di congiunzione che, attraverso dei fori e l’inserimento di perni in ferro (chiavi), permettevano la ricomposizione temporanea della scultura.
Analisi FT-IR per la caratterizzazione delle patine superficiali a base di gommalacca e vernice nitrocellulosica.
Il criterio per il recupero della massima leggibilità dei modelli è iniziato con una spolveratura delle superfici, che si presentavano cosparse di uno spesso deposito di materiali incoerenti a causa della lunga permanenza in ambienti polverosi. In seguito è stata effettuata la pulitura delle superfici per via umida mediante applicazione di supportanti, seguita da interventi sulle parti strutturali per il ripristino della statica. Sono stati effettuati consolidamenti mirati delle zone decoese e polverulente, incollaggi dei frammenti distaccati e integrazioni materiche delle lacune più evidenti. Infine, grazie al ritocco pittorico sono state riequilibrate esteticamente le patinature superficiali derivate dalla stesura di distaccanti applicati durante il processo di formatura in vista della fusione in bronzo per la realizzazione dell’opera definitiva.
C. Gabbriellini, R. Moradei, F. Rossi, L. Speranza, F. Tattini, Le ventuno sculture di Jacques Lipchitz restaurate dall’Opificio in vista della mostra L’arte di gesso nel Palazzo Pretorio di Prato, in OPD Restauro 25, 2013, pp. 53-66.
Sezione successiva