Bronzino, Discesa al Limbo, 1552, Museo dell’Opera di Santa Croce, Firenze

  • : Intervento di restauro
  • Stato attività: concluso

Dati

Informazioni sull’attività

Informazioni sull’opera

Informazioni storico-descrittive

La pala raffigurante La discesa di Cristo al Limbo è firmata e datata 1552. Fu commissionata da Giovanni Zanchini, commerciante di tessuti e servitore del duca Cosimo, per adornare l’altare della propria cappella di famiglia situata a sinistra della porta maggiore della chiesa di Santa Croce.
La prima testimonianza documentaria è resa dal Vasari all’interno delle notizie sugli Accademici del Disegno nelle Vite del 1568, da cui è possibile trarre un resoconto dettagliato sulla commissione dell’opera.
La tavola è documentata in situ dall’inventario del 1808 all’atto della soppressione.
Nel 1821 l’opera viene rimossa dalla basilica “per esservi dipinte molte figure nude, d’ogni sesso, e contro le leggi della modestia” come annota Gaetano Milanesi nella sua edizione delle Vite di Vasari e viene trasferita nella Galleria degli Uffizi. In seguito a tale trasferimento la cornice originale viene sostituita da una anonima cornice di galleria. Soltanto agli inizi del secolo scorso la tavola ritornò a Santa Croce per essere esposta nel refettorio, e fu ricollocata nella sua cornice originale. Il 4 novembre 1966 la piena dell’Arno sommerse l’opera per tre metri della sua altezza.
Dal novembre 2006, dopo un accurato intervento di restauro, è esposta nel percorso del museo dell’Opera di Santa Croce.
Il tema rappresentato, la “discesa al Limbo”, è raro in pittura a Firenze ed è tratto dal Vangelo apocrifo di Nicodemo, secondo cui il Salvatore sarebbe sceso ad illuminare le eterne tenebre del Limbo per liberare da Satana coloro erano vissuti prima della sua venuta, o che l’avevano profetizzata.
Nel cartiglio centrale si legge un’iscrizione in oro, su fondo blu, che fa riferimento al soggetto raffigurato: “Populus qui sedebat in tenebris vidit Lucem magnam”.
Vasari ricorda come tra i personaggi rappresentati, Bronzino abbia ritratto i pittori Pontormo e Bachiacca, l’accademico Giovambattista Gello e le nobili fiorentine Gostanza da Somaia e Camilla Tedaldi del Corno.

Tecnica esecutiva

Il supporto è composto da sette tavole in legno di pioppo allungate in senso verticale a diverse altezze e due stretti listelli laterali, uniti tra loro con ranghetti e spinotti lignei. Per rinforzare il retro sono state aggiunte tre traverse inserite nello spessore.
Lungo le commettiture e in corrispondenza delle farfalle e dei tasselli è presente della stoppa.
Gli strati preparatori sono realizzati tramite due stesure di gesso e colla animale, mentre l’imprimitura è a base di bianco di piombo con piccole quantità di vermiglione e vetro macinato.
Il disegno preparatorio, visibile all’infrarosso, è eseguito con un utensile secco, probabilmente grafite.
Si rileva la presenza di un primo strato pittorico sotto alcune campiture. L’esecuzione è realizzata grazie a veloci stesure di colore diluito, senza stratificazioni successive. Tra i pigmenti individuati ci sono: bianco di piombo, azzurrite, oltremare naturale, smaltino, verderame, lacca rossa, nero di carbone.
L’aspetto più interessante ed inusuale della tecnica utilizzata da Bronzino è senz’altro da individuare nel largo uso di vetro macinato. Oltre che nell’imprimitura, si riscontra infatti in tutte le lacche. Per l’esecuzione delle ombre dei carnati più scuri ha utilizzato velature di lacca bruciata.
Nella parte bassa e centrale del quadro la tecnica è “a velatura”, nella centina “a corpo”.
Sono presenti diverse modifiche compositive realizzate in corso d’opera, molte delle quali individuabili anche in luce diffusa.

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