La tavola entra a far parte delle collezioni del Musée des Beaux-Arts di Nizza nel 1879 grazie ad un lascito testamentario e viene attribuita al pittore Fra Bartolomeo.
Vasari, nelle sue Vite, parla di un Crocifisso bellissimo, di mano dell’amico Bronzino, realizzato dallo studio dal vero di un corpo morto appeso in croce; questo è quanto appare osservando il Cristo Crocifisso, riconosciuto come opera del Bronzino e presentato come tale alla recente esposizione monografica di Palazzo Strozzi a Firenze (24 settembre 2010-23 gennaio 2011).
La tavola del supporto è in legno di pioppo e misura complessivamente 145 x 115,5 cm con una leggera variazione nello spessore. Il supporto si compone di tre assi affiancate verticalmente lungo la cui commettitura risulta la presenza di due coppie di ranghette trattenute da due perni ciascuna, attualmente visibili. Il tavolato è attraversato perpendicolarmente da due traverse con sezione “a coda di rondine”, rastremate da sinistra verso destra.
Il supporto così approntato è stato preparato con una stesura uniforme di stucco chiaro, steso direttamente sul tavolato senza interporre alcun diaframma ammortizzante. L’impasto, al microscopio, risulta essere di granulometria piuttosto grossa e la sua consistenza è arida e farinosa. L’indagine stratigrafica relativa rileva la presenza di gesso (solfato di calcio biidrato) e colla animale, caricati con terre, ocre e nero di carbone, la cui stesura è completata con un addensamento superficiale di colla animale.
Il disegno preparatorio è stato evidenziato dall’indagine riflettografica e ha fornito un passaggio chiave per approfondire la conoscenza della tecnica di esecuzione, ma anche per trovare nuove conferme all’attribuzione attraverso lo studio comparato del disegno sottostante la pittura. Sulla tavola preparata l’artista ha potuto tracciare a carboncino il suo progetto pittorico, direttamente sul pannello, senza alcuno studio preliminare come si deduce dall’assenza di tracce di tecnica di riporto da disegno preparatorio.
L’osservazione approfondita dell’immagine ottenuta all’infrarosso ha fatto emergere un documento inedito: un ulteriore progetto grafico che si affianca a quello definitivo. Un progetto che parrebbe indipendente da quello conosciuto: nella testa reclinata e nella differente torsione delle ginocchia leggermente flesse è un corpo afflosciato su sé stesso, con tutta la gravità fisica di un corpo morto appeso ad una croce. L’impostazione ortogonale frontale resta invariata ma la raffigurazione realistica “copiata dal vero” dell’una, lascia spazio a quella “più ragionata” e iconica sviluppata successivamente col colore. Due progetti differenti quindi, autonomi l’uno dall’altro, elaborati indipendentemente e condotti a un livello piuttosto avanzato che includevano anche l’impostazione prospettico-architettonica dello spazio.
La zona inguinale, che nella raffigurazione resta coperta dal perizoma, risulta disegnata con grande attenzione; un punto in particolare è ben evidenziato graficamente, punto che cade esattamente sull’asse centrale della composizione. Usando tale punto come centro di riferimento compositivo, abbiamo tracciato delle rette ortogonali tra loro, perpendicolari e incrociate; dove tali rette incontrano la linea superiore che disegna il braccio della croce, si viene a delineare la larghezza esatta della tavola. Incoraggiati da tale coincidenza, abbiamo voluto sviluppare ulteriormente l’elaborazione grafica facendo diventare tali rette le diagonali di un quadrato ideale. Questo quadrato è risultato contenere esattamente l’intera figura del Cristo dipinto, eretta.
La divisione mediana del quadrato, tracciata con chiarezza nel disegno preparatorio, dà origine a due rettangoli corrispondenti. Tracciando la diagonale di uno dei due rettangoli individuati, si può dedurre, riportando il lato più corto di tale rettangolo sulla medesima diagonale e quindi tale punto sull’asse centrale della composizione, un ulteriore punto focale che suddivide l’asse mediana del quadrato in due segmenti che verranno ad essere tra loro in rapporto armonico. Tale punto mette in consonanza tra loro due grandezze disuguali e diventa ulteriore centro compositivo, essendo coincidente con l’ombelico del corpo crocefisso; identifica sull’asse centrale del quadrato che inscrive la figura, un rapporto ideale di armonia fra due grandezze disuguali di cui, la maggiore è medio proporzionale rispetto la minore e la loro somma.
La circonferenza che potrebbe essere tracciata su questo centro e che avesse come raggio la distanza ombelico-appoggio della figura (ovvero base del quadrato), sarebbe in perfetto rapporto aureo con il quadrato individuato all’interno della composizione e verrebbe a creare con esso una proporzione armonica.
A fermare il disegno è applicata un’imprimitura color avorio a base di bianco di piombo e poca ocra o terre in un legante di natura grassa. La misurazione effettuata con la fluorescenza X ha rilevato, per ogni punto indagato, la presenza costante di ferro e piombo (identificativi rispettivamente di terre o ocre e della biacca), e i prelievi stratigrafici hanno identificato abbondanti scagliette di vetro disperse. Sulla superficie così approntata parrebbe applicata un’ulteriore stesura scura, piuttosto diluita a base di nero di carbone (nerofumo?) con poca biacca e ancora scagliette di vetro, che scontorna la figura del Cristo e la sagoma della croce (IR b/n). La sua funzione, probabilmente, è di “ritagliare” e cancellare parzialmente il primo progetto figurativo, successivamente rettificato, predisponendo lo sfondo alle stesure pittoriche dell’architettura.
La stesura pittorica è oleosa. La tavolozza è essenziale ma estremamente raffinata e il dipinto resta volutamente poco più che un monocromo: il grigio che domina sulla raffigurazione in tutte le sue gradazioni e muove lo sfondo, è risolto con bianco e nero, ma nell’impasto troviamo anche delle inclusioni di grani color lacca rossa. Il colore dell’incarnato risulta essere prevalentemente biacca con pochi granuli di nero, ocre e rarissimi granuli di vermiglione, ma anche qui non si esclude la presenza della lacca rossa, a smorzare il rosso vivo del pigmento color cinabro. L’applicazione del colore è in più stesure: con funzione di fondo cromatico, come sul carnato, o per rafforzare l’intensità di una campitura trasparente, come nel perizoma. La pennellata è “asciutta” e netta per le stesure grigie dell’architettura; morbida e libera per la figura dove sfuma lieve per sfruttare il disegno sottostante (come sulle ombre della mano inchiodata socchiusa, o nel singolo ricciolo della barba appoggiato sullo sterno), corposa e decisa nello scontornare l’intero profilo delle forme, come risulta evidente all’osservazione a luce radente della superficie dipinta. La rapidità e scioltezza con cui vengono eseguiti i particolari morfologici (anatomici o materici), contrasta con la resa pittorica finale di grande compiutezza ed effetto realistico. Gli impasti cromatici, analizzati stratigraficamente, sono risultati a loro volta caricati con polvere di vetro e applicati in doppia stesura (vedi ombra architettonica, perizoma ed incarnato). Ricerca sperimentale che ha lo scopo di esaltare, anche per contrasto, la luminosità intrinseca propria della materia, ma che è anche probabilmente, causa di parte dei problemi conservativi legati a questo oggetto e alla tecnica del Bronzino in generale.
Tecnicamente, lo strato preparatorio a gesso riveste bene la propria funzione di strato ammortizzante e, nonostante la consistenza piuttosto arida e farinosa e le diffuse inclusioni di bolle d’aria, assicura comunque l’adesione tra la superficie del supporto e gli strati successivi.
Un fenomeno di micro distacco della pellicola pittorica è diffuso su tutta la superficie dipinta; le minuscole cadute di colore si manifestano, a volte, con micro cretti concentrici che si sviluppano attorno ad un nucleo di trazione traducendosi in una perdita di colore. Tale nucleo è rappresentato da isolati cristalli di vetro affioranti in superficie dalle stesure cromatiche sottostanti, emersi probabilmente in fase di essicazione ed assestamento della materia pittorica. Questo fenomeno si mostra con maggiore evidenza negli impasti carichi di biacca (l’incarnato, il grigio chiaro e la lacca/biacca), le cui stesure, meno cariche di legante, risultano più compatte e di essicazione troppo rapida rispetto agli strati sottostanti; tale fenomeno non è presente nella composizione della croce dove non è fatto uso di colore bianco. Il danno è quindi da imputarsi alla tecnica esecutiva e riguarda perlopiù le stesure chiare. Sulle innumerevoli cadute di colore che costellano l’intera superficie, vecchi ritocchi ad olio rigonfiati ed alterati, in un intervento più recente, sono stati corretti con ritocchi a vernice e si estendono oltre il necessario con velature, a volte anche piuttosto estese. Questo amplifica l’entità del danno sacrificando parte del colore originale e ne appesantisce la qualità pittorica. Complessivamente la pittura appare leggermente consumata superficialmente; sul carnato, a zone, le pennellate hanno perso la loro corposità e la materia pittorica lascia scoperti dei grossi grani di pigmento nero, inclusi all’origine nell’impasto pittorico; a confermarne la consunzione è anche la presenza diffusa di setole del pennello inglobate nella pittura e rimaste ora a vista. Infine, a protezione conclusiva, è stato steso un film di resina dall’aspetto cristallino (particolarmente fluorescente alla luce ultravioletta), all’interno del quale è inglobato abbondante pulviscolo atmosferico. La lucentezza della superficie risultava complessivamente disomogenea, riflettente e offuscata al tempo stesso, dato anche il differente assorbimento degli innumerevoli ritocchi alterati.
Il restauro ha preso avvio con la pulitura della superficie pittorica liberandola innanzitutto di quei ritocchi particolarmente invasivi ed alterati che, distribuiti disordinatamente su tutta la superficie, mortificavano la corretta lettura del dipinto e apparivano come i segni più significativi del suo degrado. In una seconda fase si è intervenuti sull’assottigliamento graduale della vernice disomogenea, allo scopo anche di agevolare l’azione adesiva della fermatura tra gli strati pittorici. Per le ridipinture più recenti e sui ritocchi ad olio più tenaci è stata adottata una miscela di solventi organici neutri con diverso Fd. Entrambe le miscele sono state addensate in emulsione cerosa neutra e lavorate allo stereo-microscopio. Le poche mancanze, stuccate allo scopo di recuperare i dislivelli di superficie causati dall’assestamento del supporto o da urti accidentali, celavano materia pittorica originale sulla quale si poteva leggere una successione stratigrafico-temporale degli interventi susseguitisi. L’assottigliamento graduale dello strato filmogeno disomogeneo e opalescente ha permesso di asportare i ritocchi che intendevano intensificare parte dei contorni del volto e del corpo di Cristo e velature che ne rinforzavano le ombre; è stata rimossa parzialmente anche una sottile velatura di colore scuro che rinforzava le ombre più profonde dell’architettura, contribuendo allo squilibrio dei rapporti chiaroscurali interni alla nicchia. Il recupero del l’intensità del colore ha restituito la profondità del gioco prospettico dei piani e un nuovo equilibrio spaziale.
Infine, la sottile fascia verde che profilava la tavola, dipinta ad olio in maniera piuttosto grossolana e risultata come un’aggiunta posteriore, è stata rimossa per una migliore comprensione estetica e formale della composizione.
Per assicurare la fittissima rete di micro-sollevamenti già in atto e attuare il ripristino dell’adesione tra preparazione e pellicola pittorica nel formarsi di micro-mancanze si è scelto di operare con resina termoplastica. La riattivazione a temperatura uniforme di circa 60°C, è stata agevolata dall’uso di depressione calibrata, ottenuta attraverso il sottovuoto.
La stuccatura a gesso e colla delle mancanze è stata preceduta, nei fori di sfarfallamento degli insetti xilofagi, dall’applicazione di stucco cellulosico. Le mancanze minute, che riguardavano esclusivamente il film pittorico, sono state livellate direttamente con il colore a tempera utilizzato poi per i fondi cromatici. Il restauro pittorico è stato differenziato in base alle dimensioni delle lacune e alle caratteristiche del tessuto pittorico. Il fondo cromatico uniforme è stato completato a tratteggio: con acquerello, sulle mancanze più estese, direttamente con colori a vernice, su quelle più limitate. La miriade di micro-cadute è stata risolta con un intervento mimetico.
La verniciatura di protezione è stata eseguita in due tempi distinti: a seguito della pulitura, con vernice mastice stesa a pennello e al termine dell’intervento, sempre con vernice mastice ma con tecnica a spruzzo. L’operazione è stata condotta a più riprese allo scopo di raggiungere una saturazione del colore tale da assecondare la ricerca di totale luminosità e trasparenza della pittura, perseguita in tutte le fasi tecniche dal Bronzino.
Sezione successiva