Antonio del Pollaiolo, Crocifisso, 1470 ca., Basilica di San Lorenzo, Firenze

  • : Intervento di restauro
  • Stato attività: concluso

Dati

Informazioni sull’attività

Informazioni sull’opera

Informazioni storico-descrittive

Il Crocifisso è ricordato da Giorgio Vasari come opera del mitico Simone, fratello di Donatello, nella chiesa fiorentina di San Basilio degli Armeni. Dopo la soppressione della chiesa, l’opera fu trasferita nella vicina basilica di San Lorenzo dove si trova ancora oggi nel transetto destro. Nel 1967 finalmente M. Lisner l’attribuì ad Antonio del Pollaiolo e questa attribuzione è ormai largamente condivisa.

Tecnica esecutiva

Caratteristiche costruttive
La figura del Cristo è costituita da una struttura di sughero, rivestita con uno strato di gesso e colla animale che fa da preparazione al colore, come in tutti i crocifissi lignei. L’impiego di un materiale leggero è stato determinato dalla necessità di poterlo portare in processione, infatti, gli studi eseguiti sull’opera durante l’ultimo restauro, hanno dimostrato che il peso del Cristo è pari alla metà di quello di un crocifisso in legno delle stesse dimensioni. Il sughero presenta ulteriori vantaggi, quali: essere idrofobo, elastico, ignifugo e soprattutto esente da variazioni dimensionali. Trattandosi della corteccia di un albero, la quercia da sughero, ha però degli svantaggi legati ai grossi limiti come materiale strutturale, per via della fragilità e delle dimensioni limitate degli elementi utilizzabili, soprattutto nello spessore che non supera i tre centimetri. La fragilità è stata compensata nella tecnica costruttiva tramite l’assemblaggio di numerose cortecce nel busto del Cristo, ma per le parti più sottili, come le braccia e le gambe, questo non è stato possibile. La struttura di una figura così articolata necessitava quindi di un sostegno, trovato nella croce che conferisce stabilità all’opera tramite gli ancoraggi del busto e degli arti. La croce è quindi parte inseparabile della scultura.
I volumi dei capelli sono ottenuti con stoppa imbevuta di gesso, mentre il perizoma è realizzato con un panno di seta imbevuta di colla, drappeggiato sul corpo e poi trattato con gesso e colla.

Il colore
Per quanto riguarda l’incarnato, le analisi ci riportano che sulla preparazione è stato steso uno strato di circa 10 µm di colla animale e successivamente lo strato pittorico a base di bianco di piombo, rari grani di Vermiglione, altrettanto rari grani di Nero di vite, ancor più rari grani di Minio e scagliette di vetro per lo spessore di 25–50 µm circa. Risulta particolare la presenza di uno strato di colla relativamente consistente, cioè in quantità superiore alla semplice impregnazione del gesso, per limitare l’assorbimento del legante del sovrapposto colore.
La pittura sul perizoma presenta caratteristiche ancora più particolari. Sulla preparazione di gesso e colla non è presente lo strato di colla trovato negli incarnati, ma è stesa un’imprimitura rosata a base di biacca, lacca (carminio) e qualche raro granulo di nero di carbone. Sopra quest’imprimitura sono stati riscontrati porzioni di una stesura a base di smaltino, con pochissimo bianco di piombo, e sovrapposto ad esso uno strato di indaco e smaltino, oltre a rari grani di biacca e di lacca. La presenza dello strato di puro smaltino sull’imprimitura rosata, solo in alcune parti invece di una stesura completa, fa pensare che si tratti di residui di uno strato originale e che il sovrapposto strato di smaltino e indaco sia una ridipintura. Ma potrebbe trattarsi anche di un cambiamento in corso d’opera, cioè modificando la composizione del colore da smaltino e biacca in smaltino, indaco, biacca e lacca.

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