Soprintendente: Cristina Acidini
Settore restauro dipinti mobili
Direttore: Marco Ciatti
Vice-direttore: Cecilia Frosinini
Direzione del restauro: Marco Ciatti e Cecilia Frosinini, con la collaborazione della direzione di Palazzo Madama e della Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte.
Restauro della superficie pittorica: Roberto Bellucci
Restauro del supporto ligneo: Ciro Castelli
Indagini diagnostiche
Radiografia: Opificio delle Pietre Dure: Alfredo Aldrovandi, Ottavio Ciappi
Riflettografia IR con scanner ad alta risoluzione: Istituto Nazionale di Ottica (INO-CNR, Firenze): Luca Pezzati, Opificio delle Pietre Dure: Roberto Bellucci,
Microprofilometria: Istituto Nazionale di Ottica (INO-CNR, Firenze): Raffaella Fontana, Maria Grazia Mastroianni
Conoscopia laser: Laboratorio di Metrologia Ottica dell’INO (presso sede Fortezza da Basso dell’OPD): Paolo Pingi, Raffaella Fontana
OCT (Optical Coherence Tomography): Laboratorio Europeo di Spettroscopia Non-Lineare (LENS), Università di Firenze: Massimo Inguscio, Marco Bellini
PIXE e PIGE: INFN – Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, sezione di Firenze: Pier Andrea Mandò, Novella Grassi, Alessandro Migliori
XRay Fluorescence: ENEA- La Casaccia, Roma: Pietro Moioli, Claudio Seccaroni
Indagine multispettrale: Dipartimento di Scienza Biomediche (Università di Ferrara): Claudio Bonifazzi e Istituto Nazionale di Ottica Applicata (CNR-INO): Pierluigi Carcagnì, Raffaella Fontana, Maria Mastroianni, Marzia Materazzi, Enrico Pampaloni, Afra Romano
TAC (Tomografia Assiale Computerizzata): Siemens Italia: Fabrizio Seracini
FT-IR (Fourier Transform Infrared Spectroscopy): SMAArt & CNR-ISTM, Dipartimento di Chimica, Università di Perugia: Brunetto Giovanni Brunetti, Antonio Sgamellotti, Brenda Dohery, Federica Rosi, Costanza Miliani
Indagini climatologiche: Roberto Boddi (OPD)
Documentazione fotografica
Laboratorio Fotografico dell’Opificio delle Pietre Dure
Direttore: Alfredo Aldrovandi
Fotografi: Fabrizio Cinotti, Annette Keller
Il Ritratto potrebbe essere stato dipinto negli ultimi mesi del soggiorno a Venezia, tra 1475 e 1476, oppure a Messina, dove l’artista tornò nel settembre 1476 e dove rimase fino alla morte. Nel 1841 l’opera è segnalata nella galleria fiorentina del marchese Pier Francesco Rinuccini. Alla morte di questi (1848) la quadreria, dove erano custodite più di settecento opere, fu oggetto di una tra le più importanti transazioni commerciali di opere d’arte effettuate in Italia. In quel momento il Ritratto di Antonello era già passato a Milano come dote di Marianna Rinuccini, andata in sposa al marchese Giorgio Teodoro Trivulzio nel 1831. Il trasferimento a Torino, nel 1935, è il frutto della lunga e laboriosa trattativa intrapresa da Vittorio Viale, direttore del Museo Civico, per l’acquisto dell’intera collezione Trivulzio.
Il personaggio è raffigurato dietro una piccola balaustra dove è presente un minuscolo cartiglio sul quale Antonello da Messina si firma (1476 ANTONELLUS MESSANEUS PINXIT). L’uomo, ritratto leggermente in tralice, con la testa ulteriormente girata verso la sua sinistra, indossa un berretto nero e una pesante cappa rossa solcata da pieghe verticali sopra una camicia bianca di cui si intravede appena l’orlo sopra il colletto, l’abbigliamento tipico dell’alta borghesia mercantile del Quattrocento. La posa di tre quarti, lo sfondo scuro, l’affaccio su una balaustra e la rappresentazione essenziale, derivano dai modelli fiamminghi di ritrattistica che Antonello introdusse in Italia.
Il dipinto è realizzato su una sola asse di legno di pioppo di dimensioni non perfettamente regolari (grossomodo 29,5 cm in larghezza e 37,2 cm in altezza). Lo spessore del supporto varia dai 6 – 7 mm della parte centrale a circa 5 millimetri in prossimità dei lati, rastremati sul retro. Sul fronte, invece, un sottile margine di legno lungo tutto il perimetro è stato risparmiato dalla stesura pittorica. È quindi probabile che il dipinto fosse originariamente inserito in una cornice a canale, come testimoniano, oltre il rialzo degli strati preparatori in prossimità del perimetro dell’area dipinta, anche i residui di colla e i frammenti di legno sul retro.
La fibratura del supporto è posta in senso orizzontale e il taglio dell’asse risulta essere tangenziale al centro della tavoletta e radiale in basso e in alto. La scelta di utilizzare un supporto molto sottile e di porre la fibratura in orizzontale appare insolita per la tradizione italiana, ma trova corrispondenza in altri ritratti realizzati da Antonello da Messina. Altra particolarità del Ritratto Trivulzio è nell’insolita scelta di stendere gli strati preparatori sulla faccia esterna dell’asse (sul lato opposto rispetto al midollo dell’albero). Al contrario, nella tradizione costruttiva, si utilizzava di solito la faccia interna, disponendo quindi la stesura pittorica dal lato in cui il legno tendeva ad imbarcarsi. Singolare anche l’incollaggio della tavoletta all’interno del canale della cornice che non trova riscontri nella produzione artistica italiana e nemmeno in quella fiamminga.
Le indagini diagnostiche e l’intervento di pulitura hanno consentito di recuperare il testo figurativo autentico con la sua antica vernice. La stesura pittorica non differisce dal disegno lineare del contorno della figura, se non sulla spalla sinistra del personaggio dove sembra che il pittore avesse avuto l’intenzione di portare in avanti il becchetto che poi ha invece coperto con il rosso della toga.
La riflettografia IR scanner documenta un disegno ridotto all’essenziale, con tratti a mano libera a carbone, visibile solo in piccole parti del volto e forse eseguito direttamente sulla preparazione probabilmente con il personaggio davanti al pittore. La costruzione pittorica della figura si articola sulla preparazione bianca a gesso e colla.
Dalla radiografia e dalla TAC è possibile riscontrare come le prime stesure pittoriche fossero masse di colore, stese con pennellate veloci, che avevano lo scopo di fornire una base, sia nell’incarnato del volto che nel rosso della toga, per le finiture successive. Con un solo passaggio di colore l’artista è poi riuscito ad attenuare il contrasto di queste masse e rendere fluido il passaggio cromatico.
Le misurazioni della fluorescenza X (XRF), condotte su punti campione, hanno consentito di caratterizzare la tavolozza dell’artista. Le pennellate di base delle pieghe della toga rossa sono state eseguite con cinabro, le stesure finali ancora con cinabro e lacca rossa senza l’impiego di bianco di piombo, come ci si potrebbe invece aspettare, per creare quegli effetti di graduale passaggio di luminosità. Nelle zone di massima profondità delle pieghe Antonello ha inoltre utilizzato un pigmento a base di rame per ottenere un effetto di ombreggiatura. Allo stesso modo, nelle altre zone di ombreggiatura, come la tempia del personaggio ritratto, le modulazioni di passaggio dal chiaro allo scuro, sono ottenute mediante l’aggiunta nell’impasto cromatico dello stesso pigmento di rame.
Anche le parti anatomiche del volto che emergono per rendere l’effetto di maggiore illuminazione sono eseguite con un procedimento pittorico che impiega pennellate di colore con maggiore quantità di biacca, estremamente veloci. Esse impostano, già dalla prima fase pittorica, il rilievo della guancia destra, la fronte, la punta del naso, il labbro inferiore e la piega intorno alla bocca della guancia sinistra. Le stesse pennellate sono successivamente ammorbidite, avvolte dalla stessa luce che però ne modula i passaggi, aiutando il formarsi di quella espressione di ironica sfida con la quale questo ritratto è ormai noto.
Il dipinto si presenta con una incurvatura accentuata in senso verticale e risulta fortemente sensibile alle variazioni termoigrometriche a causa della sua scarsa massa e dell’assenza di protezione sul retro. In corrispondenza delle parti del supporto che hanno un andamento della fibratura radiale, e cioè in alto e in basso, si osservano deformazioni filiformi della pellicola pittorica e del sottile strato di preparazione. Tali deformazioni, vista l’assenza di fratture a carico della pellicola pittorica soprastante, sono sicuramente di vecchia data, avvenute cioè quando gli stati pittorici possedevano ancora una certa plasticità (sicuramente maggiore a bassi livelli di polimerizzazione dell’olio). Esse risultano già evidenti in alcune foto della prima metà del Novecento, al momento dell’acquisizione dell’opera da parte del Museo, e possono dirsi attualmente stabilizzate.
La TAC ha consentito di escludere che tali alterazioni siano state causate dall’attività degli insetti xilofagi. Le gallerie presenti nel legno sono infatti frutto di un attacco biologico di lieve entità e non trovano corrispondenza con le deformazioni longitudinali degli strati pittorici. Il modello tridimensionale dell’opera, ottenuto con tecnica conoscopica laser, ha permesso di evidenziare la deformazione non regolare del supporto. La tavola si mostra infatti curva in corrispondenza delle parti radiali, mentre la parte centrale (tangenziale) è quasi priva di deformazione.
Attualmente l’opera si presenta con un profilo convesso dal lato della stesura pittorica ed è probabile che abbia assunto questa conformazione a seguito della rimozione della sua cornice, svolgendo quest’ultima anche una funzione di controllo dei movimenti del legno. Le deformazioni filiformi della superficie pittorica si sarebbero invece prodotte quando il dipinto era inserito ancora nella cornice con quest’ultima che avrebbe rigidamente contrastato le tendenze deformative del supporto.
La pellicola pittorica mostrava una leggibilità ridotta, soprattutto nel discrimine tra fondo e ritratto, a causa dell’ossidazione delle vernici e dell’alterazione cromatica dei pigmenti che costituiscono il colore di fondo. La figura dell’effigiato si stagliava netta, perdendo per contrasto ogni elemento di modellato e di luce. Anche il rapporto cromatico tra tutte le parti dipinte, incarnato, toga, berretto, sfondo, era fortemente condizionato dall’intonazione giallastra assunta dalle vernici alterate. Tra queste, la più recente, con il suo consistente spessore, rendeva impossibile determinare, sia nel visibile sia nell’UV, l’esistenza stessa delle altre sottostanti.
Attraverso diverse misurazioni con micro FTIR a fibre ottiche si è potuto appurare che il dipinto era coperto da tre strati sovrapposti: uno, più recente, di resina naturale, un altro, più antico, a base di colla e, direttamente sulla superficie pittorica, una vernice ancora più antica. Quest’ultima, non determinata analiticamente, è risultata molto fluorescente all’UV e presente in maniera disomogenea sull’intera stesura pittorica probabilmente a causa di un vecchio intervento di pulitura.
La presenza di vecchie deformazioni degli strati preparatori e pittorici ha suggerito di mettere a punto un sistema di controllo meccanico del supporto che fosse anche in grado di limitare gli scambi igrometrici del legno durante il restauro e l’esposizione temporanea (“Antonello da Messina”, Roma, Scuderie del Quirinale 18 marzo – 25 giugno 2006). In primo luogo si è costruito un telaio delle stesse dimensioni perimetrali del dipinto e con la stessa incurvatura del supporto, misurata quando il dipinto si era stabilizzato a valori di UR compresi tra il 55 ed il 60 %. Questo telaio è stato chiuso sul retro in modo da creare una intercapedine di aria controllata da un foglio di ‘Artsorb’. Il dipinto è stato poi ancorato a questa struttura con quattro punti di aggancio, uno per ogni lato, con staffe in teflon appositamente costruite e posizionate su molle.
Per tutta la durata del restauro, compresi anche i periodi in cui si realizzavano le indagini diagnostiche, è stata quindi effettuata la registrazione dei parametri termoigrometrici presenti all’interno della scatola. Il tracciato è risultato praticamente costante durante il monitoraggio e l’incurvamento dell’opera si è mantenuta stabile per tutto il periodo, dimostrando la validità della struttura progettata. Si è quindi deciso di mantenere questo sistema anche successivamente, per l’esposizione temporanea.
Dopo la stabilizzazione del supporto è stato possibile mettere a punto la metodologia di pulitura della pellicola pittorica, la cui leggibilità era condizionata dalla presenza di vernici alterate. Una prova di assottigliamento della vernice superiore ha rivelato che il recupero ottenibile in termini di trasparenza era minore del previsto, in quanto l’ingiallimento era determinato sostanzialmente dalla stesura sottostante di colla. Quest’ultima, presente in modo disomogeneo, conferiva anche un effetto visivo a macchie. Per questo motivo si è deciso di rimuovere completamente la vernice più esterna, lasciando invece a vista lo strato di colla sottostante, successivamente assottigliato a seconda dell’incidenza cromatica che esso esercitava sui colori sottostanti.
Per il controllo e la documentazione delle fasi di pulitura, oltre alla fluorescenza UV, sono state adottate le analisi multispettrali e l’interferometria laser (OCT), in modo da poter ottenere una valutazione oggettiva dell’operazione che è stata condotta in più riprese. Le misure multispettrali sono state eseguite in tre momenti: prima della rimozione della vernice superficiale; dopo tale rimozione (quindi prima di intervenire sullo strato di colla) e, infine, dopo aver assottigliato tale strato. Gli spettri hanno dato conto delle differenze cromatiche dei risultati: tra la situazione prima della pulitura e dopo la rimozione della prima vernice si nota solo una differenza in termini di luminosità (gli spettri infatti hanno un andamento pressoché identico). Significativamente diverso è invece lo spettro corrispondente alla situazione finale che, oltre a un aumento della luminosità, segnala anche un cambiamento di posizione sul sistema di riferimento CIELAB: questo dato corrisponde alla effettiva riduzione della interferenza cromatica apportata dallo strato a base di colla che spostava la percezione ottica in direzione del marrone.
L’indagine interferometrica (OCT) è un’indagine che qui per la prima volta, dopo una fase sperimentale, è stata applicata nel campo dei beni culturali. Presa in prestito dal campo medico, per lo studio e la misurazione dello spessore degli strati sottili, è stata usata in questo restauro per misurare la differenziazione degli spessori delle tre vernici nel corso dell’assottigliamento. Le misurazioni con OCT sono state eseguite in un’area in cui, in corso d’opera, erano misurabili le situazioni relative ai tre diversi livelli di pulitura: presenza di tutti e tre gli strati di vernice; rimozione della vernice a resina naturale e assottigliamento dello strato a colla con visibilità parziale della vernice originale in tracce. Il risultato mostra, come in una sezione stratigrafica, ma in modo assolutamente non invasivo, l’interfaccia degli strati e riesce a dare conto degli spessori relativi ai diversi assottigliamenti dei materiali di superficie.
Rispetto a una semplice spettrofotometria, con queste misure iperspettrali si possono documentare aree e non punti, restituendo inoltre anche una immagine in RGB della superficie misurata (e non solo una misurazione numerica colorimetrica dei punti). Ciò consente maggiori possibilità di gestione dei risultati, nell’immediato ma anche nel tempo, ove si presentasse la necessità di ritornare a studiare altre problematiche del dipinto acquisito. Possedendo infatti una intera immagine, ogni punto della quale restituisce gli spettri dei colori, abbiamo una documentazione inalterabile nel tempo dell’intero dell’opera, in tutte le fasi di restauro per le quali è stata effettuata l’indagine.
Al termine delle operazioni di pulitura si riscontra un miglioramento della leggibilità del dipinto. Risultano infatti distinte le due aree del fondo e del copricapo, soprattutto grazie al recupero dell’illuminazione da sinistra del dipinto e alla riscoperta di una piega sfrangiata del panno che ricade sulla spalla del personaggio. In queste zone non è stato ricercato un recupero della distinzione originale creata da Antonello da Messina, dato che i pigmenti utilizzati, entrambi a base di rame, sono ormai chimicamente alterati in modo irreversibile. Anche per quanto riguarda la balaustra si recupera una percezione di una superficie concava sotto il listello bianco. La veste rossa, rifinita a lacca, ritrova effetti di rilievo del panneggio e gradienti di illuminazione. L’incarnato del personaggio recupera effetti di modulazione, prima appiattiti dall’alterazione delle vernici soprastanti. La conservazione della antica vernice direttamente sullo strato pittorico e la presenza ancora dello strato di colla attestano che gli effetti ritrovati appartengono esclusivamente alla tecnica originale di Antonello da Messina.
Al termine dell’esposizione l’opera è rientrata al Museo Civico di Arte Antica Palazzo Madama di Torino. Il dipinto è stato inserito, per volere della Direzione del Museo, in una cornice che era stata costruita in passato appositamente per l’esposizione in un vecchio allestimento.
Dopo essere stata modificata, la cornice è stata dotata di un vetro antiriflesso e di listelli di ligneo che funzionassero come distanziatori tra il vetro e il dipinto stesso. I quattro listelli inseriti (uno per ogni lato) sono stati adeguatamente modellati sulla base delle deformazioni di incurvamento assunte dall’opera nel corso del tempo, e così lo stesso anche i listelli inseriti sul retro del dipinto, in modo da accogliere il supporto all’interno di una “guida” sagomata. Quest’ultima, a sua volta, è stata ospitata nello spessore della cornice e agganciata ad essa con delle molle cilindriche adatte a garantire l’ammortizzamento in caso di pressioni meccaniche.
La regolazione della spinta esercitata dalle molle è stata calcolata sulla base del grado di elasticità e resistenza a compressione di queste, con una ulteriore possibilità di regolazione tramite viti che agiscono sulle molle. Il retro della cornice è stato infine chiuso con un pannello di legno in modo da rallentare e attenuare l’impatto di eventuali escursioni termoigrometriche dell’ambiente di conservazione.
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