Ambrogio Lorenzetti, Trittico di Badia a Rofeno, prima metà del XIV sec., Museo di Palazzo Corboli, Asciano (Siena)

  • : Intervento di restauro
  • Stato attività: concluso

Dati

Informazioni sull’attività

Informazioni sull’opera

Informazioni storico-descrittive

Il polittico consiste in una struttura a due livelli, composta di sei tavole dipinte e dorate attribuite ad Ambrogio Lorenzetti, arricchita da un’elaborata incorniciatura intagliata e policroma risalente ai primi decenni del Cinquecento. La tavola centrale dell’ordine inferiore (123,5 x 105,5 cm) raffigura san Michele arcangelo in guisa di giovane guerriero che combatte un ‘fantastico’ drago a sette teste. A sinistra è raffigurato san Bartolomeo e a destra san Benedetto, dipinti su due supporti lignei della stessa dimensione (103,8 x 43,5 cm). Al centro dell’ordine superiore su un’ampia tavola triangolare (88,5 x 91,8 cm) è dipinta la Madonna con il Bambino, inserita in un arco trilobato dorato circondato da uno spazio di colore verde. Ai lati della Vergine, su due tavole triangolari molto più piccole (35 x 43 cm) sono raffigurati san Giovanni Evangelista e san Ludovico di Tolosa giovane con gli attributi vescovili.
La particolare struttura compositiva, databile alla prima metà del XIV secolo, e la successiva trasformazione avvenuta nel XVI secolo, hanno dato luogo a varie congetture e ipotesi contrastanti circa l’aspetto originario dell’opera.
Il polittico, schedato in un primo tempo dal Brogi come lavoro di ‘ignoti’ artisti senesi del secolo XI[i] è stato attribuito per la prima volta ad Ambrogio Lorenzetti da De Nicola, che identificava questa opera con la tavola citata dal Vasari per Monte Oliveto di Chiusuri. Egli ipotizzò infatti che il polittico fosse stato manomesso nel Cinquecento e che la tavola raffigurante san Michele fosse stata convertita da trapezoidale in quadrata e i pannelli dell’ordine superiore fossero stati modificati in forme triangolari. Secondo il Carli, l’opera giunse a Badia a Rofeno da qualche altra chiesa o monastero intitolati a san Michele o dove il santo fosse particolarmente venerato. Questo spiegherebbe la trasformazione, con l’aggiunta di un bastone, poi rimosso, di san Bartolomeo in san Jacopo che era titolare, con san Cristoforo, della Badia a Rofeno. Secondo questo studioso i sei pannelli costituivano un unico polittico, con l’aggiunta successiva degli angoli dorati in alto a destra e a sinistra della tavola. Questa ipotesi sarebbe supportata anche dal fatto che i motivi decorativi sull’oro non concordano con le restanti parti e la Madonna aveva originariamente la forma triangolare attuale. Il polittico è unanimemente attribuito ad Ambrogio e alla sua bottega, fanno eccezione la Setti che l’assegna al Maestro di sant’Agostino e del Rowley che lo ritiene del Maestro di Rofeno. La Madonna, la cui decorazione a forma trilobata gotica può essere vista al di sotto del colore verde che ricopre la doratura, secondo Rowley faceva parte di un polittico con quattro santi, ora all’Opera del Duomo di Siena, anche per la similitudine nella punzonatura dell’oro. Inoltre, sempre secondo questo studioso, i due pannelli, che concludono la forma triangolare della tavola raffigurante la Madonna sarebbero stati aggiunti. Tale ipotesi è stata da noi smentita durante il restauro, dal momento che la radiografia evidenzia che i due triangoli laterali facevano parte della stessa tavola per la presenza di cavicchi di collegamento tra le tavole del supporto e di una unica pezza di tela per l’incamottatura.
Un’altra ipotesi di ricostruzione del polittico è stata proposta da Silvia Tampieri, che suggerisce il completamento dell’opera con una predella scandita in tre o cinque pezzi. Lo spazio che intercorre tra le cuspidi laterali e i santi sottostanti viene ipoteticamente risolto tramite l’inserimento di piccole figure di santi o profeti. La studiosa sostiene inoltre che la tavola del san Michele fosse ab origine quadrata, e ipotizza che gli spazi triangolari ai lati di san Michele e i triangoli posti superiormente ai santi laterali potessero essere decorati con figure dipinte o con un rilievo a pastiglia e fossero arricchiti con decorazioni. La sagoma della tavola di san Michele, a nostro avviso, era sicuramente quadrata data la continuità nel legno del supporto e nelle cornici perimetrali e dal momento che la stessa tipologia di doratura è stata individuata su tutto il fondo. Non sono però state rilevate, tramite l’interpretazione delle nostre indagini, tracce di precedenti decorazioni sotto forma di segni di ancoraggio della pastiglia o di residui di materia pittorica sovrapposti all’oro.
L’incorniciatura (230 x 239 cm) è stata attribuita a fra Raffaello da Brescia, monaco olivetano e intagliatore che operò, nel primo ventennio del Cinquecento, assieme al confratello fra Giovanni da Verona nella chiesa di Monte Oliveto Maggiore. La struttura consiste in una cornice con motivi a grottesche che collega i tre dipinti dell’ordine inferiore, al cui interno due pannelli orizzontali, decorati con identico motivo e posti sopra le tavole laterali, ne concludono la forma rettangolare. Il perimetro dei tre dipinti dell’ordine superiore è arricchito da un intaglio dorato, con due piccoli pinnacoli a forma di candelabre che ne scandiscono la successione. L’intera opera appoggia su una predella i cui motivi di derivazione classica sono interrotti al centro dalla figura intagliata policroma di un monaco benedettino, da un turibolo e da una navicella. I pilastri laterali, al cui culmine ci sono due pinnacoli non coevi, anch’essi a forma di candelabre, sono intagliati e raffigurano sulla parte frontale strumenti musicali e, sui laterali, strumenti per la lavorazione del legno

Tecnica esecutiva

Con lo smontaggio della cornice cinquecentesca e il ritrovamento, al di sotto, di quella originale trecentesca si è potuto determinare con una certa sicurezza che il trittico era stato concepito come un progetto unitario. La cornice consiste di una fascia liscia di circa cinque centimetri con una modanatura verso l’interno delle tavole. La decorazione è semplice ma, allo stesso tempo, raffinata: la lamina d’argento stesa su bolo rosso è stata dipinta con moduli geometrici a rombi di colore aranciato a base di minio, alternati ad un fregio graffito su un colore verde composto di malachite e resinato di rame.
L’argento della cornice non è ricoperto da alcuna mecca colorata o vernice protettiva e mostra limitate tracce di ossidazione, essendo rimasto protetto per più di cinquecento anni. dagli agenti atmosferici.
Uno strato ammortizzante dello stesso tipo di tela copre interamente tutte le parti piane di ogni tavola ed è modellato in maniera continua sulle modanature e sulla parte piana della cornice.
La preparazione, eseguita in due stesure successive, risulta composta da gesso con una esigua quantità di colla animale, con pochissimo nero di carbone, terra e ocre e qualche grano di celestina. Il confronto tra i campioni delle preparazioni su ogni dipinto non rivela sostanziali differenze.
La modesta quantità di colla animale spiega, dal punto di vista conservativo, le condizioni di impoverimento e degrado degli strati preparatori che hanno contribuito a provocare i distacchi e i sollevamenti di colore su tutta l’opera.
Le incisioni delimitano principalmente le aree da dorare dalle aree da dipingere e quindi riguardano il contorno delle figure, ma sono state usate anche per definire le linee principali del panneggio del manto della Madonna.
Le linee incise sulle vesti erano funzionali al pittore per localizzare le pieghe dei panneggi, le cui definizioni nell’underdrawing erano state progressivamente nascoste dalla successione degli strati pittorici. La figura dell’arcangelo, dai contorni molto elaborati e movimentati, e la forma del drago sono intervallati dalla presenza della lamina d’oro e quindi presentano molte più linee di incisione rispetto agli altri dipinti dove il contorno è più semplice.
Il disegno preparatorio all’interno dei contorni segnati dalle incisioni sembra ben definito sulle due tavole centrali, eseguito a tratto lineare e a mano libera. Il tratto è delineato in modo più semplice sui volti della Madonna, dei santi e del san Michele e più elaborato su particolari decorativi come i panneggi del mantello o le decorazioni della veste dell’arcangelo in cui le linee non corrispondono esattamente al risultato finale.
Il bolo, applicato probabilmente in varie stesure diluite, presenta lo stesso spessore in tutti i campioni eseguiti (dai 5 ai 10µm) e su di esso sono state stese a guazzo le foglie d’oro pure, cioè prive di contenuti di rame o argento. Nel pannello di san Michele non sono state rilevate differenze significative nel bolo e nell’oro fra i due angoli superiori e il resto dello sfondo. Questo conferma che la tavola è stata ultimata nella sua forma quadrata nonostante il motivo della punzonatura prosegua in diagonale sul bordo interno dei triangoli superiori. Si presuppone sia dovuto ad una modifica in corso d’opera. Identico motivo si riscontra sui bordi interni di ogni tavola che compone il polittico, mentre sulla tavola che raffigura la Madonna ci sono, lungo il perimetro tra l’oro e il fondo verde, solo alcune tracce della medesima decorazione.
La fantasia di Ambrogio si scatena nel colore, tramite l’accostamento e l’utilizzo predominanti di blu, rosso e giallo dai toni densi e caldi, impreziositi dagli sfondi e dalle decorazioni in oro e argento. L’azzurrite pura o schiarita con biacca è il pigmento usato per dipingere i blu: il manto della Madonna, le vesti di san Ludovico e di san Giovanni, la veste, le ali e il cielo ai piedi dell’arcangelo. Un fondo cromatico composto di indaco e bianco di piombo con nero carbone copre il disegno preparatorio del manto della Madonna. Una stesura definitiva di azzurrite risolve il colore del manto; questa è stata scurita nelle pieghe con aggiunta di nero carbone, usando le incisioni come guida, e schiarita con biacca nelle parti in luce secondo la tecnica, descritta da Cennino Cennini, di dipingere con tre gradazioni di colore
Fa da contrasto al blu il colore rosso acceso del manto di san Michele a base di cinabro, schiarito con biacca all’interno, dove le velature a lacca rossa ne accennano le pieghe. Un’altra dominante rossa è costituita dalle ali del drago e quelle di san Michele, realizzate con minio. La lacca rossa su una campitura di cinabro definisce la veste della Vergine e le pieghe della veste del Bambino. Essa trascolora nel viola e nel verde (terra verde) della veste di san Bartolomeo e definisce il decoro a finto marmo del pavimento ai piedi dei due santi laterali.
Sulla corazza, sugli schinieri e sull’elmo di san Michele il pittore ha fatto uso di terra verde, dalla granulometria grossolana, schiarita con biacca. Le altre campiture verdi sono composte di pigmenti a base di rame. Il drago, contornato da una marcata linea nera, è realizzato con ocra gialla, come le maniche di san Bartolomeo. Biacca miscelata con terre definisce il colore della veste di san Benedetto e la mitra di san Ludovico. Il dipinto è stato realizzato con tempera a uovo gradualmente, strato su strato, con piccole pennellate di costruzione che seguono il modellato nei carnati.
Ambrogio ha utilizzato terra verde per il fondo sottostante ai. La terra verde ha un tono bluastro molto evidente in san Michele e un tono più olivastro negli altri carnati.
I carnati sono composti da pennellatine accostate e sovrapposte a base di biacca, terre e rosso. Alcune gote dei visi sono realizzate con il minio (Madonna e san Benedetto), mentre in altre compare il cinabro (san Bartolomeo, san Giovanni Evangelista), utilizzato anche sulle labbra di san Michele. I bruni dei capelli sono costituiti da terre e biacca con pigmenti rossi.
Le stesure verdi molto abrase sul fondo della tavola della Madonna sono a base di resinato di rame, con poca malachite; la stessa composizione si riscontra nelle fasce della cornice cinquecentesca sovrastanti san Bartolomeo e san Benedetto (mentre il blu di tutti gli altri fondi è composto di azzurrite schiarita con biacca, su una base di indaco). Si presume di conseguenza che il fondo verde che circonda la Vergine sia dovuto ad una estesa ridipintura cinquecentesca, realizzata sulla preparazione della tavola, di cui non si conoscono le stesure pittoriche originarie, né i motivi di un degrado così circoscritto. Riguardo alle stesure originarie si esclude la presenza di oro, dal momento che non si sono trovate tracce di lamina e di bolo, o segni di ancoraggio di una decorazione a pastiglia dorata soprastante. L’oro originale è presente solo nella zona trilobata, anche se una parte della aureola della Madonna resta al di fuori del tracciato della trilobatura.
Nelle decorazioni dorate è stata rilevata la presenza di oro e di argento, a volte congiunta. Sulle ali del drago e sul mantello di san Michele le tracce di una decorazione d’argento, ora lacunosa e alterata, ci aiutano ad immaginare la ricchezza che doveva caratterizzare il dipinto in origine anche tramite le riflessioni della luce sulle diverse lamine di metallo

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