La fondazione di quello che si sarebbe chiamato in seguito “Opificio delle Pietre dure” fu opera del Granduca Ferdinando I de’ Medici, ma già suo padre, Cosimo I, aveva ospitato in Palazzo Vecchio un atelier per la lavorazione delle pietre pregiate.
La prima sala del museo racconta le origini della manifattura ed espone alcune opere che testimoniano la passione di Cosimo I per i marmi archeologici, come sculture di grande formato in porfido, pietra ritenuta simbolo di regalità nel mondo antico.
Con l’intento di affermare e legittimare il potere mediceo, Cosimo affidò l’esecuzione di alcune opere monumentali in porfido allo scultore fiesolano Francesco Ferrucci del Tadda, alla cui bottega sono riferibili la testa di Alessandro morente, copia di un celebre esemplare ellenistico, e lo stemma mediceo sorretto da putti.
Alle esigenze celebratici della dinastia ben si adattava, inoltre, il genere del ritratto, di cui è un esempio l’effigie di Cosimo I realizzata alla fine del Cinquecento da Francesco Ferrucci, familiare del Tadda, con marmi provenienti da varie zone del Granducato toscano.
Rilevanti dimensioni e rara eleganza compositiva caratterizzano i due grandi pannelli con vasi di fiori su fondo di paragone di Fiandra eseguiti per l’oratorio della villa di Poggio Imperiale, che abbinano diaspri pregiati a materiali di modesta natura.
Sono qui esposti anche i primi esempi fiorentini della tecnica del “commesso lapideo”, come il piano di tavolo con vasi di fiori, uccelli e trofei militari proveniente dalla villa La Petraia, composto con marmi archeologici e pietre tenere, secondo un tipo di composizione replicata di frequente nella manifattura granducale al tempo di Ferdinando I. In quest’ultima opera è evidente il forte legame dei mosaici fiorentini con gli intarsi di epoca romana: il gusto dei marmi archeologici, il fregio di contorno e l’intelaiatura dei cartigli disposta attorno alla pietra centrale contribuiscono alla rappresentazione di un tema di chiara derivazione arcaizzante.
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