Il Sant’Agostino nello studio viene realizzato da Sandro Botticelli sul tramezzo che dava accesso al coro della chiesa di Ognissanti, sul lato opposto del San Girolamo dipinto dal Ghirlandaio nel 1480. Probabilmente anche l’opera del Botticelli risale al medesimo periodo: della relazione esistente fra le due opere troviamo riscontro, oltre che nella spiccata analogia compositiva, anche ne Le Vite del Vasari.
Nel Sant’Agostino è presente all’altezza dell’architrave, in posizione centrale, un piccolo stemma dei Vespucci, che, in prima istanza, farebbe ipotizzare a un coinvolgimento della famiglia nella commissione delle opere, come riportato anche dallo stesso Vasari. In realtà lo stemma, peraltro non presente nell’opera del Ghirlandaio, appare inserito a secco e quindi non è possibile poter stabilire il momento in cui venne effettivamente realizzato.
Nel grande libro con le dimostrazioni geometriche del teorema di Euclide, posto alle spalle della figura del Santo, Umberto Baldini notò per primo la presenza di un particolare curioso: nella finta scritta tracciata sulla pagina del libro è presente, sottolineata da un esponente a croce, una frase vera che dice: “Dov’è fra Martino? Non c’è, è andato fuori Porta a Prato”. Evidentemente si tratta di una burla, da parte di Botticelli, nei riguardi di un frate particolarmente “assenteista”.
L’opera è stata realizzata da Botticelli con la tecnica dell’affresco. Si sono riscontrate finiture a secco nel già citato stemma dei Vespucci, nel manto rosso del Santo e in limitate applicazioni di azzurrite per la realizzazione di elementi decorativi sulla Mitria e sul colletto della tunica.
Sono state rilevate 14 giornate di lavoro: dall’analisi della sovrapposizione delle porzioni di intonaco è emerso come, al pari del San Girolamo del Ghirlandaio, il pilastro con il relativo capitello e con l’imposta dell’arco siano stati inseriti in un secondo momento, demolendo parte della prima redazione della struttura architettonica. Di questa prima versione rimangono due piccole porzioni di intonaco recanti una parte del motivo decorativo del capitello originario. Il nuovo capitello, che sostituisce quasi totalmente l’originale, è del tutto simile a quello presente nel dipinto del Ghirlandaio ed ha una costruzione prospettica completamente diversa dal resto dell’affresco. L’audace visione da sotto in su che caratterizza questa pittura, infatti, non trova riscontro nella sua costruzione, che si pone frontalmente all’osservatore. Probabilmente queste modifiche furono apportate in un secondo momento per omologare l’incorniciatura delle due opere, forse per mano dello stesso Ghirlandaio.
Per quanto concerne la trasposizione del disegno, Botticelli ha fatto ricorso allo spolvero, che in qualche punto risulta ancora ben visibile. Quasi dappertutto i segni lasciati dallo spolvero sono stati evidenziati con una leggera incisione diretta.
Nella seconda metà del ‘500, in osservanza dei dettami del Concilio di Trento, molte chiese furono ristrutturate con l’intento di eliminare alcuni elementi architettonici. Nella chiesa di Ognissanti risale al 1564 l’intervento di demolizione del tramezzo e il trasporto delle due pitture murali, staccate a massello e collocate sulle pareti contrapposte della navata. L’intervento viene ricordato in una scritta in latino che è ancora parzialmente visibile sull’architrave dipinta del Sant’Agostino. Poco prima dell’alluvione del 1966 l’opera del Botticelli fu, come quella del Ghirlandaio, sottoposta ad un restauro realizzato da Leonetto Tintori mirato ad alleggerire le ridipinture ed ad eliminare i completamenti cinquecenteschi, senza per questo rimuovere la pittura dal punto in cui era stata posizionata in epoca di controriforma. A seguito dell’alluvione, però, la parte inferiore dell’opera aveva subito un’accelerazione dei fenomeni di degrado, rendendo necessario un ulteriore intervento di restauro. Dopo aver tentato, con risultati poco soddisfacenti, di asciugare la parete per operare direttamente in loco, si optò per la rimozione della pittura dalla struttura murale. Questo intervento fu realizzato conservando solo pochi millimetri dell’intonaco pittorico, che fu poi fatto aderire ad un nuovo supporto di resina poliestere e fibra di vetro rinforzato da un telaio in alluminio.
I problemi conservativi della pittura erano fortunatamente limitati solo alla parte inferiore, a sinistra dell’opera. La zona maggiormente degradata comprendeva soprattutto la base dello scrittoio. Tale degrado aveva ripercussioni solo a livello estetico, con evidenti patine bianche che velavano la stesura pittorica, offuscando in maniera piuttosto evidente la cromia originale.
Queste alterazioni, già visibili nella documentazione fotografica relativa all’intervento di restauro effettuato dopo l’alluvione, indicavano la presenza di sali solubili all’interno dello strato d’intonaco originale rimasto.
L’osservazione con luce radente non evidenziava fenomeni di sollevamento della pellicola pittorica, la quale risultava stabile e ben adesa all’intonaco di supporto.
Le reintegrazioni pittoriche a selezione cromatica, eseguite nell’ambito di un intervento pregresso non noto, avevano subito delle alterazioni conseguenti forse all’impiego di pigmenti non particolarmente stabili.
Sulla veste bianca di Agostino erano evidenti degli aloni gialli, probabilmente imputabili a residui di sostanze sovrammesse sulla pittura nel corso del tempo o a danni provocati dall’alluvione.
Un primo intervento sull’opera del Botticelli è stato effettuato presso l’Opificio in occasione della prevista esposizione del dipinto alla mostra I maestri del Rinascimento. Capolavori dalle collezioni italiane, Brasile, San Paolo (20.07-29.09.2013) e Brasilia (12.10.2013-5.01.2014). In quella circostanza furono effettuati lavaggi con acqua deionizzata per cercare di alleggerire le pesanti patine bianche concentrate nella parte sinistra alla base della pittura.
Sempre in quella occasione furono analizzati due campioni con lo scopo di determinare le cause che avevano portato all’imbianchimento della superficie pittorica. I risultati evidenziarono la presenza di sali solubili e di vari materiali estranei a quelli costitutivi, tra cui un materiale proteico, dovuto probabilmente ai residui della colla impiegata nelle operazioni di stacco. All’inizio del 2014, al termine della mostra di San Paolo, l’opera è stata riportata nel laboratorio dell’Opificio delle Pietre Dure alla Fortezza da Basso. Solo a questo punto è stato possibile programmare un piano diagnostico, non invasivo, che permettesse di ottenere informazioni precise relative sia alla tecnica esecutiva della pittura, sia ai fattori di degrado in atto, in modo da poter realizzare gli interventi conservativi più idonei.
La campagna di indagine diagnostica ha compreso: documentazione fotografica speciale, acquisizione radiografica di alcune aree del dipinto, scansione riflettografica multispettrale, analisi in fluorescenza X a scansione e misure non invasive del contenuto di umidità e della presenza dei sali.
Per rimuovere i sali presenti sono stati applicati, in più riprese, degli impacchi assorbenti, che venivano tenuti a contatto con la pittura per circa ventiquattro ore, determinando così anche una consistente riduzione della patina bianca presente sulla superficie pittorica. Per quanto riguarda gli aloni gialli, questi sono stati trattati in maniera localizzata con soluzioni di carbonato di ammonio e con impacchi assorbenti simili a quelli utilizzati per l’estrazione dei sali solubili.
È stata valutata anche la possibilità di effettuare una pulitura più approfondita di tutta la pittura, ma le prove effettuate non hanno dato risultati apprezzabili. Inoltre, non è stato ritenuto necessario intervenire sul supporto, realizzato dopo l’alluvione del ’66, in quanto considerato ancora idoneo alla buona conservazione del dipinto. È stata nuovamente revisionata la ricostruzione a selezione cromatica eseguita sulle lacune presenti sul manto rosso.
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