L’opera fu commissionata per la chiesa di Santa Croce a Sansepolcro dalla confraternita di Santa Croce; la tavola era destinata all’altare maggiore e doveva rappresentare un Cristo deposto. La commissione del dipinto è da datarsi tra il 1524 e il 1525, data in cui probabilmente fu commissionata a Raffaellino del Colle; successivamente il pittore locale la cedette al Rosso, affinché in città “rimanesse qualcosa di suo”, come scrisse Vasari. Il contratto tra l’artista e il priore della confraternita fu stipulato nel 1527, dopo che il Rosso, a seguito del Sacco di Roma, riuscì a fuggire ai Lanzichenecchi, giungendo prima a Perugia e poi a Sansepolcro. Tale commissione fu approvata e aiutata dal vescovo Leonardo Tornabuoni, già committente del Rosso a Roma e anche lui rientrato da poco in città in fuga dal Sacco. Secondo Franklin il dipinto fu realizzato nel 1528.
Nel 1554 le monache benedettine di San Lorenzo furono trasferite nei locali della confraternita di Santa Croce, ciò comportò l’ampliamento dell’edificio, con la costruzione del coro delle monache dietro l’abside della chiesa. L’ampliamento non comportò lo spostamento dell’opera, che fu semplicemente rialzata per permettere l’apertura della grata sopra la mensa d’altare.
Nel 1808 il convento di San Lorenzo fu soppresso e trasformato in orfanotrofio, ma fortunatamente il dipinto non fu confiscato con le requisizioni napoleoniche.
Nel 1940, durante il coinvolgimento dell’Italia in Guerra, la pala d’altare si trovava a Firenze per la Mostra del Cinquecento toscano tenuta a Palazzo Strozzi; allo scoppio del conflitto venne ricoverata nei depositi del Museo del Bargello per preservarla dai possibili danni bellici.
L’opera è ancora conservata nella chiesa di San Lorenzo (già Santa Croce), situata come in origine sull’altare maggiore all’interno di una mostra in stucco tardo settecentesca.
A causa delle condizioni conservative del dipinto, dal 2016 si trova presso i Laboratori della Fortezza da Basso dell’Opificio per l’intervento di restauro.
L’opera è ancora oggetto di studio, quindi per quanto riguarda la tecnica e i materiali impiegati, verrà riportato solo ciò che è stato rilevato dall’osservazione visiva e dalle indagini scientifiche effettuate finora.
Il dipinto è un olio su tavola di cm 201,5 x 269.
Il supporto ligneo è costituito da dieci assi di legno di pioppo di modesta larghezza, ma di considerevole spessore cm 4,5. In origine erano presenti solo due traverse di pioppo a coda di rondine.
La preparazione bianca è a base di gesso e colla e risulta molto resistente.
La riflettografia infrarossa ha permesso di rilevare i tratti del disegno preparatorio, che risulta dettagliato in corrispondenza di alcune figure come: la capigliatura, il volto e parte della veste della Maddalena; la veste della donna in basso a sinistra; il braccio destro di Giuseppe d’Arimatea e le mani di altri personaggi. Si può ipotizzare che l’artista abbia impiegato un cartone da ricalco, presumibilmente una carta lucida data l’assenza di tracce di incisione; si può dedurre che il disegno sia stato pianificato sul cartone da ricalco e successivamente definito sulla preparazione a mano libera mediante l’impiego del carboncino, con un tratto più o meno calcato in base alle esigenze e agli effetti voluti.
Sulla preparazione è stato riscontrato un fondo cromatico a base di terre applicato omogeneamente su tutta la superficie dell’opera. Tale fondo, in alcune zone, viene volutamente lasciato a vista per definire alcuni piccoli particolari delle vesti e alcune zone in ombra, mediante una tecnica esecutiva che si può definire a risparmio.
La pellicola pittorica rivela una notevole vivacità cromatica ed è caratterizzata da pennellate decise ed un impasto pittorico corposo, soprattutto in corrispondenza dei massimi chiari. Le ombreggiature e i volumi dei corpi e delle vesti sono realizzate con tratti incrociati e spezzati. Inoltre si può individuare la grande raffinatezza dei dettagli delle capigliature e delle vesti oltre all’evidente brillantezza e cangiantismo di alcune stoffe degli abiti.
Lo stato di conservazione dell’opera era strettamente connesso alle problematiche relative al supporto ligneo; dovute alla tipologia e alla qualità del legno scelto per la realizzazione del tavolato, ma soprattutto all’estrema rigidità del sistema di traversatura. Tale rigidità era causata da un precedente intervento che aveva previsto l’aggiunta di cinque traverse avvitate sul supporto, con lo scopo di ostacolare i naturali movimenti del legno al variare dei parametri termoigrometrici. Per lo stesso motivo, contestualmente all’aggiunta delle traverse, si può ipotizzare che sia stata applicata sul retro una sorta di ammannitura molto rigida che si presentava in parte sollevata. L’estrema rigidità del sistema tavolato-traverse ha creato nel tempo delle tensioni che si sono ripercosse sugli strati preparatori e pittorici, causando notevoli sollevamenti a cresta, diffusi non solo in corrispondenza delle commettiture delle assi ma sull’intera superficie dell’opera, con il rischio di perdere parte del film pittorico originale.
Il supporto inoltre presentava molte fessurazioni, numerose farfalle inserite in un precedente restauro e un tassello ligneo, non originale, situato nella parte inferiore destra, posto controvena e inchiodato alle assi, che causava delle tensioni che sottoponevano a stress gli elementi del tavolato circostante.
La pellicola pittorica oltre ai numerosi sollevamenti, che costituivano la principale tipologia di degrado, presentava molte sgocciolature di sostanze di varia natura impiegate in precedenti restauri, patinature sugli sfondi e sulle campiture scure molto abrase a causa di pregresse puliture aggressive, ripassature soprattutto in corrispondenza delle vesti, pesanti ridipinture su stuccature debordanti che coprivano il colore originale e ritocchi alterati.
Lo spesso strato di vernice presente, non originale, risultava fortemente ingiallito.
Con l’ampliamento dell’edificio ecclesiastico nel 1554, per far posto alla grata sopra la mensa d’altare e conservare la cornice lignea dorata, realizzata nel 1525 da Romano Berto Alberti detto il Nero e Schiatto Angelo Schiatti, probabilmente fu eliminata la predella annessa all’opera.
Dopo più di due secoli, tra il 1795-1796, furono effettuati ingenti lavori di riallestimento della chiesa, molto probabilmente resi necessari in seguito al grave terremoto del 1789; presumibilmente durante questo evento catastrofico la carpenteria lignea che incorniciava il dipinto fu perduta e venne successivamente sostituita da una mostra in stucco. Sempre a questo periodo si può far risalire l’intervento sul supporto ligneo che ha previsto l’aggiunta di cinque traverse, l’ammannitura del retro e l’aggiunta di un tassello nella parte inferiore destra, a seguito della quale la superficie pittorica venne uniformata con una vasta ridipintura. Successivamente, anche se non è possibile datare l’intervento, sono state inserite numerose farfalle.
Il primo restauro dell’opera che venne documentato risale all’inizio del XX secolo; nel 1914 fu incaricato Domenico Fiscali di intervenire sul dipinto a causa del precario stato conservativo, in questa occasione venne effettuata la fermatura del colore e la verniciatura.
Il successivo intervento di cui si ha traccia è quello del 1979 in cui il restauratore aretino Carlo Guido fu incaricato di effettuare la fermatura, la pulitura e la stuccatura; mentre l’esecuzione dell’intervento strutturale che prevedeva l’inserimento dei cunei in corrispondenza delle fessurazioni venne affidato a Italo Nespoli.
Nel 2011, in occasione della mostra aretina Il primato dei Toscani nelle “Vite” del Vasari si è intervenuti ulteriormente sull’opera mediante una disinfestazione con metodo anossico a cura del Laboratorio di Conservazione e Restauro “Antica Maniera” di Marco Santi.
Nel 2013 l’opera è stata sottoposta ad indagini non invasive presso il Laboratorio di Analisi Thierry Radelet e nel 2014 in vista del prestito del dipinto alla mostra fiorentina Pontormo e Rosso: divergenti vie della “maniera” è stato realizzato l’intervento che ha previsto la pulitura, la fermatura e la stuccatura dei fori di tarlo.
L’intervento di restauro è in corso d’opera presso i Laboratori della Fortezza da Basso di Firenze.
Dal momento che la principale causa del degrado della pellicola pittorica era dovuta alla rigidità del supporto ligneo, il primo intervento è stato quello strutturale. Dopo il trattamento anossico per la disinfestazione dagli insetti xilofagi e una campagna di misurazioni effettuata dal Gruppo Scienze del Legno dell’Università degli Studi di Firenze, per studiare le deformazioni del legno al variare dei parametri termoigrometrici, si è proceduto con la rimozione meccanica dell’ammannitura e la rimozione delle cinque traverse non originali. Successivamente sono state estratte le farfalle e il listello situato nel margine inferiore destro; una volta rettificate le sedi, queste sono state tassellate con elementi di pioppo antico. Inoltre sono state ricostruite alcune parti deteriorate del supporto con un’opportuna tassellatura e risanati spacchi e sconnessure con idonei cunei sottili. Dopo aver completato il risanamento del tavolato, sono iniziate le operazioni di adeguamento delle due traverse originali per renderle più flessibili mediante un sistema di molle.
Dopo aver terminato l’intervento sul supporto ligneo è stato possibile intervenire sulla pellicola pittorica. Dal momento che lo spesso strato di vernice non permetteva di far penetrare l’adesivo fino agli strati preparatori, non garantendo la corretta adesione dei sollevamenti presenti, si è dovuto inizialmente procedere con la pulitura controllata, mediante opportuni solventi gelificati, dello strato di vernice per poi poter effettuare l’operazione di fermatura localizzata in corrispondenza dei sollevamenti di colore. A seguito della pulitura sono stati individuati molti residui di adesivi impiegati in precedenti restauri che devono essere accuratamente rimossi, oltre alle numerose stuccature che risultano debordanti sulla pellicola pittorica originale.
Le operazioni di pulitura e fermatura devono essere ancora ultimate, successivamente si procederà con la stuccatura delle lacune, l’integrazione pittorica e la verniciatura finale.
E. Bonaiuti, La “Deposizione” del Rosso per Sansepolcro: ricerche storiche e conservative in occasione del restauro. Tesi di specializzazione in Beni storico-artistici della Scuola di Studi Umanistici e della Formazione dell’Università degli Studi di Firenze, relatori M. Ciatti, A. Pinelli, a.a. 2017-2018
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