Il Paliotto fiorito realizzato su un supporto in seta con fiori in carta risalente al XVII secolo, è stato oggetto di una tesi incentrata, oltre che sulla pulitura, su un lungo lavoro di studio e sperimentazione degli adesivi per far riaderire ciò che originariamente era incollato e si era distaccato.
Restauratore: Elisa Zonta (allieva SAFS-OPD)
Il paliotto è stato oggetto della una tesi di diploma di Elisa Zonta a conclusione della S.A.F. dell’Opificio delle Pietre Dure, anno 2005, dal titolo: “Il paliotto fiorito di Santa Maria Novella. Storia, tecnica artistica, progetto di conservazione e restauro”. Relatori: S. Conti, M. Ciatti, R. Lunardi, L. Montalbano.
Presentato per la prima volta sull’altare maggiore della chiesa di Santa Maria Novella il 1 gennaio 1647. E’ ormai consolidata l’attribuzione dell’opera a Giovanna Garzoni, famosa miniatrice medicea, che la realizzò con una tecnica singolare, punto d’incontro fra il tradizionale ricamo ad applicazione ed il dipinto: una sorta di enorme collage in seta ulteriormente impreziosito da particolari dipinti.
Sul fondo si sviluppa un motivo decorativo a girali e tralci di fiori come in una pergola, impianto decorativo che ha fatto denominare l’opera “paliotto fiorito”. Al centro vi è una ghirlanda che racchiude Dio Padre creatore in volo fra nuvole rosate. Gli elementi vegetali sono stati realizzati con seta incartata e dipinta, applicati poi sul fondo in taffetas mediante adesivi naturali. Le parti dipinte sono realizzate a tempera.
L’opera è giunta all’Opificio delle Pietre Dure in uno stato di conservazione pessimo.
L’opera risultava unita alla fodera in corrispondenza dei fiori incartati (la stessa tecnica di esecuzione ha portato al passaggio dell’adesivo dal davanti fino al retro). I due tessuti sono stati separati per poter intervenire sulla parte decorativa.
Il fondo in seta è stato sottoposto ad un intervento di pulitura fisica mediante microaspirazione, recto e verso, sotto costante controllo a microscopio ottico. Gli accumuli di colla sono stati eliminati con vari trattamenti, anche con l’uso di enzimi specifici, in funzione della natura dell’adesivo (animale o vegetale) e delle condizioni della superficie dell’opera. Le diverse parti decorative sono state pulite per via umida in maniera locale e differenziata utilizzando una tavola a bassa pressione “portatile” e proteggendo temporaneamente le porzioni dipinte con ciclododecano. La fodera, a sua volta, ha ricevuta sia una pulitura meccanica che per via umida.
Il consolidamento del fondo in taffetas, altamente depolimerizzato, ha richiesto numerose sperimentazioni prima di giungere alla definizione della metodologia da seguire.
La tecnica stessa di realizzazione che non prevede cuciture, ma solo elementi incollati, ci ha suggerito un tipo di intervento che prevedesse l’uso di resine termoplastiche.
L’opera è stata dotata di un nuovo supporto in seta accoppiato all’originale tramite resina Mowilith SDM5, riattivata a caldo all’interno del sacco sotto vuoto.
La fase successiva ha previsto l’integrazione degli elementi vegetali che è avvenuta con inserti di carta giapponese, della forma delle lacune, tinta con tempera acrilica ed incollata con Tylose.
Dopo il consolidamento all’opera sono stati forniti dei nuovi margini, in tessuto monofilato Origam applicato a resina, che permettessero l’unione con un nuovo telaio per mezzo di magneti.
L’opera è rientrata al Museo di Santa Maria Novella nel gennaio 2016.
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